Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso.....

Pablo Neruda





venerdì 21 ottobre 2011


FONTE:CORRIERE DELLA SERA.IT

«Adotta una parola»: un gioco online per salvare l'italiano

Una campagna della Società Dante Alighieri,
con il supporto di «IoDonna» e «Corriere.it»


Nella conversazione quotidiana entrano continuamente nuove parole, da postare a kebabbaro, mentre altre cadono lentamente in disuso, come esecrabile o procace.

Per tutelare l'italiano che scompare, la Società Dante Alighieri, che dal 1889 si propone diffondere la lingua e la cultura italiane nel mondo, ha lanciato la campagna «Adotta una parola». In collaborazione con quattro dizionari d’italiano (Devoto Oli, Garzanti, Sabatini Coletti e Zingarelli) ha selezionato le parole in via d'estinzione nella nostra lingua.

Sul sito dell'iniziativa, chiunque ami l'idioma del bel paese può scegliere una parola, adottarla e diventarne il custode per un anno, impegnandosi a promuoverne l’utilizzo, segnalarne abusi e registrare nuovi significati. L'aspirante custode deve indicare la motivazione della scelta e sottoscrivere una dichiarazione simbolica d'impegno: in cambio, riceverà un certificato (digitale) di adozione.

Anche Io Donna e Corriere.it sostengono l'iniziativa. Hanno scelto venti parole "in via d'estinzione" e propongono un gioco per valorizzarle: nel forum di Corriere.it i lettori potranno scegliere una parola e inviare una frase che la contenga e ne illustri il significato. Ogni settimana, per un mese, Io Donna sceglierà e pubblicherà le frasi migliori.

Le parole con cui giocare:
affastellare, calligrafico, contrito, delibare, diatriba, dirimere, emaciato, fandonia, fronzolo, stantio, fuggevolezza, improntitudine, leziosità, lusingare, narcisistico, perseveranza, presagire, propinare, sconclusionato, uggioso.







FONTE:ANSA.IT
DI ALESSANDRA MAGLIARO



VITTI,80 ANNI IN SILENZIO PER LA PIU' AMATA

Omaggio da Festival Roma con mostra ma lei non ci sara'

Pensi a Monica Vitti e ti vengono in mente una testa di capelli biondi, gli occhi da gatta che quasi sorridono, una voce che riconosceresti tra mille e sequenze che hanno fatto la storia del cinema italiano, dall'Avventura di Michelangelo Antonioni al film simbolo Polvere di stelle, dalla Ragazza con la pistola di Mario Monicelli al Dramma della gelosia di Ettore Scola. La Vitti è nell'immaginario di tutti e chissà se lei ne è consapevole alla vigilia dei suoi 80 anni, il 3 novembre, vissuti nel silenzio come del resto gli ultimi.

Una malattia degenerativa ormai da oltre 10 anni ha progressivamente tolto la grande attrice dal cinema, dalla società, dalla vita pubblica e l'ha relegata in un mondo casalingo, protetta dal marito Roberto Russo, il fotografo sposato nel 2000 quasi in segreto. Di lei, rintanata nell'attico vicino Piazza del Popolo, mai più una foto, mai più un'uscita da molti anni. Così è del tutto improbabile che ci sia anche lei tra una settimana all'Auditorium Parco della Musica dove il Festival internazionale del cinema di Roma, in un'edizione sotto il segno del femminile, renderà omaggio con una mostra fotografica, alcuni suoi film e la presentazione di un libro all'attrice così tanto amata dagli italiani. E non ci sarà, come ha detto al Messaggero dieci giorni fa, neppure Roberto Russo "perché da anni abbiamo scelto di vivere lontano dai riflettori".

Pensi alla Vitti, icona del cinema, bravura e bellezza, Accademia d'arte drammatica e voglia di vivere, professionalità e ironia. Pensi alla Vitti e in testa ti vengono in mente lei a 30 anni nell'Avventura di Antonioni, primo dei film con il sodalizio artistico e sentimentale con il grande regista, poi qualche anno dopo con un Alain Delon da urlo nell'Eclisse di Antonioni, lei a 40 e più, bellissima con Alberto Sordi in uno dei film simbolo sulla Seconda Guerra Mondiale, Polvere di stelle, e poi tra Marcello Mastroianni e Giancarlo Giannini nel Dramma della gelosia. Immagini che saranno nella mostra fotografica a cura di Anna De Marchi e Antonella Felicioni allestita nel foyer dell'Auditorium dal Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale, insieme a Cinecittà Luce.

Il 3 novembre poi, giorno dei compleanno di Maria Luisa Ceciarelli, il suo vero nome, si presenterà un volume e saranno proiettati due film: Dramma della gelosia - Tutti i particolari in cronaca, firmato nel 1970 da Ettore Scola, e Scandalo segreto, l'ultimo suo lavoro, del 1990, di cui la Vitti è regista e sceneggiatrice, oltre che interprete. La mostra ripercorre cronologicamente i quarant'anni di una carriera che ha incredibilmente toccato i vertici del dramma e dell'intimismo, da una parte, e quelli del comico brillante dall'altra. Musa dell'incomunicabilità antonioniana in L'avventura (1960), La notte (1961), L'eclisse (1962) e Deserto rosso (1964), fino all'esperimento linguistico con il video de Il mistero di Oberwald (1980), Monica Vitti è anche la "mattatrice" della commedia all'italiana, compagna di scena di Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi.



“Tradizione e memoria” la mostra del “Museo Città Creativa” di Ogliara (Sa)

“Tradizione e memoria” la mostra del “Museo Città Creativa” di Ogliara (Sa)

Come ammazzare il capo…e vivere felici

Come ammazzare il capo…e vivere felici

mercoledì 19 ottobre 2011



FONTE: IL BLOG DI SALERNO SU VIRGILIO
DI MARIA SERRITIELLO

Qualche tempo fa, prima che la dolcissima Signora D’Acunto ci lasciasse, avevo tratteggiato un suo profilo, che mi piace proporre in GuestBook. Così chi non la conosce, data l’età giovane, ne ha l’opportunità e chi la ricorda, la ritrova intatta nella memoria.

'Un po’ prima d’inoltrarsi nello slargo del Largo Campo, soffermarsi nella pasticceria Chianese è un forte richiamo che poco ha di commerciale per molti salernitani ma che ogni volta amano rinnovare.
La titolare, Nicolina D’acunto, una dolce signora di una certa età, accoglie tutti con un contenuto sorriso, quello che si può ancora trovare sulle statue delle Madonnine venerate in costiera. I capelli tirati indietro e fermati dalle forcine di finta tartaruga, sono uguali a quelli delle nonne, quando avevano tutte la stessa faccia. La dolcezza è quella dei suoi dolci che senza mai stancarsi e nel timore di Dio, fa da anni e da sola. La sua è una storia semplice, malinconica che la vede prima giovanissima, perdere il compagno della sua vita e poi consegnata al tempo, instancabile e laboriosa. Si entra, lasciando nella strada l’ombra dei vicoli e nella pasticceria che, nella sua storia, vanta di aver fatto assaggiare gustose zeppole perfino a Garibaldi, si ha l’impressione che gli ammodernamenti eseguiti non più di 5 anni fa, poco o niente hanno cancellato tracce di un passato qui annidato, profumato alla cannella. All’istante, il luogo e la piccola signora, risultano familiari, si ha voglia di parlare, ascoltare le sagge parole messe in fila e offerte naturali, come un pacchetto di durevoli amaretti. E di cose ne dice ma sempre dosandosi, come per una ricetta buona e quando dettaglia sul grano rifornito a intere generazioni della città per la fattura della pastiera, il sostanzioso dolce Pasquale, il racconto diventa una favola del c’era una volta. “Il grano” dice con fievole voce, mentre assesta le mani operose nel grembo protetto da un bianco sinale è portato fin qui da un grossista napoletano. Secco e tenero esso va lavato sette volte. Ecco, la ripetizione del gesto metodico della preparazione diventa simile al magico elemento delle favole vere: “…sette paia di scarpe ho consumato…, sette gnocchi hai da preparare se il principe vuoi sposare… e sette sono le leghe per il gatto con gli stivali…”. Allora, la cucina che s’intravede al di là del bancone e le scansie rinnovati quel tanto che basta, assume la struttura di antro spolverato dalle suggestioni incantate, con i suoi calderoni di lucido rame, ogni anno stagnati da un artigiano di Coperchia, avanti negli anni, con le grandi circonferenze che inghiottono un mezzo quintale alla volta di granuloso impasto e con lunghe, capaci cucchiaie di legno che servono ad aiutare le quattro ore di cottura. Ogni tanto, l’alchimia profumata riceve acqua tiepida, appositamente aggiunta per non far prosciugare il composto. Gesti lenti pazienti scenici che nessuno più sa interpretare e la stessa signora arrendevole dice consapevole “tutto è cambiato, non c’è più nulla come prima”. Ma come prima, come sempre, Lei, ha con gli avventori un legame di parentela, dispensando caramelle ai più piccini, chiedendo affettuosamente notizie sui più vecchi e rallegrandosi che ai suoi clienti, come per i familiari, le cose vadano bene. Cinquant’anni trascorsi così, ad addolcire testardamente tutto l’amaro della vita, a fare del suo mestiere una nobile arte. E tante, tra le altre, le sue specialità: dalle scorzette di cedro e zucca candite, al pan di spagna spalmato di “naspro”, la glassa di zucchero cotto, dai confetti di mandorle e cacao, alle “teste di moro”, vere ghiottonerie al cioccolato. Nei vasetti, poi, di vetro trasparente posti con ordine negli stipi, sorridono al tempo: cannellini bianchi appuntiti, topolini bicolore elak, moltiplicata granella e allegri diavolini per la guarnizione vivace di torte e struffoli di Natale. Alla parete e alla vista quasi sfugge, una pergamena della Camera del Commercio con su scritto “Medaglia d’oro, al merito, per aver mantenuto la tradizione artigianale”. La mansueta “Signora” raccolta nei gesti si schernisce, abbassa il capo e guarda le proprie mani, forti, lisce: sono quello, solo quelle, la sua unica e vera medaglia d’oro da vantare.

MARIA SERRITIELLO
IL BLOG DI SALERNO SU VIRGILIO
SEZ.GUESTBOOK

giovedì 13 ottobre 2011



LE DONNE DEL SESTO PIANO
FONTE:WWW.LAPILLI.EU
DI MARIA SERRITIELLO



Parigi anni ’60, Jean Louis Joubert, ingessato agente di cambio e disciplinato capo famiglia, trascorre una vita tranquilla, d’impronta borghese, dividendosi tra gli affetti familiari ed il lavoro. Abita fin dall’infanzia nello stesso edificio, senza averlo quasi mai abbandonato. Un giorno, però, la routine casa-lavoro, lavoro- casa, viene interrotta per aver assunto Maria, una nuova persona di servizio, di origine spagnola, al posto dell’anziana tata francese. La ragazza, finito il servizio, si ritira al sesto piano del palazzo, dove, nei miseri abbaini, oltre a lei vivono altre 5 inservienti, sue connazionali. Jan Louis, giorno dopo giorno, con timore ed innocenza, sviluppa una segreta passione per la giovane volitiva che gira per la casa. Senza allontanarsi dal palazzo in cui è nato, ma arrampicandosi fino al sesto piano, segue la sua passione, scopre una realtà del tutto diversa dalla sua, attraverso la conoscenza più approfondita delle sei donne, si libera degli stereotipi, che per più di mezzo secolo gli hanno segnato il passo e cambia vita.



Commento



L’impianto del film è semplice e lineare e i personaggi, che si muovono all’interno, seguono in maniera precisa una partitura scritta. Ogni gesto ripetitivo o noiosa mania concorrono a delineare con precisione i personaggi, ad esempio: l’uovo alla coque a colazione del signore che se la cottura è quella giusta, gli spiana la giornata in maniera positiva, negativa nel caso contrario, oppure gli impegni inconsistenti e vuoti della scialba padrona di casa, o anche l’alloggio arredato rigorosamente in stile e tenuto esasperatamente in ordine ed infine, Maria, la cameriera tenace e determinata e le sei donne, di diversa età, detentrici di folklore non invasivo. Il periodo storico sullo sfondo, quello della Spagna di Franco, che ha costretto a molte donne iberiche ad abbandonare la patria, per cercare lavoro in Francia, è tratteggiato con discrezione ed incoraggia la riflessione su come eravamo diversi, negli anni, non tantissimi, trascorsi. Proiettato fuori concorso al 61° Festival di Berlino “Le donne del sesto piano”, è un film garbato, esente da volgarità, che non si dilunga in estenuanti analisi sociologiche, ma srotola una piacevole commedia, a tratti perfino esilarante. Di stile made in France, il film, sicuramente, non avrà la strada spianata in Italia, per la proverbiale diffidenza nei confronti della cinematografia francese. A surclassare un solo uomo, il docile Jean, solo in apparenza, come riferimento, si riconosce l’inconfondibile stile di Pedro Almodovar e la presenza di tante donne, (Maria, Suzanne, Concepcion, Carmen, Teresa, Pilar, Colette), perfino la portiera è donna(! ) non fanno altro che aggiungere valore a ciò che si vedrà.



Gli Interpreti



Eppure Fabrice Luchini, il Jean Louis Joubert del film, dal portamento discreto di uomo qualunque di sessant’anni, uno che difficilmente cattura l’attenzione, dà un’impareggiabile prova di arte recitativa. Non è bello, non ha fascino, ha perfino piccole manie che lo connotano sia come persona che come agente di cambio, pur tuttavia ha un cuore, un muscolo che da tempo batte con svogliatezza. La metamorfosi a cui va incontro privo di riserve, ma piano, piano per covare il suo sentimento senza far prevalere l’istinto, è tutta sul suo viso, illuminato da sfaccettature espressive. Eccellenti quelle con cui sbircia “la bonne” nel bagno sotto la doccia, oppure quella con la quale, abbandonata l’austerità del suo ambiente, accennerà a passi di flamenco, contagiato dalle sei vivaci signore, o anche quella che gli resterà stampata sul viso, mentre mangerà, con qualche perplessità iniziale, “la paella” Bravo Luchini nel far emergere la simpatia e l’umanità del personaggio, ma tutti gli attori hanno caratterizzato bene, per cui il film risulta estremamente piacevole, da Sandrine Kiberlain, la scialba moglie di Jean Louis Joubert, a Natalia Verbeke (Maria), a Carmen Maura (Concepcion), a Lola Duenas (Carmen), a Berta Ojea(Dolores), a Nauria Solè (Teresa), a Concha Galan (Pilar) e a Marie-Armelle Deguy (Coletta de Bergeret)

Il Regista: Philippe Le Guay è nato a Parigi il 22 octobre 1956. Ha diretto il suo primo lungometraggio nel 1989 : Les Deux Fragonard. Altro suo film di buona fattura è il : Il costo della vita

Curiosità

Il regista Philippe Le Guay ha trasferito nel film i suoi ricordi infantili. Di famiglia agiata e nobile ha memoria delle abitudini delle bonnes che affollavano la sua dimora.

Il vero nome di Fabrice Luchini è Robert, nato a Parigi nel ’51, è figlio di un immigrato italiano, di nome Adelmo, originario di Assisi, che aveva un negozio di frutta e verdura, proprio in un quartiere popolare di Parigi. A 14 anni è assunto come apprendista da un coiffer pur dames ed è là che adotta il nome d’arte Fabrice che utilizzerà in seguito.





Spunti di riflessioni. Quale cambiamento nel rapporto tra padroni e domestici nella società attuale ?



Cast: Fabrice Luchini, Sandrine Kiberlain, Natalia Verbeke, Carmen Maura, Lola Dueñas, Berta Ojea, Nuria Solé, Concha Galán, Muriel Solvay, Marie-Armelle Deguy, Annie Mercier, Michele Gleizer



Regia : Philippe Le Guay



Giudizio

Distinto

Maria Serritiello
www.lapilli.eu

mercoledì 12 ottobre 2011

il mio giornale: IRAN, REGIME / 90 frustate alla protagonista donna...

il mio giornale: IRAN, REGIME / 90 frustate alla protagonista donna...: FONTE:UNONOTIZIE.IT Marzieh Vafamehr, volto semisconosciuto in Europa, ma molto conosciuto in Iran. Questa donna è stata frustata dal reg...

lunedì 10 ottobre 2011

venerdì 7 ottobre 2011



FONTE:WWW.LAPIILI.EU
SEZ PENDRIVE
A CURA DI MARIA SERRITIELLO


Lettera-poesia


A mio nipote Luigi



Tra i fogli bianchi, di un diario mai stilato, ne ho voluto aggiungere uno scritto. Un pezzo di carta su cui fissare un attimo di eternità della mia esistenza, descritto con la forza dell’emozione e alla maniera in cui è stato vissuto, semplice com’è la mia vita e pervasa di poesia, l’onda che riempie, ogni giorno, la mia anima. Poche parole per descrivere l’istante, forse anni per cercare di riviverlo, ma attimi così non ritornano.



Sono solo in casa, col mio nipotino Luigi, la sua vita è di appena 20 mesi, età in cui apprende molto e forse, poco, conserva i ricordi, se non ciò che gli torna utile per vivere. Così, sicuramente non ricorderà quest’ attimo, vissuto con me. Quando sarà grande e avrà desiderio o modo di rileggere questo mio scritto, potrà capire quanto amore ha profuso nella mia vita, per i 20 mesi della sua.



Sua madre (mia figlia) me lo ha affidato, in una delle rare volte in cui va dal parrucchiere, “Papà preparagli pure da mangiare”, si raccomanda.

6 ottobre 2011, ore 11,30, metto a bollire l’acqua nel pentolino già preparato sul fuoco, in un piatto mescolo due formaggini con un goccio di olio di oliva. Bolle, verso nell’acqua tre cucchiai di pastina, un pizzico di sale, provo e riprovo per seguire la cottura attentamente, scolo, mescolo il tutto nel piatto e gli do da mangiare. Oggi siamo fortunati, ha mangiato tutto. Luigi è seduto, agiatamente sulle mie gambe e appena ha finito di mangiare non scappa via, come accade di solito, anzi mi resta accucciato addosso e ogni tanto mi chiama"nonno" carezzandomi la barba. Con il dolce ingombro tra le braccia mi sposto dalla sedia al divano, pochi passi con lui sempre attaccato al collo. Mi sistemo, per stare comodo nella poltrona, allungo le gambe e distendo lui sul mio petto. Spontaneamente, allora attacco a cantare una ninna nanna, con parole inventate, gliela sussurro dolcemente, mentre carezzo le braccine incrociate e lentamente lui si assopisce. Dorme, profondamente Luigi, addirittura con un leggero russare e né si sveglia quando la madre ritorna.



Oggi, mio dolce, dolcissimo nipotino, ho ricevuto da te, anche se non lo sai e forse mai lo saprai, uno dei regali più belli che la vita mi abbia potuto donare: la tua fiducia, quella stessa che ha fatto affidare a me il tuo corpo indifeso e l’immensa gioia di vegliare il tuo sonno.



Ho pensato, che questo breve tempo con te, mi ha regalato due anni di vita e sicuramente, come ogni cosa unica, per quel momento, è valsa la pena di vivere.



Grazie, mio piccolo Luigi, del grande dono.



Il Nonno Giuseppe

giovedì 6 ottobre 2011

“Bailatango” all’Arcara di Cava dei Tirreni



FONTE:WWW.LAPILLI.EU
DI MARIA SERRITIELLO

La serata “Bailatango” di venerdì 30 settembre, all’Arcara di Cava dei Tirreni, ha avuto come attrazione particolare, oltre ad un gustoso menù a base di pietanze argentine, bravi ballerini: Antonella e Fabiano e l’esibizione di speciali maestri di tango: Dina del Gaiso e Donato Marzano. Miguel Angel Zotto, uno dei tre più grandi ballerini di tango al mondo, ha detto della danza sensuale che, al momento, c'è spazio anche per l'improvvisazione per quante emnozioni suscita. Le considerazione del ballerino argentino cadono a proposito sulle figurazioni dei due eccezionali tangheri che hanno letteralmente affascinato i commensali con una perfetta esibizione. La serata dell’Arcara che ha miscelato musica e danza è proseguita con un appropriato recital di versi: “Al mio tanguero”, “Tango for”, “Sotto la pioggia” (Eugenio montale), “Tango” (Borges), “Rosa de tango” (Rubistein), recitati da Milva Carrozza. Ha presentato la serata Alfonso De Rosa. L’organizzazione è stata curata da: Marisa Annunziata.

Per saperne di più

Il tango nasce nell’Argentina come espressione popolare e successivamente diviene una forma artistica, che comprende musica, danza, testo e canzone, anche se è evidente che, sia nei suoi testi che nel suo carattere culturale, il tango è un elemento inscindibile con le realtà di Buenos Aires, Rosario e Montevideo e la sua periferia della seconda metà dell'800. Il tango utilizza per le sue esecuzioni uno strumento, forse inventato o forse popolarizzato dal musicista tedesco Heinrich Band, il bandoneon, uno strumento musicale diatonico simile alla fisarmonica o all'organetto. Essendo diatonico si ottengono note differenti con la stessa combinazione di tasti, a seconda che il mantice venga compresso o dilatato. Pur essendo una musica molto sincopata, non utilizza strumenti a percussione ed anche gli altri strumenti adoperati vengono suonati in modo del tutto particolare per dare forti accenti di battuta e segnature ritmiche.

I nomi dei maggiori compositori di musica a partire dai primi anni del Novecento fino all’età d’oro, quella degli anni '30 e '40, Anibal Troilo, Juan D’Arienzo, Carlos Di Sarli , Osvaldo Pugliese, Francisco De Caro, sono tutti figli d’italiani (gli argentini in generale sono figli d'immigranti, e l'urgenza di trovare una propria identità spinse il Tango alla sua comparsa non solo come semplice musica ma come un pensiero che si balla). Lo stesso compositore e direttore d'orchestra Astor Piazzolla aveva il padre pugliese.

Maria Serritiello
www.lapill.eu

domenica 2 ottobre 2011

A Salerno la seconda edizione di Lepidoptera nel mondo delle farfalle



FONTE :WWW.LAPILLI.EU
DI MARIA SERRITIELLO

Nel Giardino della Minerva di Salerno, l’orto botanico della Scuola Medica Salernitana, è ospitata, presso la sala Capasso, la seconda edizione del museo “Lepidoptera, nel mondo delle farfalle”, la mostra ideata e realizzata da Antonio Festa, inaugurata il 20 settembre scorso, sarà visitabile fino al 13 novembre.

Sessanta metri quadrati di esposizione di farfalle in teche, alternate ad eccezionali esemplari vivi, contenuti nella Butterfly House, una serra-voliera di circa 40 metri quadrati. I visitatori, saranno affascinati, come già per l’edizione 2010, da centinaia di esemplari conservati in scatole entomologiche con esaurienti didascalie a vista.

In mostra l’Ornithoptera alexandrae, cioè l’Ornitoptera della Regina Alessandra, un’ esposizione esclusiva, assoluta, mai mostrata prima, per la farfalla più bella e più rara del mondo. Ma altre meraviglie svolazzano dinanzi agli occhi stupiti del visitatore, come ad esempio l’“Idea leuconoe” delle Filippine, definita “Aquilone di carta” per la levità del suo volo, la Morpho peleides del Costa Rica, con le sue ali di uno sgargiante blu metallizzato, la Papiliopalinurus e le sue meravigliose ali screziate di verde smeraldo, la Caligo eurilochus, detta “Farfalla-civetta” per via dei grossi occhi disegnati sulle sue ali, in tutto uguali a quelli delle civette, l’Attacus atlas, che con i suoi 30 centimetri di apertura alare viene ritenuta a ragione la più grande farfalla esistente. Un mondo incantato e colorato, decine di farfalle che volano liberamente, mangiano si accoppiano con grazia, si posano sui fiori e sui visitatori indistintamente, questa è la mostra lepidoptera del giardino della Minerva. Un’ occasione per i visitatori di entrare nell’atmosfera lussureggiante delle foreste tropicali, di Asia, Africa e centro sud America, senza allontanarsi dalla città, nella quale vi è l’orto botanico più antico d’Europa.

Maria Serritiello



La mostra è aperta tutti i giorni dalle ore 9 alle ore 13, escluso il lunedì.

Nel weekend l’orario è continuato, dalle ore nove alle ore 18.

Il costo d’ingresso è di euro 6.

Su richiesta disponibilità del servizio navetta.

info e prenotazioni: 089 252423

sabato 1 ottobre 2011

Al Museo “Città Creativa”di Ogliara (Sa) performance del fuoco del ceramista Nando Vassallo



FONTE:WWW.LAPILLI.EU
DI MARIA SERRITIELLO

Finale incandescente, è il caso di dirlo, a chiusura della mostra “Nando Vassallo e gli artisti internazionali”, inaugurata il 20 maggio scorso e conclusasi il 25 settembre, al Museo “Città Creativa”di Ogliara (Sa). Il Museo, diretto con impegno e professionalità dalla Dott.ssa Gabriella Taddeo, ha ospitato al suo interno, oltre al Maestro Ferdinando Vassallo, anche Bernd Zimmer (Planegg-Monaco ), Achille Perilli (Roma 1927), Luigi Ontani, Michael Heindorff, Angelo Michele Risi, Mario Carotenuto e Carmine Limatola. Evidente è stato il successo della vetrina espositiva, per il numero di visitatori accorsi e che il Maestro Ferdinando Vassallo ha voluto suggellare con una sua performance, di rilievo internazionale, eseguita già a Belgrado: il “Cravon Fire”.



Il Cravon fire è una esibizione estremamente spettacolare e pirotecnica che vede l’artista far roteare intorno a sé dei carboni ardenti che in una piccola gabbia faranno cuocere per ossigenazione il manufatto ceramico.

Altra sua esibizione è il Free fire durante la quale l’artista costruisce un piccolo forno en plein air in pochissimo tempo ed effettua in altrettanto poco tempo la cottura.

Così, all’esterno del Museo e dinanzi ad un folto pubblico, interessato ed attento si è esibito Vassallo, impiegando energia e fatica, La sua performance è stata sottolineata dal suono di tamburi, che in maniera crescente e rituale hanno accompagnato l’esibizione. Presente al Cravon fire e a nome dell’amministrazione comunale, l’assessore all’urbanistica Mimmo De Chiara, .



Note biografiche.

Ferdinando Vassallo nato a Montcorvino Rovella (Sa), il 18 giugno del 1952, opera come ceramista fin dal 1973. Ancora diciottenne, alla prima esperienza di cottura ceramica, fabbrica un piccolo forno con 8 mattoni. Dopo una lunga attività che va dal ‘78 al 2002, come laboratorio Terraviva, fonda nel 2002 “La Fornace Chiaroscuro” con il socio Mario Codanti.

Performer di eccellenza realizza varie esibizioni pubbliche nel campo ceramico: il Free Fire, il Carton Fire e il Cravon Fire.

Maria Serritiello
www.lapilli.eu