Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso.....

Pablo Neruda





mercoledì 11 aprile 2012

L'AMACA DI MICHELE SERRA



L’AMACA del 11/04/2012 (Michele Serra)


Speriamo di riuscire a consegnare alle sue pronipoti un Paese almeno uguale a quello che lei ha lasciato a noi”, scrive Concita De Gregorio salutando Miriam Mafai. È la fotografia di un passato potente e di un presente flebile. Non si potrebbe dire meglio il vuoto che ci lascia, andandosene, una grande generazione di italiani, quelli usciti dal fascismo e dalla guerra, quelli della rinascita e della Costituzione, quelli che ci sono stati madri e padri. Non so se la Storia li abbia per così dire favoriti – offrendogli di crescere e vivere dentro anni di ferro e di fuoco, temprati come lame – o se sia la nostra “normale” reverenza di figli a farceli vedere così forti, sereni, utili. Certo è che in questo evo sfarinato, divagante, si cerca e non si trova la materia viva che servirebbe a lasciare ai figli un Paese “almeno uguale”. È vero che non si deve mai avere paura. Difatti da domani – prometto – non ne avremo. Ma oggi, leggendo di Miriam e della sua vita, è impossibile non concedersi un istante di sgomento. Come essere all’altezza di quell’energia, di quella semplicità? Da quali fonti attingere, se tutte o quasi (cultura, democrazia, socialismo, liberazione) paiono inaridite o inquinate? E se provassimo a barare, Concita? Se ai nostri figli, quando sarà il momento, noi presentassimo il bilancio di Miriam, spacciandolo per nostro?

Da La Repubblica del 11/04/2012.


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