Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso.....

Pablo Neruda





venerdì 26 febbraio 2010




Victor-Marie Hugo (Besançon, 26 febbraio 1802 – Parigi, 22 maggio 1885

E' stato uno scrittore, poeta e drammaturgo francese, considerato il padre del Romanticismo in Francia. Seppe tenersi lontano dai modelli malinconici e solitari che caratterizzavano i poeti del tempo, riuscendo ad accettare le vicissitudini non sempre felici della sua vita per farne esperienza esistenziale e cogliere i valori e le sfumature dell'animo umano.

I suoi scritti giunsero a ricoprire tutti i generi letterari, dalla poesia lirica al dramma, dalla satira politica al romanzo storico e sociale, suscitando consensi in tutta Europa
Nasce il 26 febbraio 1802 a Besançon nella Franca Contea, dove il padre Léopold-Sigismond Hugo (1773-1828), conte napoleonico e militare dell'esercito di Giuseppe Bonaparte, si trova di guarnigione, e lo segue poi, insieme alla madre Sophie Trébuchet (1772-1821) e ai fratelli Abel Hugo (1798-1855) e Eugène Hugo (1800-1837), prima a Parigi, poi anche a Napoli e in Spagna: a Napoli il padre riveste un ruolo decisivo nella cattura del brigante Fra Diavolo e per questo viene nominato governatore di Avellino; in Spagna ottiene da Giuseppe Bonaparte il grado di generale. Il giovane Victor manterrà sempre memoria di questi luoghi visti da bambino.

Dal 1813 tuttavia i suoi genitori si separano e la madre, insieme al generale Victor Fanneau de la Horie, si stabilisce a Parigi. Qui Hugo frequenta il Politecnico dal 1815 al 1818, per volere del padre, ma ben presto abbandona gli studi tecnici per dedicarsi alla letteratura. Ha quattordici anni quando scrive su un diario:

(FR)
« Je veux être Chateaubriand ou rien. »
« Voglio essere Chateaubriand o niente. »
(Adèle Hugo, Victor Hugo raccontato da un testimone della sua vita, 1863[1])

Il 12 ottobre del 1822 sposa, nella chiesa di Saint-Sulpice di Parigi, Adèle Foucher, una sua amica d'infanzia; nasceranno cinque figli:

La scoperta, dopo qualche anno, del tradimento della moglie con l'amico di famiglia Sainte-Beuve lo porterà a condurre una vita di libertinaggio; sua amante per circa cinquant'anni sarà Juliette Drouet, un'attrice teatrale conosciuta durante le prove di Lucrezia Borgia, nel 1833. Juliette Drouet gli restò sempre vicina (salvandolo anche dalla prigione in occasione del colpo di stato di Napoleone III) nonostante le molteplici infedeltà dell'amante: per lei scriverà molti poemi, tra cui un Libro dell'anniversario compilato dai due ogni anno, il giorno dell'anniversario, appunto, del loro primo incontro.

Nel 1843 muoiono tragicamente la figlia Léopoldine e il genero Charles Vacquerie, annegando nel corso di una gita in barca; Hugo apprende la notizia al rientro da una vacanza, leggendola sul giornale Le Siècle. La tragedia, unita all'insuccesso del suo lavoro teatrale I Burgravi del 1845, gli causa una grave depressione che lo tiene lontano dal mondo letterario per dieci anni.

« Là où la connaissance n’est que chez un homme, la monarchie s'impose. Là où elle est dans un groupe d'hommes, elle doit faire place à l'aristocratie. Et quand tous ont accès aux lumières du savoir, alors le temps est venu de la démocratie. » (IT)
« Quando la conoscenza si trova in un solo uomo, la monarchia s'impone. Quando si trova in un gruppo d'uomini, questa deve far posto all'aristocrazia. Ma quando tutti hanno accesso ai lumi del sapere, è venuto il tempo della democrazia. »

Nel 1878 è colpito da una congestione cerebrale, mentre i festeggiamenti per il suo ottantesimo compleanno — pubblicamente celebrati — vengono offuscati dalla morte di Juliette Drouet. Muore il 22 maggio 1885[6], e la sua salma viene esposta per una notte sotto l'Arco di Trionfo e vegliata da dodici poeti, anche se, in ottemperanza alle sue ultime volontà[7], le esequie hanno luogo nel corbillard des pauvres[8]. Il 1º giugno, dopo aver esitato per il cimitero del Père Lachaise, è portato al Pantheon appena inaugurato. Si calcola che tre milioni di persone siano venute a rendergli omaggio in quell'occasione, mentre cronisti riportano che le prostitute della città per quella notte lavorarono gratuitamente.

La sua tomba si trova tuttora al Pantheon di Parigi, collocata accanto a quella degli altri due grandi scrittori francesi del XIX secolo, Alexandre Dumas padre ed Émile Zola.

« L'ensemble de mon œuvre fera un jour un tout indivisible. [...] Un livre multiple résumant un siècle, voilà ce que je laisserai derrière moi. » (IT)
« L'insieme della mia opera un giorno sarà come un tutto indivisibile. [...] Un libro molteplice che sintetizzi un secolo, ecco quello che lascerò dietro di me. »

L'opera maggiore sono I miserabili
Trama:
Jean Valjean, giovane potatore a Faverolles, dovendo provvedere alla sorella e ai figli di questa, per disperazione si trova costretto a rubare un tozzo di pane; per questo crimine viene condannato a quatro anni di lavori forzati nel carcere di Tolone, pena che viene allungata di ulteriori 14 anni a seguito di vari tentativi falliti di evasione. Viene infine liberato dal carcere a seguito di un'amnistia nei primi giorni del 1815, dopo 19 anni di reclusione; in questa data egli ha 46 anni, si può perciò arguire che fosse entrato in carcere a 27 (nel 1796) e che fosse nato nel 1769.

All'uscita dal carcere Jean Valjean si trova a vagabondare per diversi giorni attraverso il sud-est della Francia, vedendosi chiudere in faccia ogni alloggio ed ogni opportunità a causa del suo passato di galeotto, che lo identifica come un reietto della società. Questa situazione disperata finisce per esasperare il risentimento e l'odio nei confronti della società e di tutto il genere umano fino a spingerlo ad una fredda malvagità d'animo. Frattanto, giunto, nel suo vagabondare, nella città di Digne, ha la fortuna di imbattersi nel vescovo della città, Monsignor Myrel, ex aristocratico rovinato dalla Rivoluzione francese e costretto all'esilio, trasformatosi dopo una crisi spirituale in un pio e giusto uomo di chiesa dall'eccezionale altruismo. In un primo momento Valjean diffida del prelato, che pure lo accoglie in casa e tenta di redimerlo dai suoi vecchi peccati, e giunge anzi a rubare le posate d'argento del vecchio e a fuggire. Riacciuffato dalla polizia, viene portato di nuovo di fronte al Vescovo, il quale lo difende dai gendarmi sostenendo che quelle posate fossero in realtà un dono, e rimproverandolo di non avere preso dei candelabri d'argento, fino ad allora gli unici oggetti di lusso tenuti da Myriel. Attraverso quel gesto il monsignore comprava l'anima di Jean Valjean e la consacrava a Dio. Scosso e turbato dalla carità rivoltagli dal vescovo, in uno stato d'animo confuso Valjean, rilasciato, giunge quella stessa notte a commettere un nuovo furto, rubando ad un bambino una moneta d'argento. Quando realizza ciò di cui si è reso colpevole, Jean Valjean, scosso da un terribile rivoltamento di coscienza, realizza ciò che il vescovo volesse comunicargli, e matura la viva decisione di cambiare per sempre vita, seguendo l'esempio del caritatevole prelato. Quello stesso anno, il 1815, Jean Valjean -ancora ricercato per i furti commessi- si stabilisce a Montreuil-sur-Mer dove, grazie al denaro del vescovo, riesce ad impiantare una fiorente industria di bigiotteria e a diventare un cittadino rispettabile, ovviamente celando il proprio passato e assumendo la falsa identità di Monsieur Madeleine. I suoi gesti di bontà e di carità verso i poveri lo rendono presto molto amato dagli abitanti della cittadina, che giungono a nominarlo sindaco di lì a pochi anni. Solo l'ispettore di polizia locale, Javert, che che era stato secondino a Tolone, nutre alcuni dubbi sul suo passato ed inizia a sospettare la sua reale identità. Frattanto Valjean incontra una poverissima donna, Fantine, ex impiegata in una delle sue fabbriche licenziata -a sua insaputa- dalla sua direttrice del personale perché madre di una bambina senza essere sposata, in contrasto con la moralità del tempo. Deciso ad aiutare l'infelice, gravemente ammalata, Jean Valjean la salva dalla prigione in cui Javert, venuto ad arrestarla per un'aggressione ad un aristocratico che l'aveva importunata durante la sua attività di prostituta, voleva spedirla. Una volta caduta in malattia, le promette di ricongiungerla alla figlia, Cosette, affidata dalla madre cinque anni prima ad una coppia di locandieri a Montfermeil.

Contemporaneamente però, Valjean viene a sapere che, a causa di uno scambio di identità, un uomo catturato dalla polizia ad Arras è stato ritenuto essere l'evaso Jean Valjean e rischia come tale una condanna a vita. Pur rendendosi conto che l'evento potrebbe volgere a suo vantaggio, eliminando per sempre i sospetti del passato dalla sua persona, l'ex forzato comprende che non può permettere che un innocente venga incriminato al suo posto; dopo una notte di angosce e di indecisione si reca in tutta fretta sul luogo del processo e su autodenuncia al giudice, rivelando la propria identità e scagionando così il suo "alter ego". Tornato a Montreuil-sur-Mer, Valjean ha appena il tempo di assistere alla morte di Fantine prima che la polizia, con Javert in testa, venga ad arrestarlo. Riesce poi a sfuggire una prima volta alla cattura, viene in seguito ripreso ma riesce ad evadere e a simulare la sua morte. Questi eventi avvengono nel 1823, all'epoca in cui Jean Valjean ha 54 anni. Fuggito di galera, Jean Valjean si reca a Montfermeil dove scopre le crudeli condizioni in cui i Thénardier, proprietari della locanda e tutori di Cosette, costringono a vivere la piccola, trattata al pari di una serva e privata di ogni affetto e calore. Dietro pagamento di una ingente somma, ed in parte imponendo la propria autorità (Valjean viene infatti descritto come un uomo dalla corporatura imponente e di una forza erculea) riscatta la bambina e si nasconde con lei in una misera casa nei sobborghi di Parigi. Scovato anche qui dall'instancabile Javert, frattanto promosso ispettore nella capitale francese, è costretto di nuovo alla fuga e riesce a nascondersi con Cosette in un convento cittadino di monache di clausura, il Petit-Picpus, nel quale trova rifugio grazie all'intercessione del giardiniere, Monsieur Fauchelevent, un ex carriettiere a cui aveva salvato la vita tempo addietro a Montreuil. Trascorre così in convento quasi sei anni, celandosi sotto l'identità di Ultime Fauchelevent, fratello del giardiniere e che resterà il suo nome "ufficiale" per il resto della sua vita. Cosette e Jean Valjean escono dal convento -per decisione dello stesso Valjean, che non voleva privare la piccola delle gioie della vita spingendola verso la vita monastica- nel 1829, all'epoca in cui il vecchio ha 60 anni e la bambina 14. Jean Valjean e Cosette prendono alloggio in Rue Plumet, a Parigi, dove vivono una vita modesta e ritirata grazie ai notevoli risparmi che Valjean era riuscito a mettere in salvo prima della sua cattura a Montfermeil; il denaro che questi aveva guadagnato al tempo in cui si faceva passare per Monsiuer Madeleine ammonta infatti alla sostanziosa cifra di 600'000 franchi, nascosti con cura ai piedi di un albero in un bosco nei pressi di Montfermeil, dai quali Valjean attinge però con estrema parsimonia considerandoli la dote di Cosette.

Nel corso delle lunghe passeggiate dei due nei Giardini del Lussemburgo, la giovane Cosette nota un giovane, Marius, studente universitario, liberale, repubblicano e bonapartista di buona famiglia ma praticamente diseredato a seguito di una lite, per motivi politici con il nonno, un nostalgico monarchico. Figlio di un ufficiale napoleonico sopravissuto a Waterloo, cresciuto in ambienti reazionari cari al nonno materno, il giovane Marius riscopre l'identità del padre e l'amore per la Rivoluzione e l' Imperatore. Arrivato tardi al capezzale del padre morente, mostrerà venerazione al padre tenendo fede alle sue ultime volontà redatte nel testamento: qualora Marius ritrovasse un tale Thenardier, farà di tutto per renderlo felice. Quell'uomo, secondo quanto scritto dal padre, lo salvò dalla morte sul campo di battaglia di Waterloo. In realtà Thenardier, estrasse il corpo dell'ufficiale dal cumulo di corpi dove sarebbe soffocato, solo per depredarlo di eventuali ricchezze. Per Marius ripagare quel debito diventa lo scopo di una vita. Finché passeggiando ai giardini scorge Cosette e ne cade innamorato.

Nel frattempo, Jean Valjean cade in un tranello tesogli da Thénardier, l'ex oste di Montfermeil che, caduto in disgrazia, era divenuto capo di una banda di ladri ed assassini parigini e che, a conoscenza della ricchezza dell'ex forzato, lo attira con i suoi soci in casa sua e lo rapisce. Valjean riesce però a salvarsi in parte grazie a Marius, che venuto a sapere per caso del piano di Thénardier, suo inaspettato vicino di casa, attraverso un buco sulla parete che divide i due alloggi, allerta la polizia, facendo però così intervenire sul luogo del delitto proprio il terribile Javert. Nella confusione che segue Valjean riesce comunque a dileguarsi sia dai banditi che dalle forze dell'ordine.

Marius, intanto, scoperta l'abitazione di Cosette e del padre, inizia a tessere con la giovane una platonica ma intensa relazione d'amore, all'insaputa del genitore di questa. Quando però il vecchio, timoroso, dopo il faccia a faccia con Thénardier, per l'incolumità della figlia le cumunica la sua intenzione di trasferirsi con lei in Inghilterra, i due amanti disperati si trovano costretti alla separazione. Marius, disperato ed impotente, decide di uccidersi e si avvia perciò verso il centro cittadino, dove stanno intanto divampando gli scontri fra rivoluzionari repubblicani e soldati di Luigi Filippo, e si unisce ai suoi amici insurrentisti capeggiati dal carismatico Enjolras cercando la morte sulle barricate.

La libertà che guida il popolo, quadro di Delacroix che probabilmente ispirò il IV Tomo del romanzoMentre infuriano gli scontri della notte fra 5 e 6 giugno 1832, Jean Valjean viene a scoprire, tramite una lettera traditrice, il legame fra Cosette e Marius, da lui nemmeno sospettato. Soffocato dall'amore per Cosette, e dalla paura di perderla, il genitore rimane sconvolto dalla notizia. Poco dopo, quella stessa notte, Gavroche, monello di strada inviato da Marius, gli recapita un messaggio scritto per Cosette dal giovane dalla barricata. Leggendolo, Jean Valjean scopre l'intenzione del giovane di suicidarsi e, alla notizia, pur se combattuto si avvia egli stesso alla barricata. Qui, nell'infuriare degli scontri, ritrova Javert, fatto prigioniero dei rivoltosi e da questi condannato a morte. Tramite un sotterfugio, l'ex forzato si incarica dell'esecuzione dell'ispettore ma, nascosto dietro ad un muro che lo rendeva invisibile ai rivoltosi, simula l'omicidio e risparmia il poliziotto. Poi, mentre polizia e Guardia Nazionale irrompono nella barricata, porta in salvo Marius, colpito e privo di sensi, sottraendolo alla cattura e alla morte conducendolo sulle sue spalle in un terrificante viaggio attraverso le fogne parigine. Nel tentativo di uscire dal dedalo delle fogne parigine, Jean Valjean incontrerà Thenardier, rifugiatosi nella cloaca per sfuggire all'ispettore Javert, appostato lì fuori. Mentre Jean Valjean riconosce l'antico locandiere di Montfermeil, Thenardier non riconosce Jean Valjean. Scambiatolo per un assassino gli accorda la libertà, ossia gli apre l'inferriata che affacciava sulla Senna, in cambio della spartizione del bottino rubato al presunto defunto che portava in spalla. Finite le contrattazioni all'uscita della fogna l'ex forzato si imbatte però in Javert, che lo arresta e lo conduce con sé in una carrozza. Dopo aver depositato l'esanime Marius a casa del nonno, Javert riconduce Jean Valjean a casa sua e, con suo sommo stupore, lo lascia libero di andarsene. In seguito, l'integerrimo ispettore di polizia, incapace di conciliare la propria coscienza di uomo, che deve la vita ad un criminale e gli è perciò riconoscente, con quella di tutore della legge, sceglie il suicidio gettandosi nella Senna.

Marius, ristabilitosi dalle ferite e riconciliatosi con il nonno, sposa Cosette -con il beneplacito di Jean Valjean- nel 1833. Dopo il matrimonio questi, pur avendo ricevuto l'offerta di vivere con la novella coppia nella loro casa, come già era successo a Montreuil comprende, dopo una tormentatissima notte, di non poter porre la propria felicità al disopra di quella di un altro -nella fattispecie quella di Cosette- e di non poter permettere che il proprio passato possa mettere in pericolo la futura vita della giovane. Perciò, preso in disparte Marius gli racconta del proprio passato di galeotto, ed accetta con profondo dolore di separarsi da Cosette e a non vederla più.

Lontano dalla figlia adottiva, solo e depresso, il 64enne Jean Valjean inizia a risentire quasi improvvisamente del peso dei suoi anni, ammalandosi ed indebolendosi sempre più. Quando, nel giugno 1833, Marius viene fortuitamente a sapere, proprio grazie al malvagio Thénardier -che, dal canto suo, meditava una ennesima truffa ai danni del giovane- di dovere la vita a Jean Valjean, fa appena in tempo a correre da lui con Cosette per assistere alla sua morte, e a dare il tempo al vecchio di vedere un'ultima volta l'amata figlia adottiva. Valjean spira così, sventurato ma sereno, significativamente illuminato dalla candele poste sui candelabri donatigli dal vescovo di Digne, nel cui esempio ha vissuto la sua intera vita di galeotto redento.

Stando a quanto si apprende nell'ultimo paragrafo del romanzo, la sua tomba viene posta nel cimitero del Père Lachaise, anonima se non per una iscrizione tracciata a matita che recita:

FR)
« Il dort. Quoique le sort fût pour lui bien étrange,
Il vivait. Il mourut quand il n'eut plus son ange;
La chose simplement d'elle-même arriva,
Comme la nuit se fait lorsque le jour s'en va. »
(IT)
« Riposa: benché la sorte fosse per lui ben strana,
pure vivea: ma privo dell'angel suo morì:
La cosa avvenne da sé naturalmente
come si fa la notte quando il giorno dilegua »
(I Miserabili, Tomo V libro nono, traduzione italiana di Marisa Zini (Mondadori) )





giovedì 25 febbraio 2010




« La vita mi procura molte sofferenze. Quelli che non hanno mai provato niente, non possono cantare. »

Enrico Caruso (Napoli, 25 febbraio 1873 – Napoli, 2 agosto 1921) è stato un tenore italiano. È considerato il tenore per eccellenza, grazie alla suggestione del timbro e alla inconfondibile malia dello strumento vocale.

Di lui hanno detto o scritto:

« Sembrava che le corde vocali, anziché nella laringe, fossero situate nel muscolo cardiaco e fossero mosse dal sangue, nel ritmo delle sistole e delle diastole »
(Giacomo Lauri Volpi)
« Sarebbe diventato cantante anche se fosse venuto al mondo senza corde vocali »
(Joseph Roth

Nacque in una povera famiglia (originaria di Piedimonte d'Alife oggi Piedimonte Matese, un piccolo centro dell'alto casertano) in via SS. Giovanni e Paolo 7 nel quartiere napoletano di San Carlo all'Arena, ove una lapide ne ricorda l'evento: il padre, Marcellino, era un operaio metalmeccanico e la madre, Anna Baldini, faceva la donna delle pulizie. La madre aveva avuto prima di lui 17 figli: tutti morti. Dopo di lui nacquero altri tre fratelli.


Dopo aver frequentato le scuole regolari, a dieci anni andò a lavorare col padre in fonderia ma sotto l'insistenza della madre si iscrisse a una scuola serale dove scoprì di essere portato per il disegno; iniziò così ad elaborare progetti di fontane per l'officina dove lavorava. Ma nel frattempo qualcosa stava crescendo in lui: la sua Voce. Le prime arie d'opera e le prime nozioni di canto gli vennero insegnate dai maestri Schiardi e De Lutrio.

Ma oltre a cantare nel coro della chiesa, Enrico fece qualche apparizione in spettacoli teatrali; la sua voce nel frattempo si era irrobustita e le piccole rappresentazioni cominciarono a non bastargli più. La sua fortuna iniziò quando il baritono Eduardo Missino sentendolo cantare si entusiasmò a tal punto che lo presentò al maestro Guglielmo Vergine il quale accettò di dargli lezioni per fargli migliorare la voce ma pretese da lui il 25% dei suoi guadagni con un contratto che sarebbe durato cinque anni

così ad esibirsi nei teatri di Caserta, Napoli e Salerno e fece la sua prima esibizione all'estero al Cairo percependo la cifra di 600 lire per un mese di lavoro. Nel 1897, a Salerno, Caruso conobbe il direttore d'orchestra Vincenzo Lombardi che gli propose di effettuare con lui la stagione estiva a Livorno; qui Caruso conobbe la soprano Ada Giacchetti, sposata e madre di un bambino. Con lei avrà una relazione che durerà undici anni e da cui nasceranno due figli: Rodolfo ed Enrico junior. Ada lo lascerà per fuggire con il loro autista, con il quale cercherà anche di estorcergli denaro. Tutto finirà in tribunale con la dichiarazione di colpevolezza per la Giacchetti che verrà condannata a tre mesi di reclusione e a 100 lire di multa.

Nel 1900 Caruso cantò nuovamente alla Scala nella Bohème diretta da Arturo Toscanini e nel 1901 a Napoli al Teatro San Carlo dietro un compenso di 3.000 lire a recita. Qui, durante l'interpretazione de L'elisir d'amore ebbe la sua più grande delusione: la sua emozione e un'insicurezza malcelata non lo fecero cantare al meglio. Fortemente deluso dalla reazione dei suoi concittadini e dalle critiche che gli vennero rivolte, (centrate sul fatto se la sua voce fosse portata maggiormente al registro di baritono piuttosto che su quello di tenore), decise di autoesiliarsi e di non cantare mai più nella sua città natale.

Nel 1909 incise una serie di ventidue canzoni napoletane che comprendevano anche Core 'ngrato, canzone scritta da Riccardo Cordiferro e da Salvatore Cardillo che si ispirarono alle sue vicende sentimentali dopo l'abbandono da parte della Giacchetti

Sposata il 28 agosto del 1918 Dorothy Benjamin, ragazza di buona famiglia più giovane di lui di venti anni (dalla quale avrà una figlia, Gloria), Caruso iniziò verso il 1920 a soffrire d'insonnia e, durante la rappresentazione di Pagliacci, ebbe un calo di voce; ma fu tre giorni dopo, mentre cantava ne L'elisir d'amore, che perse sangue dalla bocca e fu costretto a sospendere la recita. Venne operato il 30 dicembre al polmone sinistro. Trascorse la convalescenza in Italia, a Sorrento; dopo una lieve ripresa ebbe una ricaduta e non poté finire il viaggio verso Roma per subire un nuovo intervento chirurgico: il male lo fermò in una delle stanze dell'albergo Vesuvio a Napoli dove morì a soli 48 anni.

È sepolto a Napoli, in una cappella privata nel cimitero di Santa Maria del Pianto nel quartiere Doganella.









mercoledì 24 febbraio 2010




Mattia Preti (Taverna, 24 febbraio 1613 – La Valletta, 3 gennaio 1699)

E' stato un pittore italiano . È detto anche il Cavaliere Calabrese perché nato in Calabria e fatto cavaliere da papa Urbano VIII durante la sua attività a Roma. Fu attivo in Italia e a Malta.

Mattia Preti nacque in un piccolo centro della Calabria montuosa, Taverna, ai margini della scena culturalmente più viva del suo tempo. Non è certo qui che può aver ricevuto stimoli culturali tali da influenzare la successiva carriera artistica: il clima che vi si respirava non doveva discostarsi troppo dalla rielaborazione in chiave locale degli esempi del tardo manierismo meridionale, testimoniati dalla pittura di Giovanni Balducci, Giovan Bernardino Azzolino e Fabrizio Santafede.

Gli stimoli più rilevanti furono probabilmente di altra natura. Preti nasce terzo di una numerosa stirpe appartenente al ceto intermedio delle famiglie "onorate", non ricche di possedimenti o beni materiali ma di "qualità morali e intelettuali", come rilevò nel 1929 Alfonso Frangipane, il più tenace e assiduo ricercatore di documenti pretiani, ricordando la separazione fra ceti elaborata nel 1605.


La madre, Innocenza Schipani, apparteneva ad una delle quattordici famiglie nobili di Taverna, da tempo insediata nel borgo di San Martino, nella cui chiesa parrocchiale possedeva una cappella gentilizia che ospitò il battesimo del piccolo Mattia il 26 febbraio 1613, due giorni dopo la nascita. Il suo precettore fu don Marcello Anania, parroco della Chiesa di Santa Barbara di Taverna, che lo istruì «nella grammatica e nelle buone lettere.

Nel 1630 si trasferì a Roma, dove abitò nei primi anni insieme al fratello Gregorio, anche lui pittore. Conobbe le tecniche del Caravaggio e della sua scuola, da cui fu fortemente influenzato. A questo periodo risalgono gli affreschi di San Giovanni Calibita, di San Carlo ai Catinari e di Sant'Andrea della Valle in Roma.

Rimase a Roma per quasi venticinque anni, ma si recò spesso in viaggio per l'Italia e l'estero (Spagna e Fiandre soprattutto), avendo contatti con i Carracci, col Guercino e con Giovanni Lanfranco, che influenzarono ulteriormente la sua pittura

Dal 1653 si trasferì a Napoli, e tra il 1657 e il 1659 affrescò le porte della città durante la peste; inoltre sulla volta di San Pietro a Majella dipinse la vita di San Pietro Celestino e Santa Caterina d'Alessandria e il Figliol Prodigo.

Nel 1661 l’artista si trasferì a Malta, chiamato dal Gran maestro dell'ordine di Malta Raphael Cotoner. Sull'isola realizzò buona parte della decorazione della Concattedrale di San Giovanni a La Valletta per conto dei Cavalieri Ospitalieri, ed altre opere per le varie chiese maltesi. Secondo lo storico dell'arte Antonio Sergi, Mattia Preti avrebbe realizzato a Malta un totale di circa 400 opere tra tele ed affreschi[2].

Dal 1672 riesce a realizzare alcune opere nelle chiese della sua città natale, Taverna.

Morì nel 1699 a La Valletta.



lunedì 22 febbraio 2010



Spettacoli per cinque giorni all’apertura, il 24 febbraio ore 9,30, dell’Ikea a Salerno-Baronissi. Le manifestazioni avranno inizio con Capone, i Bungt e Bangt e i loro strumenti originali, fatti di pentole, barattoli, posate, bidoni e tutto ciò che percuotendo procura ritmo e rumore. La festa inaugurale andrà avanti dalle 10,30 alle 20,30, con spettacoli d’intrattenimento ed animazione, per bambini ma ricreativi anche per gli accompagnatori adulti. Ci saranno, così, i trucca-bimbi, gli scultori di palloncini, Pippi calze lunghe, in compagnia di uno splendido principe e una simpatica Alce per mascotte. Ed ancora, animatori festanti, clown burleschi, svedesi in abito tradizionale e attori che animeranno e renderanno vivi gli ambienti, esposti all’Ikea.
Il megastore, dalla solida struttura azzurra e la prorompente scritta gialla, ben visibile dall’autostrada Salerno-Avellino, è l’azienda multinazionale svedese che ha sede nei Paesi Bassi ed è specializzata nella vendita di mobili a prezzi ridotti. La società, che tanto successo ha presso di noi, ha 258 punti vendita, in 37 paesi, prevalentemente europei, ha 127,800 collaboratori ed è presente in 39 nazioni. La parola IKEA è un acronimo:IK dal nome di Ingvar Kamprad, fondatore dell'azienda; E da Elmtaryd, l'antico nome di Älmtaryd, il villaggio dello Smaland, dove Ingvar nacque; A da Agunnaryd, (località) dove visse.

Maria Serritiello
tratto dal giornale in web: lapilli.eu







domenica 21 febbraio 2010



DANIELA SAULINO,LA RAGAZZA MORTA A ROMA CON IL SUO FIDANZATO ED IL CANE,NEI GIORNI SCORSI, E' LA FIGLIA DI MIA CUGINA ELIANA.LA NOTIZIA E' RIMBALZATA NELLE PAGINE DELLA CRONACA NAZIONALE E NON CI SONO PARLOE PER UNA DISGRAZIA COSI' GRANDE. A MODO MIO VOGLIO RICORDARLA ED ESSERE VICINA ALL'IMMENSO DOLORE DEI GENITORI

CON TE

Con te,
l’aria che è veleno,
il cane sopito e fedele,
il giorno nato per caso,
l’amore che aspetta la festa
e la vita che ancora ti sfugge.
Con te,
la madre, il padre
ed il guscio che ovunque portavi,
i prati fioriti, il canto libero
e gli uccelli sazi di primavera.
Nel cielo limpido,
nessuna insidia nascosta,
nessun assassino alle porte.
L’amore, nel giorno che impazza
ti chiama
e tu
la mano sicura
protendi.

21-2-2010
Per Daniela
Maria Serritiello




venerdì 19 febbraio 2010




IL FESTIVAL DI SANREMO,QUEST'ANNO LA 60° EDIZIONE(INVECCHIAMO INSIEME!!),UN PEZZO DELLA NOSTRA STORIA !!!
NON SE NE PUO'ASSOLUTAMENTE FARE SENZA,MAGARI PER CRITICARLO,
UNA MANIFESTAZIONE CHE CI RICORDA COM'ERAVAMO

Voglio rendere omaggio ad un artigiano della canzone italiana :Nino D'angelo e posto la sua canzone, anche se non impazzisco per la sua musica



E voglio augurare un futuro di successo a Valerio Scanu,
idipedentemente da chi vincerà la gara



VIVA LA CANZONE ITALIANA!!!!!

AH, DIMENTICAVO,LO SPETTACOLO PIU' ELEGANTE CHE ABBIA MAI VISTO A SANREMO!!!!.E' LA RIPROVA,CHE L'ARTE E' ARTE SEMPRE,MAI IMPROVVISAZIONE E APPROSSIMAZIONE.IL GUSTO ESTETICO VA COLTIVATO E NON INVOLGARITO, COME SUCCEDE ORMAI OVUNQUE NELLA NOSTRA TV.QUESTO DI DITA WON TEESE, E' STATO UN BELL'ESEMPIO, SI PUO' OSARE SENZA DIVENTARE BECERI E FREQUENTATORI DI TAVERNE.

LA REGINA DEL BURLESQUE:DITA WON TEESE



E L'OMAGGIO COMMOSSO VA A NILLA PIZZI,SALITA SUL PALCO DELL'ARISTON, CON LA VOCE COSI'BENE IMPOSTATA, ALLA SUA ETA'(CHE NON DICO PER RISPETTO ALLA SUA CIVETTERIA), DA FAR INVIDIA ALLE NUOVE GENERAZIONI DI CANTANTI, E' LEI LA VERA REGINA DI QUESTA INSOSTITUIBILE MANIFESTAZIONE.



ED ECCO L'OMAGGIO DI CARMEN CONSOLI ALLA REGINA NILLA

martedì 16 febbraio 2010




Il Carnevale di Putignano
Origine Quello di Putignano, in Puglia, a 40 km da Bari, è il più antico carnevale d’Italia; anzi la tradizione, di origine non certa, lo fa risalire addirittura al 1394, per cui sarebbe uno dei più antichi d’Europa. La ragione della vecchia tradizione va cercata nella storia della città, quando i Cavalieri di Malta, che governavano questo territorio, decisero che Putignano sarebbe stata la sede di trasferimento delle reliquie di Santo Stefano di Monopoli, per salvaguardarle dagli attacchi dei Saraceni. I putignanesi, all’arrivo, accolsero festosi i resti santi e dopo la cerimonia religiosa si abbandonarono a canti, balli e recitazioni di propaggini (versetti in rima putignanese) che ancora oggi sono nella tradizione del moderno carnevale.
Curiosità Per congegnare lo scheletro dell’impalcatura al primo carro si utilizzò la rete di un pollaio. Con l’avvento del fascismo il carnevale della città, da cerimonia contadina si trasformò in manifestazione borghese e per far sfilare i carri allegorici si usò la parata, un modello comunicativo, preferito dal regime. La trasformazione del vecchio carnevale ebbe successo, anche per aver trasferito, nello svago scherzoso, le competenze di falegnameria delle molte maestranze artigianali del luogo. Dal 2006, il secondo sabato di luglio viene organizzata anche una versione estiva del carnevale e la maschera simbolo di tale manifestazione è “ Farinella” dall’omonimo piatto putignanese.
Caratteristiche. Oltre ad essere il più antico è anche il più lungo, il carnevale di Putignano, infatti esso ha inizio il 26 dicembre con la funzione dello scambio del “cero”. In questa cerimonia la gente offre un cero alla chiesa per chiedere preventivamente perdono sia per i peccati, che commetterà durante il carnevale sia per il contenuto delle propaggini che reciterà di lì a poco. A partire, dal 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio Abate, nella cittadina si susseguono tanti festosi appuntamenti, tutti di giovedì, nei quali si prendono in giro i vari strati sociali, per cui in ordine, si celebrano i giovedì dei monsignori, dei preti, delle monache, dei vedovi, degli scapoli, delle donne sposate e dei cornuti. Dopo tanta baldoria il carnevale termina con un comico funerale in cui lui, trasformato in un maiale, attende solo di essere mangiato, prima del digiuno della quaresima.
Riti che accompagnano il Carnevale di Putignano.
La festa dell’orso che consiste nell’attribuire all’orso la capacità di riconoscere, con la logica rovesciata della festa carnevalesca, come sarà l’andamento del clima, per la parte rimanente dell’inverno, proprio il giorno della candelora. Per cui se in quel giorno il tempo è buono l’orso si costruisce un “pagliaio” per proteggersi, se invece il tempo è cattivo l’orso non si costruirà nessun riparo, perché il tempo sarà bello.
Estrema unzione del carnevale. Alla vigilia del martedì grasso, di sera, un corteo mascherato con paramenti sacerdotali impartisce una solenne benedizione al carnevale morente, usando strofe in dialetto e spostandosi per tutto il paese.
Il funerale di carnevale. Un maiale, che metaforicamente interpreta tutti gli eccessi della festa, viene bruciato nella piazza centrale della città. Il fuoco purifica tutto e non fa eccezione neanche per i bagordi di carnevale. L’indomani, per 40 giorni, imperverserà la quaresima con i suoi riti sacrificali e sarà meglio abituarsi, da subito, alle astinenze e ai digiuni.
La campana dei maccheroni. Davanti ad una grande campana di cartapesta, issata nella piazza centrale, tutti i cittadini e quanti sono accorsi, si ritrovano per gli ultimi istanti della breve vita del Carnevale, a mangiare un piatto di gustosi maccheroni e a bere un buon bicchiere di vino, in allegria.
Edizione 2010
La prima cosa che colpisce il visitatore, appena giunge a destinazione, è l’altezza davvero imponente dei carri. Gli eccezionali manufatti di cartapesta issati su meccanismi complicati per poter essere trasportati agevolmente in giro, irridono, travolgono e rappresentano con sottile perfidia i maggiori difetti dell’uomo. La musica sparata intorno fino all’ultimo decibel impacchetta le orecchie, sicché è l’unico suono che si riesce a percepire per tutta la rappresentazione spettacolare. Il corso principale della cittadina appare come un fiume in piena, invaso da colori sgargianti, da diverse fogge di mascheramento e da personaggi di tutte le età che, a piedi o arrampicati fino all’ultimo punto più alto dei carri, danzano a ritmi sfrenati e ballano interminabili sambe. Le allegorie dei carri sono ben comprensibili e riprendono eventi, di rilievo nazionale ed internazionale, riferiti alla politica, all’attualità, alla solidarietà e alla morale. Sfilano così, beffeggiati e scherniti dai cortei di accompagnamento, su di un carro intitolato “Assalto alla diligenza”, i politici di turno, tra cui Di Pietro, Fini e La Russa. Pieno di simbolismo, poi, il carro denominato “La Piovra” rappresentato da un immenso polipo dai tentacoli attorcigliati e prensili, pronto ad arraffare tutto . Ed ancora, il carro di Berlusconi nudo, quello della cattiva sanità, del potere ecclesiastico, della rossa Brambilla, impostata e gambe accavallate e della scialba Gelmini con enormi forbici, quelle con cui ha prodotto i tagli alla scuola. Non mancano nella sfilata, i carri dedicati alla solidarietà, alla diversità dei popoli e all’infanzia, insomma tutto un universo sociale reinterpretato buffamente, in modo arguto e con regole capovolte. Ad animare la sfilata di Putignano non è soltanto la cartapesta ma anche gruppi mascherati che col travestimento, momento di assoluto rilievo del carnevale, rappresentano per strada veri e propri spettacoli itineranti. I carri, autentiche opere d’arte, vengono realizzati dai maestri cartapestai, in enormi capannoni, affascinanti laboratori, dove man mano si materializzano per la gioia di chi li vedrà sfilare. Prima di andare via da Putignano, il centro storico merita una visita.

Maria Serritiello
tratto da www.lapilli.eu(giornale in web)





domenica 7 febbraio 2010





7 FEBBRAIO 1497 GIROLAMO SAVONAROLA FRATE DOMENICANO REGGENTE
ORDINO' IL FALO' DELLE VANITA'

Il più famoso falò delle vanità avvenne il 7 febbraio del 1497 quando in seguito alla cacciata dei Medici*

***I Medici sono una delle più note famiglie principesche di Firenze, protagonisti della storia italiana ed europea dal XV al XVIII secolo.

Oltre ad aver retto le sorti della città di Firenze prima e della Toscana poi, dal 1434 fino al 1737[1], ed oltre ad aver dato i natali a tre papi e due regine di Francia, essi godono tutt'oggi di una straordinaria fama per aver promosso in misura fuori del comune e per diverse generazioni la vita artistica, culturale, spirituale e scientifica del loro tempo. Le loro straordinarie collezioni d'arte, di oggetti preziosi, di libri e manoscritti, di rarità e di curiosità si sono conservate praticamente integre fino ai giorni nostri e sono alla base del patrimonio di molte delle più importanti istituzioni culturali di Firenze***

i seguaci del frate domenicano Girolamo Savonarola sequestrarono e bruciarono pubblicamente migliaia di oggetti nella città di Firenze, durante la festa di martedì grasso.

L'obiettivo di questa furia distruttiva era l'eliminazione di qualsiasi oggetto considerato potenzialmente peccaminoso, oppure inducente allo sviluppo della vanità, includendo articoli voluttuari come specchi, cosmetici, vestiti lussuosi, ed anche strumenti musicali. Altri bersagli includevano libri "immorali", manoscritti contenenti canzoni "secolari" o "profane", e dipinti. Tra i vari oggetti distrutti in questa campagna vi furono alcuni dipinti originali che trattavano temi della mitologia classica, eseguiti da Sandro Botticelli, che egli stesso provvide ad abbandonare sul rogo.

Questi falò non vennero inventati da Savonarola, ma erano un naturale e comune seguito ai sermoni pubblici all'aperto tenuti da San Bernardino da Siena nella prima metà del secolo

Girolamo Maria Francesco Matteo Savonarola (Ferrara, 21 settembre 1452 – Firenze, 23 maggio 1498) è stato un religioso e politico italiano. Apparteneva all'ordine dei frati domenicani. Le sue opere furono inserite nella prima edizione (1559) dell'Indice dei libri proibiti. Ora è Servo di Dio e la causa per la sua beatificazione è stata introdotta il 30 maggio 1997 dall’arcidiocesi di Firenze.






venerdì 5 febbraio 2010





« Tu che splendi in Paradiso,
coronata di vittoria,
Oh Sant'Agata la gloria,
per noi prega, prega di lassù »
(Canto a Sant'Agata)

Sant'Agata, (Catania, 230 – Catania, 5 febbraio 251)

Sant'Agata, dal greco "buona, nobile di spirito" è patrona di Catania e di San Marino.Secondo la tradizione cristiana è una giovane santa vissuta tra il III e il IV secolo, durante il proconsolato di Quinziano.

Agata nacque a Catania da una famiglia ricca e nobile.
Secondo la tradizione cattolica sant'Agata si consacrò a Dio all'età di 15 anni circa, ma studi storico-giuridici approfonditi rivelano un'età non inferiore ai 21 anni: non prima di questa età, infatti, una ragazza poteva essere consacrata diaconessa come effettivamente era Agata, cosa documentata dalla tradizione orale catanese, dai documenti scritti narranti il suo martirio e dalle raffigurazioni iconografiche ravennate, con particolare riferimento alla tunica bianca e al pallio rosso; possiamo quindi a ragione immaginarla, più che come una ragazzina, piuttosto come una donna con ruolo attivo nella sua comunità cristiana: una diaconessa aveva infatti il compito, fra gli altri, di istruire i nuovi adepti alla fede cristiana (catechesi) e preparare i più giovani al battesimo alla prima comunione e alla cresima. Inoltre, da un punto di vista giuridico, Agata aveva il titolo di "proprietaria di poderi", cioè di beni immobili. Per avere questo titolo le leggi vigenti nell'impero romano pretendevano il raggiungimento del ventunesimo anno di età. Rimanendo sempre in tema giuridico, durante il processo cui Agata fu sottoposta, fu messa in atto la Lex Laetoria, una legge che proteggeva i giovani d'età compresa tra i 20 e i 25 anni, soprattutto giovani donne, dando a chiunque la possibilità di contrapporre una "actio polularis" contro gli abusi di potere commessi dall'inquisitore: prova ne sia che il processo di Agata si chiuse con un'insurrezione popolare contro Quinziano, che dovette fuggire per sottrarsi al linciaggio della folla catanese.

Nell'anno a cavallo fra il 250 e il 251 il proconsole Quinziano, giunto alla sede di Catania anche con l'intento di far rispettare l'editto dell'imperatore Decio che chiedeva a tutti i cristiani di abiurare pubblicamente la loro fede, si invaghì della giovinetta e, saputo della consacrazione, le ordinò, senza successo, di ripudiare la sua fede e di adorare gli dei pagani. Ma più realisticamente si può immaginare un quadro più complesso: ovvero, dietro la condanna di Agata, la più esposta nella sua benestante famiglia, potrebbe esserci l'intento della confisca di tutti i loro beni.

Al rifiuto deciso di Agata, il proconsole la affidò per un mese alla custodia rieducativa della cortigiana Afrodisia e delle sue figlie, persone molto corrotte. È probabile che Afrodisia fosse una sacerdotessa di Venere o di Cerere, e pertanto dedita alla prostituzione sacra. Il fine di tale affidamento era la corruzione morale di Agata, attraverso una continua pressione psicologica, fatta di allettamenti e minacce, per sottometterla alle voglie di Quinziano, arrivando a tentare di trascinare la giovane catanese nei ritrovi dionisiaci e relative "orge", allora molto diffuse a Catania. Ma Agata, in quei giorni, a questi attacchi perversi che le venivano sferrati, contrappose l'assoluta fede in Dio; e pertanto uscì da quella lotta vittoriosa e sicuramente più forte di prima, tanto da scoraggiare le sue stesse tentatrici, le quali rinunciarono all'impegno assuntosi, riconsegnando Agata a Quinziano.

Rivelatosi inutile il tentativo di corromperne i princìpi Quinziano diede avvio ad un processo e convocò Agata al palazzo pretorio. Memorabili sono i dialoghi tra il proconsole e la santa che la tradizione conserva, dialoghi da cui si evince senza dubbio come Agata fosse edotta in dialettica e retorica.

Breve fu il passaggio dal processo al carcere e alle violenze con l'intento di piegare la giovinetta. Inizialmente venne fustigata e sottoposta al violento strappo di una mammella. La tradizione indica che nella notte venne visitata da san Pietro che la rassicurò e ne risanò le ferite. Infine venne sottoposta al supplizio dei carboni ardenti. La notte seguente l'ultima violenza, il 5 febbraio 251, Agata spirò nella sua cella

Durante il martirio con i carboni ardenti si narra che una donna coprì con il suo velo la Santa: si tratta del cosiddetto velo di Sant'Agata. È di colore rosso cupo e, nel corso dei secoli, venne più volte portato in processione come estremo rimedio per fermare la lava dell'Etna: questa una delle leggende. Nei fatti il cosiddetto "velo" di colore rosso faceva parte del vestimento con cui Agata si presentò al giudizio, essendo questo, indossato su una tunica bianca, l'abito delle diaconesse consacrate a Dio. Un'altra leggenda vuole che il velo fosse bianco e diventasse rosso al contatto col fuoco della brace.

Molti sono i miracoli attribuiti a sant'Agata nel corso dei secoli:

Appena un anno dopo la sua morte, nel 252, Catania venne colpita da una grave eruzione dell'Etna. L'eruzione ebbe inizio il giorno 1 di febbraio e aveva già distrutto alcuni villaggi alla periferia di Catania. Il popolo andò in cattedrale e preso il velo di sant'Agata lo portò in processione nei pressi della colata. Questa, secondo la tradizione, si arrestò dopo breve tempo. Era il giorno 5 di febbraio, la data del martirio della vergine catanese.

Il velo della santa lungo circa 4 metri era bianco secondo le usanze dell'epoca, ma avvicinato alla lava rovente divenne di un rosso cupo. Esso si trova in un reliquiario conservato nello scrigno d'argento contenente tutte le reliquie della santa.

La santa, Lucia di Siracusa, quasi coetanea di Sant'Agata, andò con la madre gravemente ammalata a pregare sulla tomba di Agata per implorarne la guarigione. Narra la leggenda che Lucia, mentre pregava, ebbe una visione nella quale sant'Agata le disse «perché sei venuta qui quando ciò che mi chiedi puoi farlo anche tu? Così come Catania è protetta da me, la tua Siracusa lo sarà da te.» La madre di Lucia guarì e Lucia dopo poco venne martirizzata.
Nel 1169 Catania fu scossa da un disastroso terremoto nel giorno 4 febbraio alle ore 21 quando molti cittadini catanesi erano radunati nella cattedrale per pregare in onore della santa. Nel crollo della cattedrale morirono il vescovo Aiello e 44 monaci oltre ad un numero imprecisato di fedeli. Nei giorni seguenti altre scosse di terremoto e maremoto imperversarono sulla città. La tradizione vuole che il terremoto sia cessato soltanto quando i cittadini presero il velo della santa e lo portarono in processione

Dal 3 al 5 febbraio, Catania dedica alla Santa una grande festa, misto di fede e di folklore. Secondo la tradizione alla notizia del rientro delle reliquie della santa il vescovo uscì in processione per la città a piedi scalzi, con le vesti da notte seguito dal clero, dai nobili e dal popolo. Controversa è l'origine del tradizionale abito che i devoti indossano nei giorni dei festeggiamenti: camici e guanti bianchi con in testa una papalina nera. Una radicata leggenda popolare vuole siano legati al fatto che, i cittadini catanesi, svegliati in piena notte dal suono delle campane al rientro delle reliquie in città, si riversarono nelle strade in camicia da notte; la leggenda risulta essere priva di fondamento poiché l'uso della camicia da notte risale al 1300 mentre la traslazione delle reliquie avvenne nel 1126. Un'altra leggenda afferma che l'abito bianco sia legato al precedente culto della dea Iside. Ma la tradizione storica più affermata indica che l'abito votivo altro non è che un saio penitenziale o cilicio, si afferma inoltre, che sia una tunica, bianca per purezza, indossata il 17 agosto, quando due soldati riportarono le reliquie a Catania da Costantinopoli.

Altri elementi caratteristici della festa sono il fercolo d'argento con i resti della Santa posto su un carro o Vara, anche questo in argento. Legati al veicolo due cordoni di oltre 100 metri a cui si aggrappano centinaia di “Devoti” (con il Sacco agatino - tunica bianca stretta da un cordone -, cuffia nera, fazzoletto e guanti bianchi) che fino al 6 febbraio tirano instancabilmente il carro. La Vara viene portata in processione insieme ad undici candelore o cannalori appartenenti ciascuna alle corporazioni degli artigiani cittadini. Tutto avviene fra ali di folla che agita bianchi fazzoletti e grida Cittadini, cittadini, semu tutti devoti tutti . È considerata tra le tre principali feste cattoliche a livello mondiale per affluenza.



















giovedì 4 febbraio 2010





4FEBBRAIO 2004 NASCE FACEBOOK

Facebook è stato fondato il 4 febbraio 2004 da Mark Zuckerberg, all'epoca studente diciannovenne presso l'università di Harvard, con l'aiuto di Andrew McCollum e Eduardo Saverin. Per la fine del mese, più della metà della popolazione universitaria di Harvard era registrata al servizio. A quel tempo, Zuckerberg fu aiutato da Dustin Moskovitz e Chris Hughes per la promozione del sito e Facebook si espanse all'Università di Stanford, alla Columbia University e all'Università Yale. Questa espansione continuò nell'aprile del 2004 quando si estese al resto della Ivy League, al MIT, alla Boston University e al Boston College. Alla fine dell'anno accademico, Zuckerberg e Moskovitz si trasferirono a Palo Alto in California con McCollum, che aveva seguito un stage estivo alla Electronic Arts. Affittarono una casa vicino all'Università di Stanford dove furono raggiunti da Adam D'Angelo e Sean Parker.

Il dominio attuale, facebook.com, fu registrato soltanto in seguito, tra l'aprile e l'agosto 2005, e molte singole università furono aggiunte in rapida successione nell'anno successivo. Col tempo, persone con un indirizzo di posta elettronica con dominio universitario (per esempio .edu, .ac.uk ed altri) da istituzioni di tutto il mondo acquisirono i requisiti per parteciparvi. Quindi il 27 febbraio 2006 Facebook si estese alle scuole superiori e grandi aziende

Dall'11 settembre 2006, chiunque abbia più di 12 anni può parteciparvi. Gli utenti possono fare parte di una o più reti partecipanti, come la scuola superiore, il luogo di lavoro o la regione geografica. Se lo scopo iniziale di Facebook era di far mantenere i contatti tra studenti di università e licei di tutto il mondo, con il passare del tempo si è trasformato in una rete sociale che abbraccia trasversalmente tutti gli utenti di Internet.

In Italia c'è stato un boom nel 2008: nel mese di agosto si sono registrate oltre un milione e trecentomila visite e secondo i dati dell'osservatorio indipendente Inside Facebook,gli utenti italiani nel mese di settembre 2009 sono circa 18 milioni.



mercoledì 3 febbraio 2010


www.Cartoline.it



BUON CARNEVALE


www.Cartoline.it




Ti aggiungo alla mia giornata

Ti aggiungo alla mia giornata
a pensieri nati nel tumulto
a riti tracciati senza una ragione,
all’occasione improvvisa
che ogni volta soccombe.
Ti aggiungo al giorno
geminato consunto,
con le cime innevate e fredde,
il grigio carico di pioggia,
il cane zoppo di vecchiaia
e le reti torte agli alberi di ulivo.

2-2-2010 Maria Serritiello




« Io non ho nome. - Io son la rozza figlia / dell'umida stamberga; / plebe triste e dannata è la mia famiglia, / ma un'indomita fiamma in me s'alberga. »
(Ada Negri, da Senza Nome, Fatalità 1892)

Ada Negri (Lodi, 3 febbraio 1870 – Milano, 11 gennaio 1945) è stata una poetessa e scrittrice italiana. È ricordata inoltre per essere stata la prima donna ad essere ammessa tra gli Accademici d'Italia.

Le sue origini erano umili: suo padre Giuseppe era vetturino e sua madre, Vittoria Cornalba, tessitrice; passò l'infanzia nella portineria del palazzo dove la nonna, Peppina Panni, lavorava come custode presso la nobile famiglia Barni

In portineria Ada passava molto tempo sola, osservando il passaggio delle persone, come descritto nel romanzo autobiografico Stella Mattutina (1921).

Ad appena un anno dalla nascita era rimasta orfana del padre, avvinazzato e avvezzo al canto, considerato, dunque, un peso dalla madre Vittoria: fu grazie ai sacrifici di questa, la quale cercò un guadagno sicuro in fabbrica, che Ada poté frequentare la Scuola Normale femminile di Lodi, ottenendo il diploma di insegnante elementare

suo primo impiego fu al Collegio Femminile di Codogno, nel 1887. La vera esperienza d'insegnamento che segnò la sua vita e la produzione artistica, però, fu intrapresa a partire dal 1888, nella scuola elementare di Motta Visconti, paesotto in provincia di Milano nel quale Ada passò il periodo più felice della sua vita; al mestiere di maestra è legata e contemporanea l'attività di poetessa: fu in questo periodo iniziò a pubblicare i suoi scritti su un giornale lombardo, il Fanfulla di Lodi.


A Milano entrò in contatto con i membri del Partito socialista italiano, anche grazie agli apprezzamenti ricevuti da alcuni di essi per la propria produzione poetica, nella quale è molto sentita la questione sociale. Tra essi ebbe fondamentale ruolo il giornalista Ettore Patrizi, col quale ebbe intense relazioni epistolari; conobbe poi Filippo Turati, Benito Mussolini e Anna Kuliscioff (della quale ebbe a dire di sentirsi sorella ideale).

Nel 1894 vinse il Premio Milli per la poesia

Il 1896 fu l'anno di uno sbrigativo e presto fallimentare matrimonio con Giovanni Garlanda, industriale tessile di Biella, dal quale ebbe la figlia Bianca, ispiratrice di molte poesie, e un'altra bambina, Vittoria, che morì a un mese di vita. Da questo periodo le sue vicende personali modificarono fortemente la sua poetica e le sue opere divennero fortemente introspettive e autobiografiche

Nel 1931 fu insignita del Premio Mussolini per la carriera; erano gli anni in cui Benito Mussolini ancora utilizzava i rapporti nati nel suo periodo socialista. Il premio consacrò Ada Negri come intellettuale di regime, tanto che nel 1940 fu la prima donna membro dell'Accademia d'Italia. Non rinnegò mai la sua adesione al regime

Morì nel 1945.

Ferma al quadrivio, mentre piove e spiove sotto l'aspro alternar delle ventate schioccanti come fruste sulle facce di chi va, di chi viene, una vecchietta vende rami di pèsco.

O Primavera per pochi soldi!
O riso, o tremolìo di stelle rosee su bagnate pietre!

Scompare agli occhi miei la strada urbana con fango e folla e strider di convogli sulle rotaie, e saettar nemico
d'automobili in corsa.

Ecco, e in un campo mi trovo:
è verde, di frumento a pena sorto dal suolo:pioppi e gelsi intorno
con la promessa delle fronde al sommo
dei rami avvolti in una nebbia d'oro:
e pèschi: oh, lievi, oh, gracili, d'un rosa che non è della terra: ch'è di tuniche d'angeli, scesi a benedire i primi germogli, e pronti, a un alito di brezza,a rivolar da nube a nube in cielo
Ada Negri



Soffro. Lontan lontano
Le nebbie sonnolente
Salgono dal tacente
Piano.

Alto gracchiando, i corvi,
Fidati all'ali nere,
Traversan le brughiere
Torvi.

Dell'aere ai morsi crudi
Gli addolorati tronchi
Offron, pregando, i bronchi
Nudi.

Come ho freddo!... Son solo;
Pel grigio ciel sospinto
Un gemito d'estinto
Vola;

E mi ripete: Vieni,
È buia la vallata.
O triste, o disamato,
Vieni!...

ADA NEGRI

martedì 2 febbraio 2010




Miriam Mafai (Firenze, 2 febbraio 1926) è una giornalista e scrittrice italiana.

Figlia di una coppia di noti artisti italiani del XX secolo, Mario Mafai e Antonietta Raphael, ha intrapreso la carriera del giornalismo scrivendo su l'Unità e altri importanti quotidiani italiani. Ha contribuito alla nascita de la Repubblica nel 1976 e ne è diventata editorialista. Ha svolto una intensa carriera di inviata speciale e giornalista politica. Ha scritto molti saggi sulla politica e la storia del costume ed è stata direttore del settimanale Noi donne. È stata anche parlamentare italiana eletta nelle file del Partito Democratico della Sinistra.
Ha vinto il Premio Cimitile, nel 1996, con l'opera "Botteghe oscure addio" ed il Premio Montanelli, nel 2005, per la sua attività votata allo sviluppo della cultura italiana del '900, con particolare attenzione al mondo femminile. È stata per tutta la vita la compagna di Giancarlo Pajetta, storico esponente del P.C.I.













lunedì 1 febbraio 2010






William Clark Gable (Cadiz, 1º febbraio 1901 – Los Angeles, 16 novembre 1960),
è'stato un attore statunitense

Dotato di grande fascino, carisma e di una forte presenza scenica, dagli anni trenta fino alla sua morte, nel 1960, fu una delle maggiori star della cinematografia mondiale.

Il suo nome è indissolubilmente legato all'interpretazione di Rhett Butler nello storico film Via col vento (1939), vincitore di otto Premi Oscar

Di umili origini, dopo aver lavorato come operaio in una fabbrica di pneumatici, il giovane Gable decise di diventare attore dopo aver assistito ad uno spettacolo teatrale. Nel 1921 si unì a una compagnia di girovaghi e, per mantenersi, non esitò a esercitare i mestieri più umili, come il taglialegna e il venditore di cravatte.

Il 13 dicembre 1924 sposò la regista e attrice Josephine Dillon (che aveva dodici anni più di lui), proprietaria di una compagnia teatrale, che lo aiutò a cambiare la sua immagine, insegnandogli le buone maniere in scena e nella vita, e affinando la sua recitazione fino a procurargli un primo ruolo nel cinema, una parte nel film White Man (1924), oltre a diversi ingaggi sulle scene di Broadway, tra cui la pièce Machinal (1928).

Durante una tournée in Texas, Gable conobbe Ria Langham, una plurimilionaria di diciassette anni più anziana di lui; dopo il divorzio dalla Dillon, i due si sposano il 30 marzo 1930. Poco dopo Gable venne scritturato dalla casa produttrice MGM che decise di modificargli l'aspetto fisico con un intervento riduttivo delle orecchie (considerate troppo voluminose e a sventola) e con la sostituzione dei denti, non perfetti per la scena, con una dentiera che gli donò un sorriso perfetto

All'inizio della carriera, Gable interpretò ruoli di uomo rude e crudele: il film che lo avviò al successo fu L'angelo bianco (1931), in cui interpretava appunto il ruolo di un camionista manesco, in coppia con Barbara Stanwyck. In seguito, grazie al suo fascino e alla sua simpatia, i personaggi a lui affidati cambiarono virando verso una figura di irresistibile, affascinante mascalzone.

Gable è stato molto amato per la sua simpatia e gentilezza anche fuori dal set; a sua volta amò molte donne fra cui Joan Crawford, Jean Harlow, Loretta Young (da cui ebbe una figlia, circostanza che rimase segreta per anni, essendo la Young nubile e Gable coniugato), ma ebbe anche un debole per l'alcool.

Nel 1939 Gable ebbe la grande occasione della sua carriera, grazie all'interpretazione di Rhett Butler, l'affascinante e sfacciato avventuriero protagonista di Via col vento (1939), per cui venne nuovamente nominato all'Oscar. Grazie al compenso percepito per la sua interpretazione, l'attore riuscì a permettersi il divorzio dalla Langham. Il 29 marzo 1939 sposò così la splendida attrice Carole Lombard, considerata dai suoi biografi il vero amore della sua vita. La Lombard, interprete di commedie raffinate e donna dal temperamento audace sul set e nella vita privata, perderà la vita tragicamente nel 1942 in un incidente aereo, all'età di soli 33 anni.

Scosso dalla perdita della moglie, nell'agosto successivo, dopo aver terminato le riprese del film Incontro a Bataan, Gable decise di abbandonare le scene e di arruolarsi nell'aviazione come volontario. Dopo aver realizzato un film d'addestramento, partecipò al secondo conflitto mondiale con 5 missioni di guerra sui B-17, in qualità di osservatore/mitragliere e ricevette due decorazioni

Ma al ritorno a casa al termine del conflitto, Gable non fu più la stessa persona. Anche se riprese a recitare, i suoi personaggi non erano più spensierati e spavaldi: la vitalità di un tempo era andata perduta.

Fu un periodo negativo per l'attore, sia nel lavoro che nella vita privata. Nel 1949 sposò - si dice, senza amore - lady Sylvia Ashley, dalla quale divorzierà dopo poco più di un anno di matrimonio, nel 1951. Poco tempo più tardi conobbe Kay Spreckels, una bella ragazza che gli ricordava molto Carole Lombard, e la sposò nel 1955; fu un matrimonio riuscito e per Gable iniziò un nuovo periodo felice che lo aiutò a ritrovare serenità e successo tanto nella vita quanto nel lavoro.

La sua ultima apparizione cinematografica avvenne nel film Gli spostati, per la regia di John Huston, con Marilyn Monroe e Montgomery Clift. Gable - che aveva sempre rifiutato qualsiasi controfigura - fece appena in tempo a terminare le faticose riprese prima di essere colto da un infarto nel novembre del 1960. Morì prima di vedere la nascita del suo unico figlio, che venne battezzato John Clark.