Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso.....

Pablo Neruda





giovedì 28 gennaio 2010






Dino Buzzati Traverso (San Pellegrino di Belluno, 16 ottobre 1906 – Milano, 28 gennaio 1972) è stato uno scrittore, giornalista e pittore italiano

Buzzati nasce nella villa di famiglia di San Pellegrino, alle porte della città di Belluno. Il padre Giulio Cesare, che morì nel 1920, è un famoso giurista di nobile stirpe bellunese, mentre la madre, Alba Mantovani era imparentata con una famiglia del patriziato veneziano (i Badoer). Terzo di quattro figli, Augusto (1903-?), Angelina (1904-2004) e Adriano (1913-1983), noto genetista, la famiglia Buzzati trascorreva le estati nella villa a Belluno e l'inverno a Milano, dove il padre — docente di diritto internazionale — lavorava alla neonata università Luigi Bocconi, dividendosi tra questa e l'insegnamento alla più antica università di Pavia.

La villa di famiglia e la biblioteca, fondamentali nella formazione dello scrittore, meriterebbero una storia a parte. Nei primi anni della sua infanzia lo scrittore presentò una grande attenzione e sensibilità per le arti figurative e per la musica, imparando a suonare a dodici anni pianoforte e violino, abbandonando però in seguito gli studi. Connaturata alla crescita di Buzzati è anche l'amore per la montagna che lo porterà a scalare e a sognare le montagne per tutta la vita. Dopo i primi anni, e dopo la morte del padre, a quattordici anni, Buzzati si iscrive al più rinomato liceo di Milano, il Parini, dove conoscerà Arturo Brambilla, che in seguito diventerà il suo migliore amico; i due si cimentarono anche in duelli di scrittura, da cui uscirà la prima produzione letteraria dell'autore bellunese. Con lui inizierà una fitta corrispondenza che continuerà sino alla prematura morte di Brambilla, lasciando un vuoto incolmabile nella vita dello scrittore[senza fonte].

In questi anni Buzzati scopre l'interesse per la cultura egizia (nelle lettere con Brambilla si firmerà a lungo Dinubis) e per Arthur Rackham. Terminati gli studi superiori Buzzati inizia a mostrare le prime velleità letterarie iniziando a pensare di scrivere un romanzo, e si iscrive a giurisprudenza per assecondare le volontà della famiglia e per proseguire la tradizione (i due fratelli infatti avevano intrapreso strade diverse iscrivendosi l'uno a ingegneria e l'altro a biologia).

Nel 1928, poco prima di terminare gli studi universitari, entra come praticante al Corriere della Sera del quale diverrà in seguito redattore, ed infine inviato. Sempre nello stesso anno si laurea in giurisprudenza con una tesi dal titolo La natura giuridica del Concordato.

Nel 1933 uscì il suo primo romanzo, Bàrnabo delle montagne, al quale seguì dopo due anni Il segreto del Bosco Vecchio. Da entrambe le opere furono tratti film ad opera di registi italiani: il primo girato da Mario Brenta nel 1994, il secondo da Ermanno Olmi nel 1993.

Fra il 1935 e il 1936 si occupò del supplemento mensile La Lettura.

È del 1939 il suo più grande successo: Il deserto dei Tartari, che verrà edito l'anno seguente (il titolo originale doveva essere La fortezza, poi cambiato per evitare il richiamo al conflitto mondiale ormai alle porte), dal quale nel 1976 Valerio Zurlini trasse il film omonimo. In quegli anni Buzzati cominciava a dedicarsi ai suoi fortunati racconti brevi, talvolta pubblicati anche sulle pagine del Corriere. Accanto all'attività narrativa, Buzzati continuò la sua attività di giornalista. Una scelta di suoi articoli trova spazio nella raccolta Cronache terrestri.

Nel 1949 fu inviato al seguito del Giro d'Italia, all'epoca la manifestazione sportiva più seguita nella penisola.

Con un tono narrativo fiabesco, Buzzati affrontava temi e sentimenti quali l'angoscia, la paura della morte, la magia e il mistero, la ricerca dell'assoluto e del trascendente, la disperata attesa di un'occasione di riscatto da un'esistenza mediocre (Le mura di Anagoor, Il cantiniere dell'Aga Khan, Il deserto dei Tartari), l'ineluttabilità del destino (I sette messaggeri) spesso accompagnata dall'illusione (L'uomo che voleva guarire). Il grande protagonista dell'opera buzzatiana è proprio il destino, onnipotente e imperscrutabile, spesso beffardo (come ne Il deserto dei Tartari). Perfino i rapporti amorosi sono letti con quest'ottica di imperscrutabilità (Un amore). La letteratura di Buzzati appartiene al genere fantastico, anche se talvolta presenta vicinanze al genere horror.

Fra i suoi ultimi scritti rientra I miracoli di Val Morel, pubblicato nel 1971 e non più ristampato. Il libro è una raccolta di finti miracoli, che nell'invenzione dell'autore sarebbero stati attribuiti a Santa Rita dalla tradizione popolare, e ispirati alla località di Valmorel di Limana.

Accanto all'attività di scrittore e giornalista, Buzzati si dedicava la pittura (terrà con successo anche alcune mostre) e al teatro, dando vita a un sodalizio con il musicista e direttore di orchestra Luciano Chailly, curando personalmente anche le scenografie delle sue rappresentazioni. Interessanti le esperienze come sceneggiatore, che lo videro collaborare con Federico Fellini alla stesura de Il Viaggio di G. Mastorna, il progetto che il regista inseguì tutta la vita, e che non ebbe mai luce. Sempre per il cinema, e probabilmente per lo stesso Fellini, realizzò anche il racconto e trattamento "Se sono grasso che male c'è", andato purtroppo disperso.

Fu, da un certo punto di vista, un autore molto realistico che affrontava la gente con i temi della solitudine e dell'angoscia. Uno dei pochi in Italia a promuovere i canoni della letteratura fantastica.

Morì di tumore al pancreas (male che già causò il decesso del padre nel 1920) alla clinica "La Madonnina" di Milano il 28 gennaio 1972.

A Buzzati sono stati dedicati il sentiero che collega Valmorel a Limana (provincia di Belluno) e un sentiero attrezzato che porta alla cima del monte Cimerlo nel Gruppo delle Pale di San Martino (Trento).

Lo scrittore sudafricano J. M. Coetzee, premio Nobel nel 2003, si è ispirato alla trama de Il deserto dei Tartari per scrivere uno dei suoi capolavori, Aspettando i barbari, pubblicato nel 1980. Ancora oggi, grazie a un numero elevatissimo di traduzioni Buzzati è forse più famoso all'estero che in Italia.

UN AMORE
Nella cornice di una Milano grigia, caliginosa e triste, fra salotti di case d'appuntamento e strade impregnate degli odori dei «camini, sfiatatoi delle caldaie a nafta, ciminiere delle raffinerie Coloradi, camion ruggenti e fogne», si sviluppa la vicenda dell'architetto Antonio Dorigo, 49 anni, che nell'inverno del 1960 incontra una giovanissima squillo, sedicente ballerina del teatro alla Scala di Milano. Così la maîtresse di una casa d'appuntamenti, la signora Ermelina, introduce al protagonista la sua ultima rivelazione: «... che bambina, vedrà (abbassò ancora di più la voce)... Mi raccomando sa, è minorenne... una ballerina»..........



Dorigo è dipendente dal rapporto di prostituzione; le ventimila lire sborsate per una marchetta gli consentono di varcare un universo proibito, attraverso il quale accostarsi a quella «creatura straniera che è la donna [...] creatura di un altro mondo vagamente superiore e indecifrabile». Dopo il primo incontro con l'avvenente ballerina — «c'era qualcosa di fresco, di popolaresco ma non volgare



Dorigo inizierà a coltivare una passione lacerante, accompagnata da un sentimento d'amore sempre più grande, che lo condurrà a un lento e inesorabile precipitare nell'intimo, poiché i suoi sentimenti non troveranno mai una sincera corrispondenza da parte di lei. L'architetto, incapace di uscire dal ruolo del cliente innamorato, sopporterà mortificanti umiliazioni pur di continuare a godere della compagnia della ragazza: reciterà negli alberghi la parte d'un improbabile zio e pretenderà di credere in buona fede alla relazione d'amicizia con il cugino Marcello



Laide, viziata e capricciosa opportunista, continuerà a farsi mantenere da Antonio ed a ingannarlo, a proposito della propria vita e dei propri impegni, concedendosi a lui con sempre minore desiderio e trasporto










IL ROMANZO E' DATATO 1963.IL FILM E' DEL 1965.LA REGIA E' DI GIANNI VERNUCCIO

Gianni Vernuccio
91 anni, 30 Maggio 1918 Il Cairo (Egitto)

Diplomato al Centro sperimentale di cinematografia, ha esordito come documentarista durante la seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra è passato al film a soggetto, con risultati artistici modesti. Tra i suoi film va segnalato, per una certa cura ambientale e un buon approfondimento psicologico dei personaggi, Un amore

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