Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso.....

Pablo Neruda





giovedì 31 dicembre 2009



Conversazione sola

Da tempo la conversazione
da sola cammina,
con parole
che peso non hanno
con gesti
che ignorano richiamo,
con occhi
che vedono cieco
e con me,
che,
ape laboriosa,
più non sparge
amore di miele
a chi solo s’ingozza.
30 -12-2009 Maria Serritiello

martedì 29 dicembre 2009






La civiltà di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali. (Gandhi)



Calendario 2010 “Razza Bastarda” di Oliviero Toscani

Il genio della fotografia al servizio del migliore amico dell'uomo!!!

IL CANE E' IL MIGLIORE AMICO DELL'UOMO SOPRATTUTTO PERCHE' NON E' UN UOMO
(ANONIMO)

TUTTI GLI ANIMALI DOMESTICI SONO VERI E PROPRI SCHIAVI SOLO IL CANE E' UN AMICO
(KONRAD LORENZ)

• "La storia offre più esempi della fedeltà dei cani di quella degli amici". (ALEXANDER POPE in una lettera a H. Cromwell, 1709)

• Il cane e' la virtu' che, non potendo farsi uomo, s'e' fatta bestia (Victor Hugo)


• "Non dobbiamo guadagnarci la sua fiducia o la sua amicizia: è nato per essere nostro amico; quando i suoi occhi sono ancora chiusi, lui già crede in noi: prima ancora di nascere, ha già dato se stesso all'uomo". (MAURICE MAETERLINCK dal "Il mio cane", premio nobel per la letteratura 1911)

La storia di Hachiko, un tenero cane di razza Akita, ha commosso tutto il mondo, tanto da diventare materia prima di libri, e adesso di un film con protagonista Richard Gere, in uscita il 30 dicembre 2009.

Hachiko venne adottato quando era un cucciolo di appena due mesi da un professore universitario del dipartimento agricolo di Tokyo di nome Hidesamuroh Ueno. Tutte le mattine il professor Ueno si dirigeva alla stazione di Shibuya, Hachiko lo accompagnava e lo andava a riprendere ogni giorno quando tornava dal lavoro: purtroppo una mattina il professore morì di arresto cardiaco mentre era all'università, e Hachiko lo attese invano per tutto il pomeriggio. Il giorno successivo il cane si ripresentò alla stazione e così fece ogni giorno per altri nove anni, nonostante il passare del tempo lo avesse indebolito, fino a portarlo alla morte per filariasi all'età di 12 anni.



Hachiko nella cultura giapponeseLa storia di Hachiko ebbe vasta risonanza in tutto il Giappone, tanto che da ogni parte del paese molte persone si recavano a Shibuya solo per vederlo e poterlo accarezzare. Gli abitanti del luogo e i lavoratori della stazione gli offrirono cibo e riparo per tutto il tempo che Hachiko trascorse in quel luogo, nella vana attesa del ritorno del suo padrone.
La notizia della sua morte, l'8 marzo 1935, venne riportata da tutti i giornali e il governo nipponico dichiarò un giorno di lutto nazionale, e ancora oggi, ogni anno, viene organizzata una cerimonia per ricordare Hachiko, in cui le persone portano omaggio alla sua lealtà e alla sua devozione. La storia di Hachiko ha già ispirato numerosi libri, fumetti e un film nel 1987 di cui la pellicola in uscita il 30 dicembre è il remake. Il suo nome ancora oggi viene utilizzato come sinonimo di amicizia fedele.



Statua di HachikoTra i tanti omaggi realizzati per onorare la storia di Hachiko, la più singolare riguarda una statua in bronzo, realizzata nel 1934 quando Hachiko era ancora vivo, dallo scultore Teru Ando, ma durante la Seconda Guerra Mondiale venne sequestrata dal governo per essere utilizzata come materia prima per la costruzione di armi. Nel 1948, tre anni dopo la fine del conflitto, Takeshi Ando, figlio di Teru, ricevette la commissione di scolpire una nuova statua raffigurante il cane, quasi come per riparare al torto di aver utilizzato un simbolo di amore e fedeltà per esigenze belliche, che venne posizionata nello stesso identico luogo di quella precedente, ovvero nella piazzetta della stazione di Shibuya, ancora oggi luogo di ritrovo per i giovani del luogo e meta di turismo per i viaggiatori.




BUON ANNO A TUTTIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII

domenica 27 dicembre 2009



GRAZIE KORA PER L'AFFETTO DI QUES'ANNO
LA TUA PADRONA

AUGURO A TUTTI VOI UN ROTTWILLER
PER CONOSCERE L'AMORE



Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero".
O.Wilde

Spalanco la porta

Spalanco la porta
e luce non trovo.
E’ buio,
il buio dell’infanzia.
Sulle spalle
il sacco colmo,
il peso trascinato ignoto,
e la via sempre uguale.
Il gioco comincia,
il gioco?
E tra le ombre
della mia vita,
cambio
la trama.
Spalanco la porta
e luce,
adesso,
trovo…..
25 12 2009 Maria Serritiello

ANCHE QUESTA VIDEO SIGLA,SEMPRE TRATTA DA NDP, E' DESCRITTIVA DELL'ANNO PASSATO,L'IRONIA DI RINO GAETANO FA IL RESTO.....



IL 6 GENNAIO IL MIO BLOG COMPIE UN ANNO,MI PIACEREBBE MONTARE,COME QUESTO FILMATO, I PENSIERI PIU'SALIENTI SCELTI DA ME.NON SAPENDOLO FARE MI SERVO DI UN FILMATO DOC TRATTO DA "NDP"DI LA7,PER DESCRIVERE L'ANNO ORMAI PASSATO. AUGURI DI UN ANNO SENZA AFFLIZIONI,SENZA DISPIACERI DEL'ANIMA E IN PIENA SALUTE POI I SOLDI ....MA SONO UN COROLLARIO QUANDO IL RESTO E' PRESENTE. UN ABBRACCIO A TUTTI QUELLI CHE MI SEGUONO..... CON PAZIENZA GRAZIE. AH !AUGURI DA KORA





sabato 26 dicembre 2009

ECCOVI IL MIO NATALE NELLA MIA CITTà ACCESA ARTISTICAMENTE DAL 5 NOVEMBRE FINO AL30 GENNAIOOOOOOOOOOOOOOO









AUGURIIIIIIIIIIIIIII ANCORA A TUTTI QUELLI CHE MI LEGGONO

mercoledì 23 dicembre 2009





Il mio presepe di carta
Il mio presepe di carta
la mamma
me lo aggiusta
sulla cassa ruvida
della biancheria,
all’angolo corto,
vicino alla finestra.
Là,
ogni anno,
nella vecchia casa scura,
come il carbone spento,
un fuoco alimentato,
si riaccende
e tranquilla io ,
vedo crescere il lavoro.
Dentro di me,
gli anni vissuti,
non ci sono.
10-12.2000 Maria Serritiello




AUGURIIIIIIIIIIIIIII A TUTTI

Le letterine di natale fanno la loro comparsa nel 1700,la prima datata in europa è La letterina veniva depositata sotto il piatto del capofamiglia durante la cena di Natale.

La tradizione di inviare auguri ha origini remote.E'un antichissimo costume nato in Cina,grazie alla scoperta della xilografia,che diffuse l'uso di realizzare piccole immagini augurali da tenere in casa o da appendere alle porte. In seguito l'usanza,un pò modificata,si diffuse a partire dal '400 sopratutto nell'area di lingua tedesca,quando, per il nuovo anno,si usava regalare stampine in cui erano presenti sia elementi cistiani che pagani.

RACCONTO DI NATALE

di Dino Buzzati


Tetro e ogivale è l'antico palazzo dei vescovi, stillante salnitro dai muri, rimanerci è un supplizio nelle notti d'inverno. E l'adiacente cattedrale è immensa, a girarla tutta non basta una vita, e c'è un tale intrico di cappelle e sacrestie che, dopo secoli di abbandono, ne sono rimaste alcune pressoché inesplorate. Che farà la sera di Natale - ci si domanda – lo scarno arcivescovo tutto solo, mentre la città è in festa? Come potrà vincere la malinconia? Tutti hanno una consolazione: il bimbo ha il treno e pinocchio, la sorellina ha la bambola, la mamma ha i figli intorno a sé, il malato una nuova speranza, il vecchio scapolo il compagno di dissipazioni, i1 carcerato la voce di un altro dalla cella vicina. Come farà l'arcivescovo? Sorrideva lo zelante don Valentino, segretario di sua eccellenza, udendo la gente parlare così. L'arcivescovo ha Dio, la sera di Natale. Inginocchiato solo soletto nel mezzo della cattedrale gelida e deserta a prima vista potrebbe quasi far pena, e invece se si sapesse! Solo soletto non è, non ha neanche freddo, né si sente abbandonato. Nella sera di Natale Dio dilaga nel tempio, per l'arcivescovo, le navate ne rigurgitano letteralmente, al punto che le porte stentano a chiudersi; e, pur mancando le stufe, fa così caldo che le vecchie bisce bianche si risvegliano nei sepolcri degli storici abati e salgono dagli sfiatatoi dei sotterranei sporgendo gentilmente la testa dalle balaustre dei confessionali.

Così, quella sera il Duomo; traboccante di Dio. E benché sapesse che non gli competeva, don Valentino si tratteneva perfino troppo volentieri a disporre l'inginocchiatoio del presule. Altro che alberi, tacchini e vino spumante. Questa, una serata di Natale. Senonché in mezzo a questi pensieri, udì battere a una porta. "Chi bussa alle porte del Duomo" si chiese don Valentino "la sera di Natale? Non hanno ancora pregato abbastanza? Che smania li ha presi?" Pur dicendosi così andò ad aprire e con una folata divento entrò un poverello in cenci.

"Che quantità di Dio! " esclamò sorridendo costui guardandosi intorno- "Che bellezza! Lo si sente perfino di fuori.

Monsignore, non me ne potrebbe lasciare un pochino? Pensi, è la sera di Natale. "

"E' di sua eccellenza l'arcivescovo" rispose il prete. "Serve a lui, fra un paio d'ore. Sua eccellenza fa già la vita di un santo, non pretenderai mica che adesso rinunci anche a Dio! E poi io non sono mai stato monsignore."

"Neanche un pochino, reverendo? Ce n'è tanto! Sua eccellenza non se ne accorgerebbe nemmeno!"

"Ti ho detto di no... Puoi andare... Il Duomo è chiuso al pubblico" e congedò il poverello con un biglietto da cinque lire.

Ma come il disgraziato uscì dalla chiesa, nello stesso istante Dio disparve. Sgomento, don Valentino si guardava intorno, scrutando le volte tenebrose: Dio non c'era neppure lassù. Lo spettacoloso apparato di colonne, statue, baldacchini, altari, catafalchi, candelabri, panneggi, di solito così misterioso e potente, era diventato all'improvviso inospitale e sinistro. E tra un paio d'ore l'arcivescovo sarebbe disceso.

Con orgasmo don Valentino socchiuse una delle porte esterne, guardò nella piazza. Niente. Anche fuori, benché fosse Natale, non c'era traccia di Dio. Dalle mille finestre accese giungevano echi di risate, bicchieri infranti, musiche e perfino bestemmie. Non campane, non canti.

Don Valentino uscì nella notte, se n'andò per le strade profane, tra fragore di scatenati banchetti. Lui però sapeva l'indirizzo giusto. Quando entrò nella casa, la famiglia amica stava sedendosi a tavola. Tutti si guardavano benevolmente l'un l'altro e intorno ad essi c'era un poco di Dio.

"Buon Natale, reverendo" disse il capofamiglia. "Vuol favorire?"

"Ho fretta, amici" rispose lui. "Per una mia sbadataggine Iddio ha abbandonato il Duomo e sua eccellenza tra poco va a pregare. Non mi potete dare il vostro? Tanto, voi siete in compagnia, non ne avete un assoluto bisogno."

"Caro il mio don Valentino" fece il capofamiglia. "Lei dimentica, direi, che oggi è Natale. Proprio oggi i miei figli dovrebbero far a meno di Dio? Mi meraviglio, don Valentino."

E nell'attimo stesso che l'uomo diceva così Iddio sgusciò fuori dalla stanza, i sorrisi giocondi si spensero e il cappone arrosto sembrò sabbia tra i denti.

Via di nuovo allora, nella notte, lungo le strade deserte. Cammina cammina, don Valentino infine lo rivide. Era giunto alle porte della città e dinanzi a lui si stendeva nel buio, biancheggiando un poco per la neve, la grande campagna. Sopra i prati e i filari di gelsi, ondeggiava Dio, come aspettando. Don Valentino cadde in ginocchio.

"Ma che cosa fa, reverendo?" gli domandò un contadino. "Vuoi prendersi un malanno con questo freddo?"

"Guarda laggiù figliolo. Non vedi?"

Il contadino guardò senza stupore. "È nostro" disse. "Ogni Natale viene a benedire i nostri campi."

" Senti " disse il prete. "Non me ne potresti dare un poco? In città siamo rimasti senza, perfino le chiese sono vuote. Lasciamene un pochino che l'arcivescovo possa almeno fare un Natale decente."

"Ma neanche per idea, caro il mio reverendo! Chi sa che schifosi peccati avete fatto nella vostra città. Colpa vostra. Arrangiatevi."

"Si è peccato, sicuro. E chi non pecca? Ma puoi salvare molte anime figliolo, solo che tu mi dica di sì."

"Ne ho abbastanza di salvare la mia!" ridacchiò il contadino, e nell'attimo stesso che lo diceva, Iddio si sollevò dai suoi campi e scomparve nel buio.

Andò ancora più lontano, cercando. Dio pareva farsi sempre più raro e chi ne possedeva un poco non voleva cederlo (ma nell'atto stesso che lui rispondeva di no, Dio scompariva, allontanandosi progressivamente).

Ecco quindi don Valentino ai limiti di una vastissima landa, e in fondo, proprio all'orizzonte, risplendeva dolcemente Dio come una nube oblunga. Il pretino si gettò in ginocchio nella neve. "Aspettami, o Signore " supplicava "per colpa mia l'arcivescovo è rimasto solo, e stasera è Natale!"

Aveva i piedi gelati, si incamminò nella nebbia, affondava fino al ginocchio, ogni tanto stramazzava lungo disteso. Quanto avrebbe resistito?

Finché udì un coro disteso e patetico, voci d'angelo, un raggio di luce filtrava nella nebbia. Aprì una porticina di legno: era una grandissima chiesa e nel mezzo, tra pochi lumini, un prete stava pregando. E la chiesa era piena di paradiso.

"Fratello" gemette don Valentino, al limite delle forze, irto di ghiaccioli "abbi pietà di me. Il mio arcivescovo per colpa mia è rimasto solo e ha bisogno di Dio. Dammene un poco, ti prego."

Lentamente si voltò colui che stava pregando. E don Valentino, riconoscendolo, si fece, se era possibile, ancora più pallido.

"Buon Natale a te, don Valentino" esclamò l'arcivescovo facendosi incontro, tutto recinto di Dio. "Benedetto ragazzo, ma dove ti eri cacciato? Si può sapere che cosa sei andato a cercar fuori in questa notte da lupi?"

Troppo natale- Dino Buzzati
Nel paradiso degli animali l'anima del somarello chiese all'anima del bue:
- Ti ricordi per caso quella notte, tanti anni fa, quando ci siamo trovati in una specie di capanna e là, nella mangiatoia...?
- Lasciami pensare... Ma sì - rispose il bue. - Nella mangiatoia, se ben ricordo, c'era un bambino appena nato.
- Bravo. E da allora sapresti immaginare quanti anni sono passati?
- Eh no, figurati. Con la memoria da bue che mi ritrovo.
- Millenovecentosettanta, esattamente.
- Accidenti!
- E a proposito, lo sai chi era quel bambino?
- Come faccio a saperlo? Era gente di passaggio, se non sbaglio. Certo, era un bellissimo bambino.
L'asinello sussurrò qualche cosa in un orecchio al bue.
- Ma no! - fece costui - Sul serio? Vorrai scherzare spero.
- La verità. Lo giuro. Del resto io l'avevo capito subito...
- Io no - confessò il bue - Si vede che tu sei più intelligente. A me non aveva neppure sfiorato il sospetto. Benché, certo, a vedersi, era un fantolino straordinario.
- Bene, da allora gli uomini ogni hanno fanno grande festa per l'anniversario della nascita. Per loro è la giornata più bella. Tu li vedessi. È il tempo della serenità, della dolcezza, del riposo dell'animo, della pace, delle gioie famigliari, del volersi bene. Perfino i manigoldi diventano buoni come agnelli. Lo chiamano Natale. Anzi, mi viene un'idea. Già che siamo in argomento, perché non andiamo a dare un'occhiata?
- Dove?
- Giù sulla terra, no!
- Ci sei già stato?
- Ogni anno, o quasi, faccio una scappata. Ho un lasciapassare speciale. Te lo puoi fare dare anche tu. Dopotutto, qualche piccola benemerenza possiamo vantarla, noi due.
- Per via di aver scaldato il bimbo col fiato?
- Su, vieni, se non vuoi perdere il meglio. Oggi è la Vigilia.
- E il lasciapassare per me?
- Ho un cugino all'ufficio passaporti.

Il lasciapassare fu concesso. Partirono. Lievi lievi, come mammiferi disincarnati. Planarono sulla terra, adocchiarono un lume; vi puntarono sopra. Il lume era una grandissima città. Ed ecco il somarello e il bue aggirarsi per le vie del centro. Trattandosi di spirito, automobili e tram gli passavano attraverso senza danno, e alla loro volta le due bestie passavano attraverso i muri come se fossero fatti d'aria. Così potevano vedere bene tutto quanto.
Era uno spettacolo impressionante, mille lumi, le vetrine, le ghirlande, gli abeti e lo sterminato ingorgo di automobili, e il vertiginoso formicolio della gente che andava e veniva, entrava e usciva, tutti carichi di pacchi e pacchetti, con un'espressione ansiosa e frenetica, come se fossero inseguiti. Il somarello sembrava divertito. Il bue si guardava intorno con spavento.
- Senti, amico: mi avevi detto che mi portavi a vedere il Natale. Ma devi esserti sbagliato. Qui stanno facendo la guerra.
- Ma non vedi come sono tutti contenti?
- Contenti? A me sembrano dei pazzi.
- Perché tu sei un provinciale, caro il mio bue. Tu non sei pratico degli uomini moderni, tutto qui. Per sentirsi felici, hanno bisogno di rovinarsi i nervi.
Per togliersi da quella confusione, il bue, valendosi della sua natura di spirito, fece una svolazzatine e si fermò a curiosare a una finestra del decimo piano. E l'asinello, gentilmente, dietro.
Videro una stanza riccamente ammobiliata e nella stanza, seduta ad un tavolo, una signora molto preoccupata.
Alla sua sinistra, sul tavolo, un cumulo alto mezzo metro di carte e cartoncini colorati, alla sua destra una pila di cartoncini bianchi. Con l'evidente assillo di non perdere un minuto, la signora, sveltissima, prendeva uno dei cartoncini colorati lo esaminava un istante poi consultava grossi volumi, subito scriveva su uno dei cartoncini bianchi, lo infilava in una busta, scriveva qualcosa sulla busta, chiudeva la busta quindi prendeva dal mucchio di destra un altro cartoncino e ricominciava la manovra. Quanto tempo ci vorrà a smaltirlo? La sciagurata ansimava.
- La pagheranno, bene, immagino, - fece il bue - per un lavoro simile.
- Sei ingenuo, amico mio. Questa è una signora ricchissima e della migliore società.
- E allora perché si sta massacrando così?
- Non si massacra. Sta rispondendo ai biglietti di auguri.
- Auguri? E a che cosa servono?
- Niente. Zero. Ma chissà come, gli uomini ne hanno una mania.
Si affacciarono, più in là, a un'altra finestra. Anche qui, gente che, trafelava, scriveva biglietti su biglietti, la fronte imperlata di sudore.
Dovunque le bestie guardassero, ecco uomini e donne fare pacchi, preparare buste, correre al telefono, spostarsi fulmineamente da una stanza all'altra portando spaghi, nastri, carte, pendagli e intanto entravano giovani inservienti con la faccia devastata portando altri pacchi, altri scatole altri fiori altri mucchi di auguri. E tutto era precipitazione ansia fastidio confusione e una terribile fatica. Dappertutto lo stesso spettacolo. Andare e venire, comprare e impaccare spedire e ricevere imballare e sballare chiamare e rispondere e tutti correvano tutti ansimavano con il terrore di non fare in tempo e qualcuno crollava boccheggiando.
- Mi avevi detto - osservò il bue - che era la festa della serenità, della pace.
- Già - rispose l'asinello. - Una volta infatti era così. Ma, cosa vuoi, da qualche anno, sarà questione della società dei consumi... Li ha morsi una misteriosa tarantola. Ascoltali, ascoltali.
Il bue tese le orecchie.
Per le strade nei negozi negli uffici nelle fabbriche uomini e donne parlavano fitto fitto scambiandosi come automi delle monotone formule buon Natale auguri auguri a lei grazie altrettanto auguri buon Natale. Un brusio che riempiva la città.
- Ma ci credono? - chiese il bue - Lo dicono sul serio? Vogliono davvero tanto bene al prossimo?
L'asinello tacque.
- E se ci ritirassimo un poco in disparte? - suggerì il bovino. - Ho ormai la testa che è un pallone... Sei proprio sicuro che non sono usciti tutti matti?
- No, no. È semplicemente Natale.
- Ce n'è troppo, allora. Ti ricordi quella notte a Betlemme, la capanna, i pastori, quel bel bambino. Era freddo anche lì, eppure c'era una pace, una soddisfazione. Come era diverso.
- E quelle zampogne lontane che si sentivano appena appena.
- E sul tetto, ti ricordi, come un lieve svolazzamento. Chissà che uccelli erano.
- Uccelli? Testone che non sei altro. Angeli erano.
- E la stella? Non ti ricordi che razza di stella, proprio sopra la capanna? Chissà che non ci sia ancora. Le stelle hanno una vita lunga.
- Ho idea di no - disse l'asino - c'è poca aria di stelle, qui. Alzarono il muso a guardare, e infatti non si vedeva niente, sulla città c'era un soffitto di caligine e di smog.

sabato 19 dicembre 2009





Il Reliquario
Nero
è l’abito che indosso.
Nel reliquario del ricordo
le vesti colorate,
l’alba rosata,
l’inizio lavorativo
e tu,
come dono a tempo
che scade.
Il giorno
privo
s’abbuia
e l’aria
del Natale
non conosce
il calore.
L’incontro,
oggi
e principiava l’amore!
Maria Serritiello
16-12-2009

venerdì 18 dicembre 2009








"Non è vero che uno più uno fa sempre due; una goccia più una goccia fa una goccia più grande. »
(Tonino Guerra

Antonio Guerra detto Tonino (Santarcangelo di Romagna, 16 marzo 1920) è un poeta, scrittore e sceneggiatore italiano

Maestro elementare, nel 1943, durante la seconda guerra mondiale viene deportato in Germania e internato in un campo di concentramento a Troisdorf.

« Mi ritrovai con alcuni romagnoli che ogni sera mi chiedevano di recitare qualcosa nel nostro dialetto. Allora scrissi per loro tutta una serie di poesie in romagnolo. »


Dopo la Liberazione si laurea in pedagogia presso l'Università di Urbino (1946), con una tesi orale sulla poesia dialettale. Fa leggere i suoi componimenti a Carlo Bo. Ottenuti riscontri positivi, decide di pubblicarli, a sue spese. S'intotola I scarabocc (Gli scarabocchi); Bo ne firma la prefazione.

Diventa membro di un gruppo di poeti, «E circal de giudeizi» (Il circolo della saggezza), di cui fanno parte anche Raffaello Baldini e Nino Pedretti.
Al 1952 risale l'esordio come prosatore con un breve romanzo, La storia di Fortunato. Nel 1953 si trasferisce a Roma, dove avvia una fortunata attività di sceneggiatore. Nella sua lunga carriera ha collaborato con alcuni fra i più importanti registi italiani del tempo (Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Francesco Rosi, i fratelli Taviani, ecc.).

Negli anni ottanta torna in Romagna. Dal 1989 vive e lavora a Pennabilli, centro del Montefeltro, che gli ha conferito la cittadinanza onoraria in riconoscenza dell'amore dimostrato nei confronti di questo territorio

Qui ha dato vita a numerose installazioni artistiche. Si tratta di mostre permanenti che prendono il nome de I Luoghi dell'anima tra cui: L'Orto dei frutti dimenticati, Il Rifugio delle Madonne abbandonate, La Strada delle meridiane, Il Santuario dei pensieri, L'Angelo coi baffi, Il Giardino pietrificato.

Una sua installazione artistica, "L'albero della memoria", è presente anche a Forlì, presso i Giardini Orselli

È stato stretto collaboratore alla sceneggiatura insieme a registi di primo rango, come Andrej Tarkovskij, Francesco Rosi, Michelangelo Antonioni, Luchino Visconti, Theo Angelopoulos, i fratelli Taviani, Federico Fellini, Marco Bellocchio, Vittorio De Sica, Elio Petri, Giuseppe De Santis…

L'avventura (1960), regia di Michelangelo Antonioni
La notte (1961), regia di Michelangelo Antonioni
L'eclisse (1962), regia di Michelangelo Antonioni
Deserto rosso (1964), regia di Michelangelo Antonioni
Matrimonio all'italiana (1964), regia di Vittorio De Sica
Casanova '70 (1965), regia di Mario Monicelli
La decima vittima (1965), regia di Elio Petri
Blow Up (1968), regia di Michelangelo Antonioni
Lo scatenato (1967) regia di Franco Indovina
Zabriskie Point (1970), regia di Michelangelo Antonioni
Bianco, rosso e... (1972), regia di Alberto Lattuada
Amarcord (1973), regia di Federico Fellini
Caro Michele (1976 ), regia di Mario Monicelli
Tre fratelli(1981), regia di Francesco Rosi
Nostalghia (1983), regia di Andrej Tarkovskij
E la nave va (1983), regia di Federico Fellini
Kaos (1984), regia di Paolo e Vittorio Taviani
Ginger e Fred (1986), regia di Federico Fellini
Il male oscuro (1989 ), regia di Mario Monicelli
Premi e riconoscimenti [modifica]
David di Donatello per la migliore sceneggiatura
1981: Tre fratelli di Francesco Rosi
1984: E la nave va di Federico Fellini
1985: Kaos dei fratelli Taviani
Premio Nonino
Premio Pasolini
Premio Letterario "Val di Comino"
Onorificenze [modifica]
Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana

— Roma, 24 ottobre 2002. Di iniziativa del Presidente della Repubblica.
]
Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana Sig. Guerra Antonio in arte Tonino Guerra

venerdì 11 dicembre 2009










Sei tu
Sei tu,
quell’albero
senza la radice
dell’amore forte,
la fragile foglia
che si stacca
e il passero
dalle piume leggere.
Non più l’incudine,
ma il ferro incandescente
che si piega!
11-12-2008
Maria Serritiello

Ad un mio amico che invecchia ma non si riconosce così.

giovedì 10 dicembre 2009

IL MIO VIAGGIO NELLE MIE POESIE





URBINO
E l’aria
e il cielo
e le mura forti
d’Urbino.
Turrita la barriera,
irta e fedele,
l’amore conserva
con il pensiero che non muta.
Maria Serritiello
8-12-2009


VERSO URBINO
Il colore della terra
nei mattoni delle case,
sulle foglie
arrossate della vite
e nei pensieri ,ormai,
nudi.
Rassettate le zolle,
il verde è raso
e solchi segnati,
per non dimenticare! Maria Serritiello

8-10-2009

SANT’ARCANGELO DI ROMAGNA
Sotto l’arco,
la furia del vento
dal sogno mi desta.
La piazza si squadra
e vecchi oggetti,
come persone,
s’attorniano
all’incontro. Maria Serritiello

8-12-2009

venerdì 4 dicembre 2009





A Saragozza
In cerca,
lontano,
a Saragozza
e il cuore
s’incontra libero.
L’amore mio
è come
il grillo del Pilar,
nell’autunno
non consueto
canta.

Saragozza 1-11-2009





Da Oslo a Saragozza
Ci sei
e ti porto
con me
da Stoccolma a Copenhagen
da Oslo a Saragozza
e da infiniti viaggi
del mio cuore.
Nel carico bagaglio
l’amore
si nasconde
solitario
ed immune
passa sicuro
ogni frontiera!

4-11-2009

A

giovedì 3 dicembre 2009




Se tu,
a Barrìo de San Paulo,
se io,
a Barrìo de San Paulo,
se il sole di Saragozza
per noi solo sole
e non acqua scivolata
del Pilar….

4-11-2009


Ti regalo

Ti regalo
un sorriso,
il sorriso
nato dal pianto,
la tregua ad una guerra,
l’aria cristallina
e la musica delle parole,
Ti regalo
l’abbraccio,
le mani strette
e la promessa di un giorno.
Sì,
ti regalo,
ti regalo quel sorriso,
per sorridere anch’io.

10-11-2009

martedì 1 dicembre 2009






NON POSTO DA UN MESE E FRA POCO RIPARTO MA LASCIO L'IMMAGINE DELLA MIA CITTA',IO CHE VADO A CERCARNE ALTRE ....



venerdì 30 ottobre 2009




STO PER PARTIRE PER SARAGOZZA MA CHI RESTA PUO'SEGUIRMI NEL VIAGGIO !!!


Saragozza (in spagnolo Zaragoza) è una città di 682.283 abitanti[1] della Spagna, capoluogo della regione Aragona e della provincia e comarca omonime. È la quinta città spagnola per numero di abitanti e la quarta per sviluppo economico.

È posta nella zona nord-orientale della Spagna, a circa 300 km da Madrid, Barcellona, Bilbao, Valencia e Tolosa, per cui si trova al centro di un importante nodo di comunicazioni.

È affacciata sulla riva destra dell'Ebro e al centro di una vasta depressione, un tempo desertica, ma ora abbastanza fertile grazie ad alcune canalizzazioni d'irrigazione che suppliscono alla scarsa piovosità della zona, una delle più basse della Spagna con una media di 323 mm di pioggia all'anno. È sede arcivescovile e universitaria.

Fondata come colonia nel (25 a.C.) dall'imperatore Cesare Augusto con il nome di Caesaraugusta, costituita nei pressi di un insediamento degli Iberi (Salduie). Fu uno dei centri più importanti della Hispania Tarraconensis, una delle tre (poi quattro) Province in cui i Romani divisero la Spagna. Alla caduta dell'Impero romano d'Occidente fu occupata dai Visigoti. Fu tra le prime città spagnole a convertirsi al Cristianesimo e nel 713 venne conquistata dagli Arabi che la fecero capitale (Saraqusta) di un principato rivale di Cordoba, Toledo e Merida. Fu riconquistata nel 1118 dai cristiani, ebbe un periodo di grande prosperità divenendo capitale del Regno d'Aragona. Durante la guerra napoleonica sostenne due assedi da parte delle truppe francesi nel 1808 e 1809.

Fra i monumenti più importanti di Saragozza si possono citare il Foro romano, la Cattedrale del Santissimo Salvatore, detta La Seo (XII - XVI secolo), il Castillo de la Aljafería (VIII secolo), cittadella saracena (storicamente impiegata anche come residenza reale del regno di Aragona) e poi sede dell'Inquisizione, la Torre del Trovador, torre del mitico personaggio raccontato da García Gutiérrez nel 1836 e immortalato da Giuseppe Verdi nell'opera lirica "Il trovatore", la basilica di Nostra Signora del Pilar, uno dei più famosi santuari di Spagna ritenuta la più antica chiesa mariana della cristianità fondata, secondo la tradizione, da Giacomo il Maggiore dopo che Maria madre di Gesù, ancora vivente a Gerusalemme, gli era apparsa non in spirito ma nel suo corpo, seduta su un pilastro (pilar). L'attuale chiesa è un edificio di proporzioni gigantesche dotato di grande cupola centrale, altre dieci cupole minori e quattro campanili; fu eretta a partire dal 1681 su progetto di Francisco Herrera il giovane. All'interno cappelle e volte decorate da affreschi di noti artisti, di marmi, bronzi e argenti e nella Santa capilla, cappella barocca a forma di tempietto ellittico, la piccola statua lignea della Madonna del XIV secolo vestita di paramenti preziosi posta su una colonna di alabastro.

Tradizionalmente in onore della Madonna del Pilar si celebrano grandi feste dall'11 al 18 ottobre, in cui si balla l'antichissima "jota" danza sacra e popolare.
Ha sede a Saragozza anche una università storica, fondata nel 1474.


mercoledì 28 ottobre 2009




HO SEMPRE L'ABITUDINE DI DATARE I MIEI LIBRI, OLTRE CHE SOTTOLINEARE I PEZZI CHE CONDIVIDO E FIRMARLI CON IL MIO NOME. MANIA DI LETTRICE!AH ,DIMENTICAVO,NON LI PRESTO A NESSUNO E DEVO ESSERE IO PER PRIMA A SFOGLIARLI. 4-10-2004 E'LA DATA CHE PORTA QUESTO LIBRO CHE QUI EVIDENZIO.

Torna alla luce, dopo settant'anni dalla prima pubblicazione, il capolavoro della scrittrice francese Marcelle Sauvageot: "Lasciami sola".
di Francesca di Mattia

Lasciami sola non è solo il titolo di un libro, ma una frase in cui è racchiuso un urlo forte e rassegnato, dignitoso e ribelle: quello pronunciato da una donna prossima alla morte, chiusa in un sanatorio, dopo aver ricevuto una lettera dall’uomo che ama, e che ha deciso di sposare un’altra.
Un grido universale che risuona in tutti gli angoli della terra, e che proviene da un tempo lontano, da più di settant'anni

Una “perla” persa e poi ritrovata, pubblicata in Francia nel 1933, ristampata più volte ma poi caduta nell’oblio e assente anche per lunghi periodi dal mercato editoriale - nonostante la buona accoglienza da parte della critica dell’epoca -, e tradotta in Italia solo quest’anno grazie alla casa editrice Guanda.

L’autrice è Marcelle Sauvageot, un nome che non dice nulla a noi italiani, e da poco conosciuto in Francia, ora che il suo libro ha ritrovato dopo anni la popolarità che merita.

Una donna nata a Charleville nel 1900 e morta di tubercolosi a Davos nel 1934. Di lei si sa che amava la musica, la danza e i piaceri della vita, che era attirata dai surrealisti nonostante non avesse mai aderito ufficialmente al movimento; che passò gli ultimi anni della sua vita a Parigi, lavorando come insegnante, e che in seguito, dopo essersi ammalata, fu costretta a vivere per molto tempo in sanatorio

Lasciami sola è il suo unico libro, scritto nel 1930 e conservato a lungo in un cassetto. Non lo si può certo definire un romanzo, ma piuttosto - come viene spiegato nell’introduzione dall’editore francese - un commentaire (titolo originale dell’opera, peraltro), “il grido di un’anima ferita in cerca di guarigione e di una solitudine esigente

E’ con queste parole, di grande intensità, che la donna reagisce alla notizia: «"Mi sposo... La nostra amicizia continuerà..." Non so cosa sia successo. Sono rimasta immobile e la camera ha cominciato a girarmi intorno. Sul fianco, dove ho male, forse un po' più in basso, ho sentito come se mi tagliassero la carne con un coltello affilatissimo... Quando non si conosce un dolore, si ha più forza per fronteggiarlo, perché si ignora la sua portata: si vede solo la lotta e si spera che più avanti arrivi un momento migliore. Ma quando lo si conosce, viene voglia di alzare le mani per chiedere grazia ed esclamare, esausti e increduli: "Ancora?" Già si prevedono tutte le fasi della sofferenza che si dovranno attraversare e si sa che dopo ci sarà solo il vuoto».

Alla lettera dell’uomo che la “lascia” offrendole solo la sua amicizia, la Sauvageot non risponde, “commenta”. Riflette e s'interroga sui rapporti tra uomo e donna, l’egoismo, l’accettazione dell’altro, il giudizio, la morte. Ed è lei che chiede di essere lasciata sola. Risponde a sé stessa, rimette in discussione gli interstizi più intimi e oscuri di sé, compie un viaggio nel deserto, facendo emergere un dolore e un amore assoluti e autentici, con un linguaggio lucido, asciutto e struggente, senza alcuna concessione al vittimismo

Esprime le sue perplessità sulla predestinazione dell’amore: “Credo che la leggenda, come tutte, non sia altro che una consolazione poetica. L’uomo per cui è fatta una donna non è forse quello per cui accetta di esserlo?”.
E ancora, sulle ragioni da lui addotte per chiudere la relazione, afferma: “Sei come uno che, credendosi a corto d’argomenti (dal momento che quanto ha detto è chiaro, definitivo, indiscutibile), si rivolge al proprio interlocutore, lo fissa, fa appello ai suoi grandi sentimenti e accetta di apparire privo di logica purché non ci si opponga a quello che dice. Salvo poi ribaltare le cose e dirsi logico

Lasciami sola non ebbe successo di pubblico, quando uscì per la prima volta in Francia, ma colpì l’attenzione di grandi intellettuali e artisti, tra cui Paul Valéry (“Un’opera d’armonia e di contrappunto, in cui ogni tema ha la sua risposta”), Paul Claudel ("Saremmo tentati di definirlo uno dei capolavori della scrittura femminile, se non fosse sconveniente introdurre una categoria letteraria in questa confessione, che dà prova di una lucidissima e straziata dignità") e Clara Malraux, che lo definì “il primo libro femminista

COME TUTTE LE COSE BELLE O SONO POCO CONOSCIUTE, O DEL TUTTO IGNORATE.IO TI CONOSCO MARCELLE,SONO FELICE DI AVER INCONTRATO IL TUO ANIMO E IL TUO DOLORE, CHE, COSì COME L'HAI PROVATO TU, E' UNIVERSALE.OGNUNO DI NOI SI RICONOSCE,PER QUESTO SEI TRA LE GRANDI DELLA LETTERATURA. ADDIO ALLA TUA DOLENZA E CIAO ALLA TUA ANIMA,CI RITROVEREMO ANCORA!

domenica 25 ottobre 2009




Le ombre della sera
indifferenti
s’appoggiano
sul cuore fragile e solitario,
sui progetti che avanzano delusi,
sulle promesse confessate vane
e sulle bugie riverniciate.
Le ombre della sera
nascondono
ma nulla cambiano,
e così all’improvviso,
il sorriso
muta in pianto.
Maria Serritiello
25-10-2009

sabato 24 ottobre 2009





« Quando ero piccolo sapevo dipingere come Raffaello, mi ci è voluta però una vita intera
per imparare a disegnare come un bambino (con la sua libertà creativa) »
(P. Picasso)
Pablo Diego José Francisco de Paula Juan Nepomuceno María de los Remedios Cipriano de la Santísima Trinidad Mártir Patricio Clito Ruiz y Picasso[1] (Málaga, 25 ottobre 1881 – Mougins, 8 aprile 1973) è stato un pittore spagnolo di fama mondiale, è considerato uno dei maestri della pittura del XX secolo. Usava dire agli amici di considerarsi «anche un poeta». Picasso è figlio di María Picasso López e di José Ruiz Blasco, anch'egli pittore ed insegnante

Pablo Picasso nacque a Málaga nel 1881, in Spagna, primogenito di José Ruiz y Blasco e María Picasso y López che aveva ascendenze, in parte, italiane (il bisnonno materno, Tommaso, lasciò il comune ligure di Sori per stabilirsi a Malaga). Il padre di Picasso, José Ruiz, era un pittore specializzato nella rappresentazione naturalistica (soprattutto degli uccelli), in vita fu professore presso la locale scuola di belle arti e curatore di un museo. Il giovane Picasso manifestò sin da piccolo passione e talento per il disegno; secondo la madre la prima parola da lui pronunciata fu "piz", abbreviazione dello spagnolo lapiz, "matita"[2]. Fu il padre ad impartire a Picasso le basi formali dell'arte figurativa, quali il disegno e la pittura a olio. Picasso non completò i corsi superiori all'Accademia di San Fernando di Madrid, lasciando l'istituto entro il primo anno di studi.

Nei primi anni del XX secolo, a Parigi, il giovane Picasso iniziò una lunga relazione affettiva con Fernande Olivier. È lei che appare ritratta in molti dei quadri del "periodo rosa". Fu lasciata per Marcelle Humbert, che Picasso chiamava Eva, inserendo dichiarazioni d'amore per lei in molti dei suoi quadri cubisti. Picasso frequentava i quartieri di Montmartre[3] e Montparnasse, annoverando tra le sue amicizie André Breton, Guillaume Apollinaire e la scrittrice Gertrude Stein

Durante la seconda guerra mondiale Picasso rimase nella Parigi occupata dai tedeschi. Il regime nazista disapprovava il suo stile, pertanto non gli fu permesso di esporre. Riuscì inoltre a evitare il divieto di realizzare sculture in bronzo, imposto dai nazisti per economizzare il metallo. Uno dei più famosi lavori di Picasso è "Guernica", tela dedicata al bombardamento della cittadina basca di Guernica ad opera dei tedeschi, in cui sono rappresentate la disumanità, la brutalità e la disperazione della guerra. Quello di Guernica fu infatti il primo bombardamento aereo contro una popolazione civile inerme che la storia ricordi.

Sposato due volte, ha avuto quattro figli da tre donne diverse e numerose relazioni extra-coniugali

Il lavoro di Picasso è spesso categorizzato in "periodi". Benché i nomi dei periodi più recenti siano oggetto di discussione, quelli più comunemente accettati sono il "periodo blu" (1901-1904), il "periodo rosa" (1905-1907), il "periodo africano" (1908-1909), il "cubismo analitico" (1909-1912), il "cubismo sintetico" (1912-1919


Pablo Picasso morì per un attacco di cuore l'8 aprile 1973 a Mougins, in Provenza, dove aveva fatto erigere la propria residenza. Alcune biografie accennano al fatto che Picasso prima di morire abbia pronunciato il nome del suo presunto rivale: Amedeo Modigliani

venerdì 23 ottobre 2009




IL 22 OTTOBRE 1941 ESCE IL FILM D'ANIMAZIONE DUMBO DI WALT DISNEY

Presentato in concorso al 2° Festival di Cannes, vinse il Grand Prix du Festival come miglior film d'animazione. È considerato il 4° classico Disney secondo il canone ufficiale.
Dumbo fu il risultato di una precisa volontà del Disney Studio di realizzare un lungometraggio semplice e senza il colossale dispiego di mezzi che aveva caratterizzato i lavori precedenti (Biancaneve e i sette nani, Pinocchio e Fantasia), anche a causa dell'iniziale fiasco (in proporzione ai mezzi impiegati) del precedente film Fantasia, ed è oggi considerato uno dei suoi film più belli.

Il protagonista è Dumbo jr., un elefantino che viene subito e indelicatamente soprannominato Dumbo (dall'inglese dumb, stupido ma anche muto). Viene preso in giro per le sue grandi orecchie, ma presto scoprirà che grazie ad esse è in grado di volare usandole come ali. Il suo unico amico è il topo Timoteo, un colpo di genio che è anche una parodia della stereotipata avversione degli elefanti per i topi; egli cercherà di rendere una star il povero elefantino

Al successo in Italia della prima versione contribuirono anche le canzoni della colonna sonora, ai cui cori partecipò anche il Quartetto Cetra

« Ne ho vedute tante da raccontar
giammai gli elefanti volar! »
(I corvi di Dumbo - Quando ho visto un elefante volar, dalla colonna sonora del film, Oscar nel 1942.)

Per il doppiaggio dei cori del film avvenuto nel 1948 i suoi componenti ricevettero una lettera autografa di congratulazioni da parte dello stesso Walt Disney.

giovedì 22 ottobre 2009




Catherine Deneuve - pseudonimo di Catherine Fabienne Dorléac - (Parigi, 22 ottobre 1943) è un'attrice francese e ambasciatrice dell'UNESCO

Figlia dell'attore Maurice Dorléac e di Renée Deneuve, ha debuttato nel cinema ancora adolescente nel 1956, nel film Le collegiali. Anche sua sorella maggiore, Françoise Dorléac, era un'attrice famosa, prima di perdere la vita in un incidente d'auto.
Il successo le arrivò con il musical di Jacques Demy Les Parapluies de Cherbourg del 1964 e quindi con Repulsion di Roman Polanski (1965) ed il tardo-surrealista Bella di giorno di Luis Buñuel, nel 1967. Questa interpretazione è elencata nelle 100 miglior interpretazioni di tutti i tempi secondo il Premiere Magazine
Ha vinto il César come migliore attrice due volte: nel 1981 per la sua interpretazione in L'ultimo metrò di François Truffaut e nel 1992 con Indocina, parte che le valse nel medesimo anno anche la candidatura all'Oscar come miglior attrice non protagonista
Tra le sue interpretazioni comiche è da citare quella accanto a Marcello Mastroianni in Niente di grave... suo marito è incinto
Ambasciatrice dell'UNESCO, è madre di due figli, Christian Vadim, nato nel 1963 dalla sua relazione con il regista Roger Vadim e Chiara Mastroianni, nata nel 1972 dalla sua relazione pluriennale con l'attore italiano Marcello Mastroianni. È stata sposata una sola volta, dal 1965 al 1972, con il fotografo britannico David Bailey
Catherine Deneuve nel 1998 è stata protagonista del video della canzone N'Oubliez Jamais di Joe Cocker
Inoltre è stata scelta come presidente della giuria della 63a Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia (2006).
Nel 2008, secondo i critici, era una delle possibili vincitrici del premio a miglior attrice al Festival di Cannes per Racconto di Natale, premio che successivamente non vinse.
È considerata come una delle più grandi attrici francesi.

Nel 2008, secondo i critici, era una delle possibili vincitrici del premio a miglior attrice al Festival di Cannes per Racconto di Natale, premio che successivamente non vinse. È considerata come una delle più grandi attrici francesi.