Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso.....

Pablo Neruda





mercoledì 8 settembre 2010

Gli scritti di Ilaria Giudice




Su "Lapilli" il periodico in web, curo la rubrica di poesie e racconti"Pendrive" Ilaria Giudice è la giovanissima scrittrice recensita oggi

Da www.lapilli.eu



Come ogni giorno mi ritrovo, trasportata dall’ abitudine, in quel vicolo, spettatore silenzioso di qualunque storia, di un bacio rubato alla fretta, di una litigata tra gente senza casa, spettatore di una lacrima scacciata dal naso o di qualsiasi altro gesto che ha voluto compiersi proprio tra quelle due mura di Roma molto vicine. Cammino a passo svelto, ma con la mente mi muovo come in sogno. Attaccato ad un muro, un uomo con una barba incolta che gli sfiora di tanto in tanto il petto sta cantando. Poso lo sguardo su quelle mani che si muovono, ballerine, sulle corde di quella chitarra. Le note sono quelle di una canzone che amo e la sua voce mi entra dentro dolcemente. Invidio quelle due mura, che sembrano sussurrarsi qualcosa tanto sono vicine, che possono godere di quella melodia tutto il giorno.

Mi allontano e sento le note di quella voce sfiorarmi la schiena, come una leggera folata di vento che provoca un brivido piacevole sulla pelle. Oggi però ho deciso che non voglio avere fretta, non voglio allontanarmi da quello splendido attimo che mi ha regalato quello sconosciuto. Decido di tornare indietro e ora le note mi sbattono sul petto. Entro in un piccolo bar, che si fa riconoscere solo dall’ insegna arrugginita sopra la porta. Una piccola sala arredata in legno al cui interno arrivano quelle note che sto amando. Due tavolini davanti al bancone, su ognuno un mazzolino di tulipani di plastica. Rimango immobile ad osservare quel piccolo angolo che sembra essere lì da molti anni, con quel suo profumo caratteristico, un misto tra cappuccino e ciambella alla crema. I miei pensieri vengono interrotti dal saluto del proprietario che sbuca da dietro il bancone. Sembra che sia nato per stare lì dentro, non riuscirei ad immaginarlo in nessun altro posto o situazione. È lì, ed è incredibile come si sposi perfettamente con quelle quattro mura che racchiudono la sua vita. Da sotto due grandi baffi esce una voce rauca e forte che mi domanda cosa voglia. Ordino un succo alla pesca e nel porgermi il bicchiere noto che dietro il grembiule si nasconde una grande pancia. Mi siedo su uno dei due tavolini e sorseggiando la mia bevanda osservo i gesti perfetti di quell’ uomo. Ci avrà passato la vita lì dentro, quanti visi avrà visto, quante voci avrà sentito, a quante persone avrà detto buongiorno o arrivederci. Cerco di immaginare gli anni che aveva trascorso dietro quel bancone a servire la gente mentre i suoi capelli imbiancavano, la sua pancia aumentava, mentre i suoi figli crescevano e sua moglie moriva. Nel servirmi il succo di frutta avevo notato che all’ anulare portava due fedi. Qualcosa mi riportò alla realtà e notai che quella bellissima voce aveva smesso di accarezzare il mio corpo. Il mio bicchiere era colorato di arancione fino a metà e mi accorsi che la fretta che avevo abbandonato oggi stava cominciando a ricomparire; ma l’ uomo che cantava stava entrando in quell’ angolo di vita trascinando con sé una strana aria che mi faceva girare la testa. La stessa voce che si era rivolta a me gli stava domandando : “Il solito?”. Era già stato lì, forse c’ era sempre stato ed era per questo che quel bar aveva quell’ aspetto così incredibilmente bello. Non lo stavo guardando , lo stavo fissando, ma non riuscivo a staccare gli occhi da quello sguardo profondo, da quei capelli perfetti anche se arruffati. E poi quelle mani grandi, scure; quel modo di appoggiarsi su una gamba mentre metteva la chitarra per terra. Dietro quella barba si nascondeva un ragazzo e non potevo fare a meno di ammirarlo. Non so quanto tempo sono rimasta lì, i suoi occhi però si sono appoggiati sui miei. È stato un attimo fugace che mi ha annebbiato la vista e ha accelerato il battito del mio cuore per qualche secondo. Mi rivolge un ultimo sguardo e poi esce portando con se la stessa aria che l’ aveva accompagnato all’ entrata. Lo seguo con lo sguardo finchè non scompare. Lascio delle monete vicino al bicchiere mezzo pieno e muta esco anch’ io. Non lo trovo più, cerco il suo profumo tra quelli dell’ altra gente. Forse quello spettatore silenzioso lo sa da quale parte si è diretto e probabilmente le sue mura se lo stanno sussurrando. Delusa mi incammino verso i vagoni della metro. Entro rimanendo schiacciata tra una coppia straniera che, senza accorgersi di me, cerca di capire quale sia la loro fermata passandosi una cartina stropicciata e troppo usata. Le porte si aprono e un fiume di gente sfocia veloce e prepotente fuori dal vagone. Mi siedo e chiudo gli occhi ripensando a quel vicolo che è stato fortunato spettatore dei miei pensieri. Prendo l’ i-pod e metto play sulla stessa canzone che quello sconosciuto stava cantando. Alzo la testa dallo schermo e sento uno sguardo invadermi con una dolce prepotenza. Mi giro: due grandi mani scure , una chitarra e quell’ abisso negli occhi.

È lui e mi sorride mentre scompare dietro le due porte che sbattono


E poi ti affacci alla finestra e osservi le nuvole che si muovono, lente, compatte, senza accelerare e ti chiedi se la loro acqua un giorno bagnerà anche te.
E ti succede di sentire il cuore che batte allo stesso ritmo di quando ritrovi la tua figura in uno sfondo bianco senza capire più dove sei, come quando ti senti inghiottito dalle pagine di un libro troppo bello.
Dove ti ha portato la mente, dove ti sta facendo viaggiare?
E cominci a fare la retromarcia dei pensieri ritornando a quello di partenza.
Poi ti ritrovi con le mani sul vetro appannato che disegni il contorno di quella casa in lontananza e cancelli lo schizzo venuto male alitando con il tuo respiro bollente.
E i profumi dell’infanzia,i rumori sordi dei ricordi,i colori caldi di parole tenere, ti arrivano fino a dentro lo stomaco, ti entrano nelle vene e cominciano a scorrere nel tuo sangue.
E riesci a notare la bellezza di alcuni particolari che ad occhi aperti non saresti in grado di cogliere.
Ti ritrovi a pensare al nulla, o al tutto, non lo sai.
Ed è incredibile come, tendendo all’ infinito, il nulla e il tutto siano la stessa cosa.

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.Note di Ilaria Giudice writer
SegnalaScrivi una notaCielo a primavera
.pubblicata da Ilaria Giudice writer il giorno domenica 2 maggio 2010 alle ore 14.31.
E vedo le nuvole in quel cielo macchiato primaverile danzare dolcemente accompagnate da un cavaliere che chiamiamo vento.
Il mio film lo vedo alzando lo sguardo verso l'alto e mi perdo in quel volteggiare soffice e leggero.
E intanto risate di bambini, miagolii di gatti randagi e un fruscio cadenzato di foglie d’ ulivo cantano le note per una sinfonia perfetta per quel ballo naturale.
Quell’ ammasso di densi vapori che si sono raccolti nell’ atmosfera ad un certo punto diventa parte di me e mi cattura affettuosamente, mi ipnotizza, mi culla, mi abbraccia per poi lasciare teneramente la presa.
In quell’ attimo di mia prigionia, però mi sono sentita meglio, mi sono fatta trasportare e ho ballato con loro una danza irrepetibile, inenarrabile, degna di essere vissuta.
Poi porgo lo sguardo verso una formica che cammina stentatamente sulla gamba facendomi il solletico, la saluto con lo sguardo;chissà se anche lei è riuscita a dare uno sguardo tra le mie ballerine preferite…
E ponendomi questa domanda sciocca, sconclusionata e anche un po’ buffa, accarezzata dalle dorate spighe di grano, chiudo gli occhi, gioco con i miei pensieri e mi regalo una risposta; e la risposta è che anche una semplice, insignificante formica può godere della meravigliosa magia che solo un cielo a primavera può concedere.

Ilaria Giudice

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