Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso.....

Pablo Neruda





giovedì 14 ottobre 2010



ARKAN

Željko Ražnatović - (cirillico: Жељко Ражнатовић)- meglio conosciuto come Arkan (Аркан) (Brežice, 17 aprile 1952 – Belgrado, 15 gennaio 2000) è stato un militare serbo, leader paramilitare, autore di numerosi crimini di guerra commessi durante la Guerra in Jugoslavia negli anni novanta. Fu uno dei maggiori ricercati dall'Interpol negli anni '80-'90 per crimini e omicidi commessi in numerosi paesi europei. Successivamente fu incriminato dall'ONU per crimini contro l'umanità, includendo ruoli principali in genocidi e atti di pulizia etnica.


Quarto figlio di Veljko, colonnello dell'Armata Popolare Jugoslava e di Slavka[1], Zeljko Raznatovic nasce a Brezica, in Slovenia ove il padre era di stanza. Cresce con le tre sorelle maggiori tra Brezica, Zagabria ed infine Belgrado. A nove anni fugge di casa per la prima volta; a meno di diciotto viene arrestato per la rapina in un bar di Zagabria e conosce il primo di una lunga serie di penitenziari

Esistono diverse versioni sull'origine[1] del soprannome Arkan: una prima versione deriva dal nome presente su un falso passaporto turco usato da Arkan. Secondo Marko Lopušina, nel suo libro Commander Arkan, Raznatovic assunse questo nome quando aveva circa vent'anni riprendendolo da una tigre di uno dei suoi fumetti preferiti. L'ultima versione nasce invece dal latino arcanus.

Negli anni Settanta si aggira per l'Europa, svolgendo attività spionistica per conto dell'UDBA, la polizia segreta jugoslava, anche compiendo missioni contro emigrati poco graditi al partito. In cambio i servizi gli offrono protezione, armi e documenti falsi, tutti mezzi che Arkan sfrutta per la sua carriera di insaziabile rapinatore che si apre il 1º febbraio 1974 con una rapina in un ristorante milanese, e poi una lunga serie di rapine a mano armata in Svezia, Belgio e Paesi Bassi. Sconta una pena di 4 anni in Belgio, ma riesce a fuggire dal carcere di Bejlmer (Amsterdam) durante un’altra pena carceraria di 7 anni.

Durante una rapina a una banca di Stoccolma viene arrestato il suo complice Carlo Fabiani, che oggi si fa chiamare Giovanni Di Stefano[2] ed era uno dei più stretti collaboratori di Arkan. Parlava molte lingue, tra le quali un ottimo italiano, praticato anche nel carcere milanese di San Vittore, dove era stato rinchiuso perché accusato di una serie di rapine negli anni Settanta, e nel quale era stato anche uno dei protagonisti di una rivolta.

Negli anni Ottanta, dopo numerose evasioni, condanne per venticinque anni e un bottino non indifferente, fa ritorno a Belgrado dove diventa capo della sicurezza della discoteca “Amadeus” e capo degli ultras della Stella Rossa Belgrado. Nel frattempo uccide il direttore dell’Azienda Elettrica INA. A fine novembre 1990 è arrestato a Dvor/Una dalla polizia croata per traffico d’armi. Viene rilasciato nel marzo del 1991.

Proprio sugli spalti del Marakana si forma l'Arkan nazionalista: unisce le diverse fazioni in cui sono divisi gli ultrà in nome di Slobodan Milosevic e in dono dalla dirigenza della squadra riceve una pasticceria, che diviene il "covo" dei suoi uomini. Quando inizia la guerra con la Croazia, i vertici jugoslavi pensano a lui per organizzare le milizie di volontari. Volontari che Raznatovic non fatica a reclutare, attingendo tra i tifosi del Marakana e nelle carceri belgradesi, imbottite di criminali comuni in cerca di avventura.

A partire da quell'anno Arkan gestisce il Centro per la Formazione Militare del Ministero per gli Affari Interni serbo. Arkan recluta tra i seguaci del F.C. Stella Rossa Belgrado un'unità di volontari forte di circa 3000 uomini con il nome ufficiale di Guardia Volontaria Serba successivamente modificato in Tigri, che a partire dall’autunno 1991 ha operato come unità paramilitare lungo la frontiera serbo-croata. Si dice che il nome Tigri sia stato voluto da Arkan quando questi entrò in possesso di un piccolo tigrotto che sosteneva aver rubato dallo zoo di Zagabria anche se più probabilmente proveniva dallo zoo di Belgrado.[1].

La lista dei crimini commessi dall’unità "Tigre" è, anche riassumendola, spaventosamente lunga: l’unità “Tigre” era solita attaccare con l’artiglieria un paese, di norma musulmano o croato, quindi vi entrava installandovi il terrore, uccidendo arbitrariamente civili, commettendo stupri, saccheggiando e distruggendo proprietà private e monumenti, installando campi di concentramento. Secondo un documento interno dell’esercito Popolare Jugoslavo, il motivo principale per la lotta di Arkan non era tanto la lotta al nemico, quanto l’appropriazione di proprietà private e la tortura dei cittadini

Tigri di Arkan
Il 4 aprile 1992 l’unità “Tigre” uccise 17 persone a Bijeljina, lanciando dapprima una bomba nel Caffè Istanbul e poi un’altra nel negozio del macellaio del paese. Nei giorni seguenti le “Tigri” furono responsabili di 400 omicidi. Immediatamente dopo il bagno di sangue, l’attuale presidentessa della zona controllata dalla Serbia Biljana Plavsic si recò a Bijeljina per baciare Arkan davanti alle telecamere. L’unità paramilitare di Arkan operava allora nel quadro della 6ª Brigata del Corpo d’Armata (JNA).

Il 2 maggio 1992 a Brcko le truppe di Arkan uccidono 600 persone[3] [4] negli insediamenti bosniaco-musulmani di Kolobara, Mujkici e Merajele. Gli uomini di Arkan mettono in piedi il campo di concentramento “Luka-Brcko” per Bosniaci musulmani e Croati. Il direttore del campo di concentramento è un uomo di Arkan. Davanti alla moschea di Glogova vengono uccisi 40 uomini.

Il 24 maggio 1992 le "Tigri" di Arkan massacrarono a Prijedor e nei vicini paesi Hambarine, Kozarac, Tokovi, Rakovcani, Cele e Rizvanovici più di 20.000 persone[5]. Il 20 giugno 1992 eseguirono una pulizia etnica a Sanski Most, massacrando nel vicino paese di Krasulja 700 persone (la fossa comune fu aperta nel 1997) e altre 180 persone, in primo luogo donne e bambini (anche questa fossa comune è stata scoperta nel 1997)[6].

Tra il febbraio ed il marzo del 1993 Arkan e le sue truppe parteciparono al massacro di Cerska, in cui morirono 700 persone[7]. A Visegrad le truppe di Arkan parteciparono ai crimini contro i musulmani. Nella città che forní al premio Nobel Ivo Andric lo sfondo per il suo romanzo Il ponte sulla Drina, centinaia di musulmani furono uccisi, buttati dal ponte Drina o, come accadde ad una settantina di uomini, bruciati vivi[8].

L’11 giugno 1995 e nei giorni seguenti Arkan e le sue truppe aiutarono Ratko Mladic ad eseguire le esecuzioni di massa a Srebrenica[9]. Nel 1996 Arkan partecipò con il partito dell’Unità Serba, da lui fondato, alle elezioni in Bosnia, ottenendo un finanziamento di 225.000 dollari dall’OSCE.

La fortuna di Arkan viene principalmente dalla guerra: gli innumerevoli saccheggi, il contrabbando di armi, benzina, sigarette e il traffico della macchine rubate. In particolar modo, Arkan si è arricchito grazie al saccheggio sistematico delle case di amici e parenti di lavoratori emigrati ed ex-emigrati, dove trovava i risparmi inviati alla famiglia, la quale, non fidandosi del sistema bancario dell’ex Jugoslavia comunista e per paura dell’inflazione galoppante, nascondeva la valuta in casa.

Arkan aveva uno stile di vita lussuoso che amava ostentare nella sua vita belgradese; si occupò anche di calcio e nel 1998 la squadra di cui era presidente, il FK Obilic di Belgrado, partecipò alla Champions League. Dopo vari attacchi subiti da Arkan sulla stampa italiana, passa la presidenza della squadra a sua moglie, la cantante folk Svetlana Ceca (di 21 anni più giovane di lui), mantenendone però la proprietà. Secondo il giornalista Alberto Nerazzini (Diario, edizione del 20-26.05.1998) il manager delle partite del FK Obilic è Carlo Fabiani, ora Di Stefano, ex complice di Arkan nelle rapine in Svezia. Di Stefano gestisce anche l’ufficio italiano di Zeljko Raznjatovic.

I famosi calciatori Dejan Savićević e Siniša Mihajlović di certo ricorderanno quella giornata del dicembre 1991 quando, reduci dalla vittoria nella Coppa Intercontinentale a Tokyo, ad accogliere i giocatori della Stella Rossa, la loro squadra di allora, all'aeroporto di Belgrado trovano l' "amico" Raznatovic. E da qualche parte, forse, conserveranno ancora il curioso dono, una zolla di terra della Slavonia a testa, ricevuto dalle mani di Arkan con la promessa di liberarla tutta.

Le "Tigri" rimasero in attività fino all'ultimo giorno di guerra in Bosnia, distinguendosi per le efferatezze gratuite e coordinando le ondate di pulizia etnica a Banja Luka, Sanski Most e Prijedor.

LA MORTE

Arkan venne assassinato alle 17:05 del 15 gennaio del 2000: la "Tigre" si trovava all' Intercontinental Hotel di Belgrado, dove era seduto e chiacchierava con due suoi amici; Dobrosav Gavrić, un poliziotto 23enne in congedo, si avvicinò a lui con fare calmo e da dietro lo colpì facendo esplodere numerosi proiettili dalla sua CZ-99
Caduto in coma, fu trasportato in ospedale dall'amico Zvonko Mateović ma perì durante il tragitto. La furia del suo sicario fu talmente energica che anche due collaboratori di Arkan, Milenko Mandić e Dragan Garić, rimasero uccisi. Si salvò invece Zvonko Mateović, guardia del corpo di Arkan, che anzì colpì Gavrić ferendolo irrimediabilmente alla spina dorsale.

Quando si diffuse la notizia della sua morte, alcuni dei suoi uomini diedero vita a numerose spedizioni punitive contro presunti complici del suo assassinio. Durante il suo funerale, a cui assistettero circa 20.000 persone, i membri della sua milizia gli tributarono onori militari. La cerimonia fu eseguita secondo il rituale della sua Chiesa ortodossa serba e la salma sepolta nel cimitero Novo Groblje (Cimitero Nuovo) a Belgrado[10]. Fece molta polemica, in Italia, l'esposizione dello striscione "onore alla tigre Arkan" da parte di alcuni gruppi di estrema destra della Curva Nord della Lazio. Secondo alcuni tale striscione fu commissionato da Siniša Mihajlovic, amico[11] della "Tigre"

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