Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso.....

Pablo Neruda





martedì 17 marzo 2009


Il 17 marzo del 1861 fu proclamato il Regno d'Italia con il re Vittorio Emanuele II e capitale Torino.


Regno d'Italia (1861-1946).

Lo stato italiano nacque nel 1861 dopo l’esito della seconda guerra d'indipendenza e dopo i plebisciti degli altri territori conquistati. Con la prima convocazione del Parlamento italiano del 18 febbraio 1861 e la successiva proclamazione del 17 marzo, Vittorio Emanuele II fu il primo re d'Italia (1861-1878).

La popolazione, rispetto l’originario Regno di Sardegna, quintuplicò. Istituzionalmente e giuridicamente, il Regno d'Italia venne configurandosi come un ingrandimento del Regno di Sardegna, esso fu infatti una monarchia costituzionale. Il neonato Stato quindi si ritrovò, fin dai primi tempi, a tentare di risolvere problemi di standardizzazione delle leggi, le casse statali vuote per le spese belliche, di creazione una moneta unica per tutta la penisola, e più in generale problemi di gestione per tutte le terre improvvisamente acquisite. A questi problemi, se ne aggiungevano altri, come ad esempio l’analfabetismo e la povertà diffusa, nonché la mancanza di infrastrutture.

La questione che tenne banco nei primi anni della riunificazione d’Italia fu la questione meridionale ed il brigantaggio antisabaudo delle regioni meridionali (soprattutto tra il 1861 e il 1869). Il problema era noto come la "questione meridionale". Ulteriore elemento di fragilità era costituito dall'ostilità della Chiesa cattolica e del clero nei confronti del nuovo Stato, ostilità che si sarebbe rafforzata dopo il 1870 e la presa di Roma (questione romana).






« ...E intorno a noi il timore e la complicità di un popolo. Quel popolo che disprezzato da regi funzionari ed infidi piemontesi sentiva forte sulla pelle che a noi era negato ogni diritto, anche la dignità di uomini. E chi poteva vendicarli se non noi, accomunati dallo stesso destino? Cafoni anche noi, non più disposti a chinare il capo. Calpestati, come l'erba dagli zoccoli dei cavalli, calpestati ci vendicammo. Molti, molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni. Le loro rivoluzioni. Ma libertà non è cambiare padrone. Non è parola vana ed astratta. È dire senza timore, È MIO, e sentire forte il possesso di qualcosa, a cominciare dall'anima. È vivere di ciò che si ama. Vento forte ed impetuoso, in ogni generazione rinasce. Così è stato, e così sempre sarà...[1] »
(Monologo di Carmine Crocco, tratto da "La storia bandita")

Carmine Crocco, detto Donatelli e talvolta Donatello (Rionero in Vulture, 5 giugno 1830 – Portoferraio, 18 giugno 1905), è stato un brigante italiano, tra i più noti e rappresentativi del fenomeno. Era il capo indiscusso delle bande del Vulture-Melfese, sebbene il suo controllo si estendesse anche ad alcune dell'Avellinese e del Subappennino Dauno. Nel giro di pochi anni, da umile bracciante divenne comandante di un esercito di oltre mille uomini, guadagnandosi così l'appellativo di "Generale dei Briganti", combattendo prima nelle file di Giuseppe Garibaldi, poi con la resistenza borbonica e infine per se stesso. In circa quattro anni di latitanza, Crocco fu uno dei più temuti e ricercati briganti del periodo post-unitario e su di lui pendeva una taglia di 20.000 lire.[2] Tuttora al centro di pareri discordanti, è considerato un bandito e carnefice per alcuni e un eroe popolare per altri, specie nella sua natia Rionero e la Basilicata in genere.


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