Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso.....

Pablo Neruda





martedì 24 marzo 2009



24 marzo 1944-I tedeschi fucilarono e seppelliscono 335 ostaggi italiani alle Fosse Ardeatine

L'eccidio delle Fosse Ardeatine è il massacro compiuto a Roma dalle truppe di occupazione della Germania nazista il 24 marzo 1944, ai danni di 335 civili e militari italiani, come atto di rappresaglia in seguito a un attacco partigiano contro le truppe germaniche avvenuto il giorno prima in via Rasella. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime, e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, è diventato l'evento simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell'occupazione.

Le "Fosse Ardeatine", antiche cave di pozzolana site nei pressi della via Ardeatina, scelte quali luogo dell'esecuzione e per occultare i cadaveri degli uccisi, sono diventate un monumento a ricordo dei fatti e sono oggi visitabili

Il 23 marzo 1944 ebbe luogo l'attacco contro l'11a compagnia del III battaglione dell'SS Polizei Regiment Bozen in via Rasella, ad opera di partigiani dei GAP Gruppi d'Azione Patriottica delle brigate Garibaldi, che dipendevano ufficialmente dalla Giunta militare che era emanazione del Comitato di Liberazione Nazionale. Quanto all'appartenenza del Polizeiregiment Bozen alle SS esistono versioni discordanti in quanto la denominazione, pur solo formale, del reparto in SS-Polizeiregimenter avvenne all'incirca un mese dopo l'attentato.A onor del vero va anche ricordato che tale reparto fu scelto a caso dagli attentatori, non per eventuali responsabilità dei soldati che vi appartenevano.

L'attacco venne compiuto da 12 partigiani.Fu utilizzata una bomba a miccia ad alto potenziale collocata in un carrettino per la spazzatura urbana, confezionata con 18 chilogrammi di esplosivo frammisto a spezzoni di ferro e dopo l'esplosione furono lanciate alcune bombe a mano. Vennero uccisi 32 militari dell'11 Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment Bozen e un altro soldato morì il giorno successivo (altri nove sarebbero deceduti in seguito. L'esplosione uccise anche due passanti italiani, Antonio Chiaretti ed il tredicenne Pietro Zuccheretti.

Alla notizia dell'attentato, il generale Kurt Mälzer comandante della piazza di Roma, accorso sul posto, parlò stravolto di una rappresaglia molto grave e dello stesso parere fu inizialmente Hitler.

Successivamente vari ragionamenti condussero a quantizzare la rappresaglia, e la decisione del comando nazista fu la conta di 10 ostaggi fucilati per ogni tedesco ucciso. La fucilazione di 10 ostaggi per ogni tedesco ucciso fu ordinata personalmente da Adolf Hitler, dopo aver vagheggiato apocalittiche proporzioni di 50 ad 1, la distruzione dell'intero quartiere (che comprende il Quirinale) e la deportazione da Roma di 1000 uomini per ogni tedesco ucciso. La convenzione dell'Aia del 1907 non fa un esplicito riferimento alla rappresaglia, mentre la Convenzione di Ginevra del 1929, relativa al Trattamento dei prigionieri di guerra, fa esplicito divieto di atti di rappresaglia nei confronti dei prigionieri di guerra nell'Articolo 2.Dal punto di vista internazionale l'argomento rappresaglia era contemplato nei codici di diritto bellico nazionali, in cui si faceva riferimento al criterio della proporzionalità rispetto all'entità dell'offesa subita, nella selezione degli ostaggi (non indiscriminata) e nella salvaguardia delle popolazioni civili. Alcuni di questi aspetti furono violati: nella selezione degli ostaggi poiché si procedette alla fucilazione anche di personale sanitario, infermi e malati ed inoltre poiché non risulta che venne eseguita da parte tedesca alcuna seria indagine per appurare l'identità dei responsabili dell'attacco, nè si attesero le 24 ore di consuetudine affinché gli stessi si consegnassero spontaneamente, condizioni necessarie per la legittimità dell'azione di rappresaglia. Com'è noto, infatti, non venne neppure affisso il consueto bando nelle pubbliche piazze, limitando l'affissione, secondo la testimonianza dell'ambasciatore Roberto Caracciolo, ai soli uffici tedeschi.

Nella scelta delle vittime, furono privilegiati criteri di connessione con la resistenza militare monarchica e i partigiani, e di appartenenza alla religione ebraica, e se in un primo tempo si tendette ad escludere persone rastrellate al momento e/o detenuti comuni, successivamente, per raggiungere il numero di vittime volute, un certo numero di ostaggi fu poi costituito da reclusi condannati (o in attesa di processo) per delitti di natura non politica. Costoro furono prelevati, insieme a militari, membri attivi della resistenza e ad altri antifascisti, dal carcere romano di Regina Coeli, dove erano tenuti prigionieri. Nella consegna degli ostaggi, le autorità carcerarie romane frapposero ostacoli di ordine burocratico, nella speranza che gli autori dell'attentato si consegnassero entro le 24 ore, sospettando che i tedeschi avrebbero potuto vendicarsi ugualmente. La strage iniziò infatti nemmeno 23 ore dopo l'agguato partigiano.

Delle salme identificate (322 su 335) si ricava che circa 39 erano ufficiali, sottufficiali e soldati appartenenti alle formazioni clandestine della Resistenza militare, circa 52 erano gli aderenti alle formazioni del Partito d'Azione e Giustizia e Libertà, circa 68 a Bandiera Rossa, un'organizzazione comunista trockijsta non legata al CNL, e circa 75 erano di religione ebraica. Altri, fino a raggiungere il numero previsto, furono detenuti comuni. Quindi circa metà dei giustiziati furono partigiani detenuti, di questi cinquanta furono individuati e consegnati ai nazisti dal questore fascista Pietro Caruso dietro minaccia da parte tedesca di procedere con un rastrellamento arbitrario del quartiere di Piazza Barberini.Non mancarono tuttavia tra gli uccisi i rastrellati a caso e gli arrestati a seguito di delazioni dell'ultim'ora.

Il massacro fu organizzato ed eseguito da Herbert Kappler, all'epoca ufficiale delle SS e comandante della polizia tedesca a Roma, già responsabile del rastrellamento del Ghetto di Roma nell'ottobre del 1943 e delle torture contro i partigiani detenuti nel carcere di via Tasso.

L'ordine di esecuzione riguardò 320 persone, poiché inizialmente erano morti 32 soldati tedeschi. Durante la notte successiva all'attacco di via Rasella morì un altro soldato tedesco e Kappler, di sua iniziativa, decise di uccidere altre 10 persone. Erroneamente, causa la "fretta" di completare il numero delle vittime e di eseguire la rappresaglia, furono aggiunte 5 persone in più nell' elenco ed i tedeschi, per eliminare scomodi testimoni, uccisero anche loro.

I tedeschi, dopo aver compiuto il massacro, infierendo sulle vittime, fecero esplodere numerose mine, per far crollare le cave ove si svolse il massacro e nascondere o meglio rendere più difficoltosa la scoperta di tale eccidio.

Nel dopoguerra, Herbert Kappler venne processato e condannato all'ergastolo da un tribunale italiano e rinchiuso in carcere. La condanna riguardò i 15 giustiziati non compresi nell'ordine di rappresaglia datogli per vie gerarchiche. Colpito da un tumore inguaribile, con l'aiuto della moglie, riuscì ad evadere dall'ospedale militare del Celio e a rifugiarsi in Germania, ove morì pochi anni dopo. Anche il principale collaboratore di Kappler, l'ex-capitano delle SS Erich Priebke, dopo una lunga latitanza in Argentina, è stato arrestato, estradato in Italia ove, processato, è stato condannato all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine. Anche Albert Kesselring, catturato a fine guerra, fu processato e condannato a morte il 6 maggio 1946 da un Tribunale Alleato per crimini di guerra e per l'eccidio delle Fosse Ardeatine, ma la sentenza fu commutata nel carcere a vita. Nel 1952 fu scarcerato per motivi di salute e fece ritorno in Germania dove si unì ai circoli neonazisti bavaresi. Morì nel 1960 per un attacco cardiaco

Con questo video partecipiamo all'orrore di quel giorno.Il cuore si ferma ed il silenzio è più eloquente delle parole



Dio voglia che simili massacri non accadano più!!

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