Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso.....

Pablo Neruda





venerdì 25 febbraio 2011

L’Orchestra Pop Salernitana, presentata al Teatro Augusteo di Salerno


ORCHESTRA POP SALERNITANA
LA RECENSIONE
DI MARIA SERRITIELLO


Bella serata, quella del 6 febbraio, presso il Teatro Augusteo di Salerno, grazie al Maestro Guido Cataldo e alla neonata Orchestra Pop Salernitana, da lui diretta e voluta. Dopo la filarmonica del Teatro Giuseppe Verdi, diretta da Daniel Oren e dopo l’orchestra jazz dei Deidda e di Vigorito, l’orchestra pop di Cataldo chiude il cerchio musicale in città. Dinanzi ad un pubblico affollatissimo, i 30 elementi, che compongono l’orchestra, hanno dato vita ad un concerto di musica moderna di grande qualità. E’ “Azzurro”, la celebre canzone di Adriano Celentano, a fare da sigla iniziale alla presentazione ufficiale dell’orchestra, con un Guido Cataldo, maestro di consumata esperienza, emozionato e commosso. Si presenta in scena con l’inseparabile sassofono, tenuto stretto tra le braccia, come per farsi coraggio, il creatore della Polymusic e prima ancora il musicista di spicco degli Astrali, il complesso degli anni ’60, più amato dai salernitani. “Questa nuova iniziativa arricchisce il panorama artistico e culturale della nostra comunità che si conferma sempre più attenta ai fermenti espressivi più variegati” dice il primo cittadino Vincenzo De Luca, nella brochure di presentazione e continua “ il Comune di Salerno ha deciso di puntare sempre di più sulla cultura, tanto come elemento dell’identità civile, tanto come strumento di attrazione”. E l’attrazione ci sta tutta, trenta elementi, fra musicisti e cantanti che nei loro tour nazionali hanno accompagnato star, dal calibro, di Claudio Villa, Nicola Di Bari, Peppino Di Capri, Barbara Cola, Rita Pavone, James Senese, Wilma Goich, Ivan Cattaneo, Tony Esposito, per citarne alcuni. Un patrimonio d’esperienza accumulata, da non disperdere, da trasferire nelle giovani generazioni, perché rimanga viva la continuità. Anni addietro ad iniziare il cammino del successo fu il salernitano Jimmi Caravano, che nel lontano 1959 vinse la selezione cantanti “Voci Nuove”, insieme a Milva, con il notissimo Maestro della Rai Cinico Angelini e da allora un successo dopo l’altro in tutto il mondo. A lui, presente in sala, è andato l’affettuoso tributo di tutto il Teatro Augusteo, in piedi per la consegna del “Microfono d’Argento”un riconoscimento alla sua luminosa carriera. La continuità del cantante salernitano, sul palco, ora l’hanno raccolto i cantori a cappella “I Neri Per Caso”, rispettivamente figlio, Mimì, e nipoti del grande Jimmy, che, il Maestro Claudio Mattone, lanciò nel festival della canzone di Sanremo qualche anno fa. Nel cerimoniale dei saluti non sono mancati quelli delle due orchestre del territorio salernitano, nelle figure del Maestro Giancarlo Cucciniello e il Maestro Guglielmo Guglielmi, presente anche il Maestro Antonio Marzullo, segretario artistico del Teatro Verdi. L’assessore Ermanno Guerra, poi, ha ricordato come l’amministrazione comunale, che ha sostenuto il progetto della nuova orchestra, si stia impegnando per arricchire l’offerta culturale e artistica della nostra città. L’Orchestra Pop Salernitana ha eseguito, per la gioia dei presenti, pezzi musicali di grande valore, arrangiati in modo personalissimo e con stile moderno a partire da: “Dieci Ragazze per me”; “Un amore così grande” ; “Se mi lasci non vale”; “La nostra Favola” di Jimmy Fontana, cantata in modo impeccabile dal grande Gaspare Di Lauri; “Se telefonando” di Mina; “Gloria” di Umberto Tozzi; “Meraviglioso” di Modugno e tanti altri brani, entrati a far parte della colonna sonora della nostra vita. Poi, il Maestro Cataldo, ha voluto regalarci un’emozione intensa suggestiva, unica, la versione per sax tenore e orchestra del brano”Nessun Dorma”. Il sublime si trasferisce nel teatro e l’applauso irrompe fragoroso e si mantiene a lungo tra gli spettatori, un bis ci sarebbe stato tutto! Infine per i musicisti e i cantanti, tutti bravi e seri professionisti, ecco i loro nomi, in un doveroso elenco: Antonio Panico, Massimo D’Apice e Rosapia Genovese, ai sassofoni, alle trombe: Franco Mannara e Antonio D’Alessandro, al trombone: Fortunato Santoro, alle tastiere: Gianni Ferrigno, Siro Scena e Casimiro Erario; al pianoforte, Renato Costarella; alla chitarra elettrica Angelo Napoli, a quella acustica Fabio Raiola; al basso Francesco Maiorino; alle percussioni: Oreste Vitolo; alla batteria Enzo Fiorillo; ai violini Danilo Gloriante, Tommaso Immediata, Carmine Meluccio, Lidia Nicolla, Giulio Piccolo, Roberto Casaburi, Annalisa Moriello; alle viole: Pasquale Colabene, Carmine Matino; al violoncello: Antonello Gibboni. Il coro era formato da: Gaspare Di Lauri, Angela Clemente, Alfonso Tortora, Giorgio Veneri, Valentina Ruggiero, Samantha Sessa e da Diana Cortellessa che, per una brutta faringite, non ha potuto far ascoltare la sua stupenda voce. La serata è stata presentata con la solita bravura e simpatia dal notissimo attore salernitano Gaetano Stella e si è conclusa con un medley di canzoni degli anni sessanta e settanta.

Maria Serritiello
www.lapilli.eu



giovedì 24 febbraio 2011



IMPROVVISA VOGLIA DI BALLARE

mercoledì 23 febbraio 2011


N.AFRICA E M.ORIENTE

FONTE.ANSA.IT


La rivolta contro i regimi
Tutto e' cominciato con il 'sacrificio' di un venditore di frutta in Tunisia


Il giovane ambulante Mohamed Bouzizi, che si e' dato fuoco lo scorso 17 dicembre a Sidi Bouzid in segno di protesta per le condizioni di vita, la poverta', la frustrazione cui il regime dell'ex presidente Ben Ali aveva costretto i tunisini. E quello sguardo troppo poco convincente del dittatore giunto al suo capezzale aveva fatto il resto. La 'rivolta del gelsomino' era partita cosi'. Ma subito si era parlato di potenziale effetto
domino , gia' con le prime emulazioni: in Algeria, in Marocco, in Mauritania e in Egitto, giorno dopo giorno uomini si davano fuoco per protesta. Poi le proteste in Giordania e fino ai 'confini' del mondo arabo, nello Yemen, dove dimostranti hanno invocato le dimissioni del presidente Ali Abdullah Saleh, al potere da trent'anni, che ha infine promesso di non ricandidarsi.

La conferma che non si torna piu' indietro era giunta poco dopo, il 25 aprile. Mentre i tunisini, senza piu' il presidente-dittatore, urlavano ancora in piazza ''Degage'', ovvero ''fuori'' dal governo provvisorio tutti gli uomini legati al vecchio regime, anche le strade del Cairo, di Alessandria, di Suez, si riempivano di manifestanti. Improvvisamente, lo sguardo del mondo dalla Tunisia si e' allargato a tutta l'area: l'impensabile era accaduto quando Ben Ali, che per 23 anni aveva 'regnato' con il pugno di ferro, circondato dall'odiata famiglia della moglie Leila Trabelsi, era stato costretto alla fuga il 14 gennaio.

Una 'rivoluzione', ''la prima del mondo arabo'', aveva detto qualcuno. Un augurio o una profezia? Sta di fatto che a poco meno di un mese di distanza, sotto la pressione della piazza, oggi e' caduto anche un altro rais, quello ritenuto il piu' solido di tutti. L'idea che la loro piccola Tunisia, 10 milioni di abitanti in tutto, sia stata ''imitata'' dal grande Egitto, con i suoi 80 milioni di abitanti e il suo peso geopolitico nel cuore del Medio Oriente, inorgoglisce il popolo tunisino: ''Abbiamo dato loro il coraggio, l'iniziativa, la motivazione'', commentano commossi oggi a Tunisi in festa. ''La caduta di Mubarak e' il successo della nostra rivoluzione''.






LAE CANZONI DELLA SALERNITANA

"A EGRGIE COSE IL FORTE ANIMO ACCENDONO
L'URNA DEI FORTI......"
UGO FOSCOLO "I SEPOLCRI"

LE IMMAGINI DEI VIDEO, NE SONO 7, DEI QUALI POSTO IL PRIMO, DEVONO DARCI LA SICUREZZA CHE LE EGREGIE COSE FATTE.... POTRANNO RITORNARE.
DOBBIAMO CREDERCI LO VOGLIO CREDERE....INCROCIAMO LE DITA E CONTINUIAMO AD ASCOLTARE IL BATTITO INNAMORATO DEL CUORE GRANATA.(MARIA SERRITIELLO)











martedì 22 febbraio 2011



TI AMO SALERNITANA SEMPRE.....ED ORA ANCORA DI PIU'.
DI MARIA SERRITIELLO

IL TIFOSO SALERNITANO E' UN INNAMORATO PAZZO, E'UN SOGNATORE CHE TRASFERISCE SUI PRESIDENTI, SUCCEDUTISI IN TANTI, LA QUALITA' D'AMORE CHE EGLI STESSO PROVA PER LA SQUADRA. CREDE SENZA RISERVE.....CREDE INGENUAMENTE. EPPURE NON CI VOLEVA MOLTO A SCOPRIRE, NELL'ITALO AMERICANO JOSEPH CALA, UN AVVENTURIERO....UN IMBROGLIONE, UN IMPRENDITORE DEI MIEI STIVALI, UNO CHE COSTRUISCE, MA L'HA VERAMENTE MAI FATTO, INTERI CONDOMINI SOTT'ACQUA, IN MEZZO ALL'OCEANO, CON PANORAMA DI SQUALI, PUO' DARE FIDUCIA? SENZA IMPIEGARE NESSUNA DELLE QUALITA' INTELLETTIVE' DI CUI DIO CI HA FORNITO, SI POTEVA CAPIRE CHE IL TRISTE SOGGETTO ERA UN PAZZO MACCHIETTARO, BUONO A VENDERE E A COMPRARE SOLAMENTE FUMO. LA QUAOTAZIONE IN BORSA(?)GLI SPOT PUBBLICITARI DELLA SUA ATTIVITA', LA POMPOSA CALA CORPORATION, GLI ALBERGHI SULLA COSTA ATLANTICA, TUTTO UN "PACCO" AI DANNI DELLA SALERNITANA E A DIRE CHE PER QUEST'ARTE, "IL PACCO", QUANTO MENO SI POTEVA ESSERE PIU' DIFFIDENTI.... MA IL TIFOSO SALERNITANO CREDE, CREDE PERCHE' AMA E L'AMORE QUANDO E' PURO E PER LA SALERNITANA LO E', ANZI E' UNO DEI PIU' BELLI, PROVOCA FACILMENTE ERRORI.

LA DELUSIONE NON DEVE ABBATTERE, MANTENERE UNA SQUADRA COSTA E NOI A SALERNO NON ABBIAMO NESSUN IMPRENDITORE CHE ABBIA MOLTI SOLDI, PERCIO' TANTI AVVENTURIERI A STUPRARE LA MIA/ LA NOSTRA SALERNITANA, DI CUI FRANCAMNETE SIAMO STANCHI. VORREI RICORDARE A LOMBARDI, IN PRIMIS, MA A TUTTI QUELLI CHE VENGONO, IMPUNEMENTE, A SALERNO, PER FARE BUSINESS SPORTIVO, CHE PER L'AMORE DI QUESTA SQUADRA, IL 24 MAGGIO 1999, SUL TRENO CHE PORTAVA A CASA I TIFOSI DELLA TRASFERTA PIACENTINA, SONO MORTI 4 FIGLI DELLA CITTA'DI SALERNO, FIGLI DI TUTTI NOI: CIRO, GIUSEPPE, VINCENZO, SIMONE. E PRIMA ANCORA, NEL LONTANO 1963, NELLA PARTITA CON IL POTENZA, PER LA PROMOZIONE IN SERIE B, ALLO STADIO "VESTUTI" PERDEVA LA VITA IL TIFOSO GIUSEPPE PLAITANO.
L'AMORE TOLTALE HA AVUTO E VOLUTO ANCHE LE SUE VITTIME, CHE NON HANNO GIUSTIFICA NEL DOLORE DEI FAMILIARI, SE SI PENSA CHE, IL SACRIFICIO DELLA LORO VITA E' IMPUTABILE AD UN PALLONE,RINCORSO IN UN CAMPO. POSSIBILE CHE NON CI SIA NESSUNO CHE PER QUESTO AMORE COSI' RADICATO NELL CITTA', NON RISPONDA CON ALTRETTANTO AMORE SINCERO, TOTALE E UN BUON PATRIMONIO PER ANDARE AVANTI?

VORREI LANCIARE UNA PROVOCAZIONE: PREMESSO CHE LA SALERNITANA E'PATRIMONIO DI CIASCUN SALERNITANO, PERCHE' NON DIVENTIAMO, OGNUNO CON SOMME DI CUI DISPONE O ANCHE CON UNA COLLETTA POPOLARE, AZIONISTI DELLA NOSTRA SQUADRA?

UN SOGNO? INTANTO CHE SCENDIAMO IN SERI "D", LA BRUTTA REALTA' CHE CI STA DI FRONTE, LASCIATEMI ALMENO IL SOGNO.....VIVADDIO SOGNARE NON COSTA NULLA.
MARIA SERRITIELLO

LA NOTIZIA
FONTE 12MESI.IT

Torna Lombardi, Cala non ha pagato. la comica è servita: il miliardario italoamericano era un bluff
Lombardi torna alla guida del club, ma di fatto non cambia nulla: soldi non ce ne sono

11 giorni fa Lombardi lasciava la società nelle mani del fantomatico imprenditore italoamericano Giuseppe Cala, dicendo che con lui il futuro del club era assicurato. Oggi, 22 febbraio, la Salernitana torna nelle mani del costruttore di Vallo perchè il "miliardario" americano non ha pagato quanto dovuto. Una comica, se non una pagliacciata, anche se il risultato non cambia, Lombardi non aveva soldi prima e non li ha nemmeno ora. La parentesi Cala è servita giusto a far ridere un po' l'Italia per le improbabili uscite del folkloristico costruttore di alberghi sottomarini. Ci chiediamo se questi alberghi li ha costruiti davvero o solo nella sua mente e se la Cala Corporation esiste sul serio. Sta di fatto che la Salernitana, con questo atto finale, è destinata a sparire, sommersa dai debiti sui quali, unica verità detta da Cala, non ci si capisce niente.


Il destino della Salernitana è appeso a un esile filo, ma ancora ci chiediamo Lombardi come abbia potuto fidarsi di quel personaggio. Ha detto di conoscerlo da tempo e che le trattative duravano da sette mesi, ma allora coma ha fatto a non accorgersi di chi aveva di fronte? Se così porta avanti i suoi affari sarà dura per la famiglia Lombardi andare avanti e capiamo anche perchè molti costruttori salernitani hanno abbandonato l'ANCE. Tutto questo volendo pensare che il patron granata sia stato avventato, ma c'è anche chi pèensa che dietro questa macchietta ci sia un'altra macchinazione... nei prossimi giorni, forse, se ne saprà di più

domenica 20 febbraio 2011


QUADERNO A QUADRETTI
DI MARIA SERRITIELLO


Il 61° festival di Sanremo si è concluso, accontentando, incredibilmente, tutti. Roberto Vecchioni, con l'altro "Roberto" ha unificato l'Italia, segno che non è impossibile, a 150 anni dalla nascita, come sembra apparire da alcune dispute sulla solenizzazione o meno dell'evento."Chiamami ancora amore" non è solo una canzone è una bandiera issata, sulle nostre teste per mantenere alto l'orgoglio di appartenenza e nelle nostre teste per comprendere il cammino già fatto e quello che i giovani dovranno fare. Vecchioni si sa è un Professore d'italiano e da maestro ha pensato il testo, le sue parole sono rivolte principalmente ai giovani, quei ragazzi che per anni ha affascinato con le sue lezioni.Chi fa questo mestiere, gli resta nel sangue e pensa sempre, finchè campa a dare contenuti, ad indirizzare per il meglio, a spronare per la vittoria i giovani. Roberto l'ha fatto con la sua bella poesia canora, inebriando tre generazioni, che per la prima volta sono d'accordo nella scelta della canzone regina.
Un grande Roberto, dunque , a cui se si augura successo, si sa già che ce l'ha, da quarantacinque anni, senza che abbia mai sbagliato una melodia ed ora colonna sonora, con oggi, di vecchi e giovani. Ecco "stiamo uniti" a furia di ripeterlo Morandi ha sortito l'effetto.

Gianni Morandi

Morandi, alla fine ha fatto con modestia ed onestà il suo lavoro e l'ha fatto in modo, a conclusione, accettabile. E' La sua aria di eterno ragazzo che ci tranquillizza e ci induce alla speranza,"uno su mille ce l'ha fa", cantava tempo addietro ed ognuno di noi vedendolo si sente quell'uno su mille che ci riesce. Sfida e successo insieme, un mixer di positività e di ingenuità, il cantante che in gran silenzio e quasi egli stesso di nicchia, ha condotto il festival più visto degli ultimi cinque anni.

Canalis

Ora si sa che cosa sa fare meglio Elisabetta Canalis, parlare inglese, tanto da sostituirsi, per l'ospitata di Robert De Niro, al traduttore simultaneo ufficiale. Buon per lei, se non altro, potrà interagire senza alcuna possibilità d'incomprensione, in lingua2, con il suo fidanzato George Clooney.

Belen

Vuole fare di tutto: ballare, cantare, imbronciarsi, se viene sul palco dell'Ariston, una bellezza del calibro di Monica Bellucci,splendida, da offuscare chiunque, donne e uomini che siano, tant'è che lo star Hollywoodiana, Robert De Niro, invecchiato male e vestito peggio, dinanzi alle grazie della Bellucci, sembrava il vecchio professore, brutto ed insignificante, dell'Angelo Azzurro, un film del passato. Belen ha troppa voglia di mettersi in mostra, surclassando facilmente e la Canalis, che non è stata la sua alter ego e perfino quel brav'uomo di Morandi. Una furbetta...

Luca e Paolo.

Le Iene, divertenti, spiritosi, contenuti e sottili segno che la satira, quando è elegante, diverte, non crea animosità in quelli che la subiscono. Hanno sdoganato una parola che andrà molto di moda in tv ,"sputtanare". Se "l'ha detto" la televisione, la si potrà ripetere senza perdere eleganza nei salotti.O no?

Nel bu dipinto di blu

Si è dovuto attendere l'ex scugnizzo, Massimo Ranieri, da Napoli, per ascoltare a Sanremo "VOLARE" di Domenico Modugno. Un inno nel mondo, che ha rappresentato e rappresenta la canzone italiana, vergognosamente trascurata, nella terza sera, tra le canzoni che hanno fatto la storia. Domenico Modugno, fosse vivo, non se ne sarebbe rammaricato più di tanto, chi vola nel blu, dipinto di blu, non guarda basso, nella fattispecie, il palco dell'Ariston, ma canta con le braccia spalancate a croce "VOLAREEEEEEEEEE" e ascolta l'eco degli italiani che intoneranno sempre in suo onore "O O O"
Maria Serritiello



“E’ stata un’emozione incredibile. La più forte da quando faccio televisione. Mi dicono che abbiamo fatto punte da venti milioni di spettatori: era dai tempi del Mondiale dell’ 82 che non succedeva…”. In un colloquio con il ‘Corriere della Sera’ (non un’intervista, ci tiene a precisare), Roberto Benigni torna sul monologo al Festival di Sanremo con il quale ha ricordato l’anniversario dell’unità d’Italia attraverso l’esegesi dell’Inno di Mameli.
Lo sa Benigni che stavolta persino Il Giornale ha scritto bene di lei? «Guardi, è una cosa incredibile, forse anche pericolosa, infatti è tutto il giorno che mi chiedo: ma dove avrò sbagliato?» . Il giorno dopo il trionfo, Roberto Benigni è ancora euforico. «Nessuna intervista, per carità, se no gli altri si arrabbiano, e poi sono appena sceso dall’aereo, sono stanco e felice, non so cosa mi verrebbe fuori…» . Nessuna intervista quindi, però Benigni non rinuncia a dire la sua gioia. Il monologo di Sanremo ha cambiato la percezione degli italiani della festa per i 150 anni, da ricorrenza triste di un Paese diviso tra secessionisti al Nord e neoborbonici al Sud a momento in cui molti si rendono conto di essere più legati all’Italia di quanto non amino riconoscere. «Succedono cose pazzesche — sorride Benigni —. Mi dicono che a Radio Padania telefonano leghisti della prima ora un po’ arrabbiati con il partito: “Ma come, nell’inno di Mameli c’è la battaglia di Legnano? Perché non ce l’avete mai detto?”. Personalmente, però, la cosa non mi ha stupito. Non dovrebbe stupire. Alberto da Giussano è un eroe italiano, non padano. Appartiene a tutti noi, come la saga del Carroccio e della Compagnia della morte».

venerdì 18 febbraio 2011


QUADERNO A QUADRETTI
RUBRICA DI MARIA SERRITIELLO

3° SERATA DEL 61° FESTIVAL DI SANREMO

Ad un mese esatto dalle celebrazioni dell'Italia unita, per i 150 anni della nascita, l'omaggio più interessante alla patria l'ha tributato Roberto Benigni, nella terza serata sanremese, tra satira e storia.
Come sa intrattenere lui, con quella sua parlata tosca, non ci sono pari. E'un fiume inarrestabile è il cantore perfetto, tra il giullare,il saltimbanco ed il dotto d'accademia. Le cose che dice sono sagge ed infervora la platea quando stima che l'Italia è la terra più bella del mondo, per bellezza e cultura. Come non credergli e non approvarlo! L'amore patrio e l'attaccamento alle proprie radici sono consentite, il sopravvalersi, invece, è una forma di razzismo che si deve rifiutare. Quello che piace ricordare è che per l'Italia Unita si sono impegnati, sacrificando la vita, tanti giovani, per cui non solo nella sede del festival di Sanremo si dovrà solennizzare la festa del 17 marzo, ma ovunque in Italia.
Le feste civili, per il loro ripetersi nel tempo, hanno un che di religioso e nel solenizzarle, ogni volta, sta il ricordo del passato che, tutti ma proprio tutti, se si tratta della nostra Patria, si dovrà tenerlo presente.

p.s. La storia dell'Italia, attraverso vecchi brani, rinterpretati da giovani o da cantanti diversi da quelli originali non sempre hanno sortito l'effetto desiderato. Mille lire al mese con Patty Pravo, senza voce e Il cielo in una stanza di Giusy Ferrero, hanno fatto rimpiangere abbondantemente Natlino Otto e la Grande Mina.

giovedì 17 febbraio 2011


QUADERNO A QUADRETTI
RUBRICA DI MARIA SERRITIELLO

2° SERATA DEL FESTIVAL DI SANREMO 2011

Il tormentone- “Perché Sanremo è Sanremo” era lo slogan di qualche tempo fa, correvano gli anni di Pippo Baudo, con all’attivo 12 presenze, oppure “Allegria” del fu “Senatore” Mike Buongiorno, campione per 11 volte, anche lui, alla kermesse canora. Così il tormentone di quest’anno è “Siamo Uniti”che, ogni volta e lo ripeterà per 5 sere, Gianni Morandi ce lo fiaterà nelle orecchie. In questo momento storico, la ripetizione suona alquanto sinistra, ma se non si riesce neanche a festeggiare insieme 150 anni che, comunque sia, sono passati sulla pelle degli italiani, di che unione parla il Don Gianni della parrocchia Italia?

I complimenti- Il conduttore ad un certo punto della serata si accorge dell’abito di Belen e si lancia in complimenti, ma si capisce subito che non è a suo agio, forse che l’impaccio gli deriva dal fatto che non è ancora uscito dal suo successo “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”?

Le bellezze- Belle si, lo sono, certamente, ma poi ? Oltre l’immagine che c’è? Per Elisabetta Canalis, George Cluney, una star internazionale che ha deciso di tenersela, per sempre, come decorativa fidanzata, lui stesso, infatti, lo ha dichiarato “ non sono più intenzionato a sposarmi”. Per Belen, invece, e confesso, non mi è per nulla simpatica, dietro le sue spalle, aleggia la figura inquietante, rosa-noir, di Corona. Peccato che le due fanciulle del solo merito (Cluney e Corona) non ne vogliono parlare….su che cosa, allora, con loro, possono intrattenerci, sulla “critica della ragion pura” di Kant?

Il Festival – Da tutti criticato il festival è guardato da milioni d’italiani e per la rete ammiraglia la battaglia con le altre tv è vinta. 61 anni ci hanno addomesticati a questa manifestazione, come ad una festività comandata, quasi religiosa e così per abitudine, per curiosità, per gli abiti delle bellezze femminili o per ragioni che sfuggono all’analisi, gli italiani s’incollano al televisore e sebbene dormano davanti allo schermo, si sentono partecipi, dentro una manifestazione che ormai è più per la vista e meno per l’udito, quello che ci avrebbe fatto apprezzare le canzoni.

La canzone della seconda serata- Io l’adoro, perché è un poeta, un uomo sensibile ed un insegnante amato dagli allievi. Il “Professore” Roberto Vecchioni, il collega d’italiano, per tanti anni la sigla romantica e di guerra degli anni miei. L’età per il cuore non conta e “Chiamami ancora amore”, la canzone frutto della rabbia positiva, dell’energia piena del cantautore, amato da più generazioni, per essere da più di quarant’anni sulla scena, ne è una prova. “Grazie Roberto”per non avermi/ci mai delusi.
Maria Serritiello




QUADERNO A QUADRETTI
RUBRICA DI MARIA SERRITIELLO


Piccola riflessione, sulla prima serata del Festival di Sanremo,61° edizione

Satira feroce delle "Iene", del resto non portano impunemente il nome di quell'animale,nella prima serata del 61° Festival di Sanremo. L'apertura con Antonella Clerici, che parla con una piccolina,sua figlia e racconta come si è arrivati alla 61° edizione, è solamente patetica "Son tutte belle le mamme del mondo", poteva andar bene negli anni cinquanta, dove le donne, quand'erano bellissime, avevano un personale robusto(sfiancato dai troppi figli),vestiti rimediati e capelli lavati con il sapone di marsiglia e risciaquati con l'aceto per la lucentezza. Le mamme d'allora, sì, che si sarebbero commosse, quelle di oggi, invece, invitano le figlie a vendere il proprio corpo,perchè tutta la famiglia abbia a giovarsene. Ed allora, perchè la triste esibizione di madre e figlia Clerici? L'Italia in tutti questi anni è cambiata ma al festival piace pensare che, da sessantuno anni, siamo immobili ed imbalasamati dinanzi allo schermo, e che il giorno dopo la vittoria della canzone regina ci sia il garzone del panettiere, che all'alba vada in bicicletta a fischiettare il motivo......
Maria Serritiello


martedì 15 febbraio 2011




(foto: Maria Serritiello)

Lectio Magistralis di Gabriele Lavia al Teatro Verdi di Salerno

Lectio Magistralis di Gabriele Lavia al Teatro Verdi di Salerno, per gli alunni del Liceo Scientifico “G. Da Procida”. Il noto attore teatrale, ad una platea giovanile in religioso, quanto inconsueto silenzio, ha parlato di teatro in generale e dei temi che sono affrontati nello spettacolo che lui stesso porta in scena per l’Italia: “Il malato immaginario”. L’incontro con Lavia rientra nel progetto scolastico “Percorso d’Attore, dell’istituto “ Giovanni Da Procida” in collaborazione con l’associazione “Amici del Teatro Verdi, presidente Tania Mambrini”. Cinque incontri dal 14 dicembre al 5 febbraio, per gli allievi del triennio, tenuti dall’esperto esterno Prof. re Francesco Puccio, autore, regista ed attore, coadiuvato dalla docente referente d’istituto Prof.ssa Amalia Di Dente.

Il Teatro Verdi, sfavillante anche di mattina, ha esercitato sugli allievi un indiscusso fascino per due ore, in cui Gabriele Lavia, non tralasciando il suo fare di attore, li ha affascinati, surclassati per quello che ha detto e come l’ha detto, sbalordendoli, infine, per la quantità espressa. L’attore, pienamente a suo agio con i corretti ed interessati allievi, si è concesso anche qualche piccola digressione autobiografica e ha risposto volentieri alle domande e alle curiosità degli alunni. Foto ricordo, saluti ed incitamento ai ragazzi a coltivare il teatro, come maestro di vita, a conclusione di un incontro particolare e ricordevole nella vita di ognuno dei giovani presenti.

Maria Serritiello
www.lapilli.eu


Lectio Magistralis di Gabriele Lavia al Teatro Verdi di Salerno

Lectio Magistralis di Gabriele Lavia al Teatro Verdi di Salerno

lunedì 14 febbraio 2011

SAN VALENTINO 2011

IL CODICE

QUEI PICCOLI SEGNALI
CHE VIGILI MANTENEVANO
L'AMORE,
QUEL MUTO LINGUAGGIO
SCONOSCIUTO,
ISOLATO,
SEMPRE IN CERCA TRA LA FOLLA
"IO TI AMO E TU MI AMI",
AL MERCATO, IL CODICE.....
E ROSSE CILIEGE, IGNARE
CADEVANO DALLA SPORTA

MARIA SERRITIELLO
21-1-'99




domenica 13 febbraio 2011


Joseph Cala, un americano a Salerno ecco chi è il nuovo numero 1 della Salernitana


Che era nato nel paese sbagliato, Joseph Cala, al secolo Giuseppe Calà, originario di San Cataldo, l’aveva capito fin da ragazzino. “Vedevo troppa ignoranza intorno a me”, rammenta oggi nella tipica parlata “bruccolina”. Non capiva perché in Sicilia tutto era “difficile”: avere l’acqua dai rubinetti, un certificato, il lavoro che dovrebbe essere una cosa normale… “E poi non capivo perché la gente andava appresso ai politici, alla raccomandazione per lavorare… Troppa ignoranza”.

Già a nove anni, come ricorda lui stesso, meditava di scappar via da San Cataldo, dove era nato. In casa, la mesata del padre operaio, a stento bastava a non far mancare il necessario agli altri cinque fratelli. Chi poteva assecondare la grande smania di evasione del piccolo Giuseppe? Che già a nove anni, pianifica la sua vita: mettere da parte un gruzzoletto e poi scappare via. A New York.

A mettergli in testa l’America, fu don Totò Nuovo, il barista del corso principale a San Cataldo, dove Giuseppe si “impiegò” come cameriere. “A dieci anni, ama raccontare, sapevo fare tutto: il caffè espresso, i gelati, la pizza…”. Una bravissima persona, don Totò.

Che lo trattava proprio come un figlio. Anche lui era stato in America, a New York: aveva fatto fortuna con la pizzeria ed era anche diventato un famoso cantante, conteso dalle Tv newyorkesi. “Mentre a San Cataldo lo disprezzavano”, chiosa Joseph Cala. Don Totò gli diceva sempre di aver fatto un grosso sbaglio a ritornare in Sicilia, per assecondare la nostalgia della moglie sancataldese.

“Vattene da questa terra amara. Qui vivono solo gli zeri!” mi ripeteva in continuazione. Ed anche i suoi clienti, lui i chiamava così: zeri, inutili. Che viveva in un paese da “terzo mondo” rammenta oggi Joseph – lo capiva ogni volta che arrivavano le comitive italo – americani.

Loro, non chiedevano mai, come i sancataldesi, prima di ordinare; quanto costa? Ed oltre a non badare ai prezzi, gli lasciavano sempre buone mance. Tanto che in quattro anni, nel suo libretto al portatore, aveva racimolato due milioni e mezzo. Che nel ‘73 erano soldi. E fu in quell’anno, a soli tredici anni, che tagliò la corda.

Lasciò San Cataldo in una prima mattina d’estate. Con l’autobus della Alavit fino a Caltanissetta, e poi in autostop anche oltre lo Stretto. Ai suoi, per tranquillizzarli, raccontò che andava a Taormina. Mentre agli amici che ridevano e lo sfottevano con quello zaino sulle spalle, preannunciò: “Vado a Parigi e dopo a New York. Aspettatemi quando ritorno tra vent’anni”. E così fu. A Parigi, l’aiutò anche la fortuna: grazie ad un equivoco – gli avevano detto di ritornare, ma lui capì che l’avevano ingaggiato – andò a finire, come aiutante cameriere, da Chez Maxim, il miglior ristorante del mondo. Dove era di casa gente come Onassis, Rockefeller, Agnelli, Sophia Loren e Carlo Ponti.

Da Maxim, seicento posti coperti ed un fatturato a nove zeri, la “Mecca Gastronomica” dei ricchi e famosi del globo, Joseph Cala ci resta tre anni: il tempo di imparare a far bene le salse, conoscere la gastronomia, ma anche apprendere l’abc del management. Anche se il suo sogno, la terra promessa restava sempre l’America.

Tentò di arrivarci la prima volta, nel ‘74, ancora quattordicenne, con un volo Parigi-New York. Ma quando rivelò che voleva restarci per sempre, i poliziotti lo rimandarono in Francia. Due anni dopo, ritentò. Ma stavolta, si fece furbo: “Partii con un biglietto Parigi-Toronto via New York. Ed alla polizia dissi che restavo a New York solo un paio d’ore”.

Gli andò bene. Anziché proseguire il volo per il Canada, andò da tutt’altra parte: a San Francisco in California. Comincia così, a sedici anni, l’avventura americana di Giuseppe Calà negli States. Pochi conoscono forse la vera storia del Paperone siculo-americano, oggi quarantenne (nel 2000) ed ultramiliardario, che sognava da ragazzino l’America.

E che ha fatto fortuna negli States gestendo e realizzando Grand Hotels di lusso tra Los Angeles, San Francisco, New York, le Hawaii e Bahamas. “In America era un’altra cosa”, rammenta Joseph spaparazzato sotto un gazebo di contrada Bisiti Spia, ospite dell’amico e compaesano Cataldo Riggi, titolare del “Molino S.Giuseppe” alle porte del capoluogo.

“Era tutto facile: due ore per avere la patente che costa diecimila lire. Vuoi una macchina? Con cento mila lire, la trovi nuova. Il problema, in America, non è trovare il lavoro: ma quale lavoro. Le opportunità sono infinite”. Adesso, a quarant’anni, Joseph Cala, è tornato di nuovo in Sicilia.

Ma da Paperone e con i dollari in tasca. Sta battendo in lungo ed in largo l’isola, percombinare affari, comprare società ed espandere quel suo piccolo “impero” personale: la Cca, la Cala Corporation America.

La Company statunitense con tanto di sito su Internet (www.calacorporation.com), una capacità di spesa di cinquemila miliardi, e società sparse in tutto il globo con azioni quotate a Wall Streat, la Borsa di New York. E’ un uomo d’affari sempre in movimento, oggi mister Joseph Cala, trascorre il tempo a spostarsi da una parte all’altra del mondo: Honululu, Tokio, San Francisco, Sudamerica. Ed ultimamente, ha aggiunto pure la Sicilia: a San Cataldo, il paese d’origine per stare un po’ in famiglia con genitori e fratelli, e soprattutto Catania.

Dove nei giorni scorsi, dopo quattro mesi di trattative con gli emissari del ministero dell’industria ed il prefetto Santoro, ha messo a segno il primo affare della stagione: l’acquisto dell’ex azienda Costanzo, seicento dipendenti e commesse nel settore della costruzioni.

“Sono però abbastanza lenti” si lascia sfuggire Joseph”. E’ un mese che sono qui. E sono stanco. Perché non è solo il tempo che si perde – ragiona il Paperone siculo americano – ma le opportunità che uno perde altrove!”.

Per combattere la piaga della disoccupazione alla radice, Joseph Cala, la sua brava ricetta, made in Usa ce l’avrebbe: concentrarsi come fanno le company d’oltre oceano, solamente su una città: farla più grande e più bella. La città ideale, lui l’ha trovata: il capoluogo etneo. Catania, come Las Vegas.

Che da sobborgo di sessantamila anime, è diventata una metropoli di due milioni di abitanti – chiosa mister Cala – non certo per i Casinò”. La città del Mongibello, alla stregua di Los Angeles. Il sogno di Joseph, è di cambiare completamente il volto del capoluogo etneo in dieci anni. Di farla davvero “nuova” la Milano del sud. Si comincia, impiantando sott’acqua il primo albergo sottomarino del mondo.

Un monoblocco al settanta per cento in vetro e ferro, realizzato nei cantieri navali americani con l’87% dei finanziamenti del governo Usa, che è stato ultimato alla fine del 2002. Il primo albergo al 95% sotto il mare, ha 250 camere, l’Acqua Park, ed un piccolo centro commerciale di fronte, spiega Joseph Cala. Sarà trasbordato via nave, ed immerso sott’acqua davanti al porto. “Due anni fa – spiega il titolare della Cca – abbiamo ottenuto l’autorizzazione della Capitaneria.

Si tratta di una struttura – assicura – che non comporta alcun impatto ambientale: sott’acqua, diventerà come un corallo e intorno ci nuoteranno i pesci!” Il manufatto, si impianta al massimo in un paio di giorni. Nessun problema, insomma. Tutto facile: l’unico grattacapo, se il monoblocco viene realizzato nella costa occidentale degli States, sarà semmai l’attraversamento del canale panamense. Dettagli.

A mettere a “bagnomaria” gli alberghi, Joseph Cala ci ha già provato: ne ha realizzati un paio alle Hawai, il Grand Wailea ed il Maui, ed un altro alle Bahamas, l’Atlantis. Tutti e tre sott’acqua solamente per il 15%. Undici milioni di turisti all’anno – calcola il titolare della Cala Corporation che arrivano da tutto il mondo.

All’Atlantis, tremila camere, costato cinquemila miliardi, hanno costruito un tunnel tra due rocche, a trenta metri sotto il mare: “dove nuotano pescecani, delfini, squali, balene. Un sogno! Chi arriva, laggiù non vuole più uscire”. Quei tre “sogni” ultimamente, li ha comprati una compagnia alberghiera sudafricana. “Nel futuro, sono due i posti in cui il turismo andrà forte: lo spazio e sotto il mare” commenta serafico Joseph Cala.

“Nello spazio, ancora non posso. Sotto il mare, invece…” Alberghi sott’acqua, la Cala Corporation, ne ha in programma una quarantina. Che andranno tutti a finire – costo cadauno 200 miliardi – dentro i mari e gli oceani di tutto il mondo: Bahamas, Hawaii, Bermuda. L’albergo sott’acqua, ma anche il più grande Centro Congressi del mondo, sogna mister Calà per Catania.

Un’altra città megagalattica, con 33 grattacieli per gli uffici, 150 mila camere d’albergo, un mega centro commerciale di 500 mila metri quadrati, alberghi grandiosi, tre campi da Golf, con duemila case intorno, ed altri duecentomila, trecentomila appartamenti. “Il comune – chiosa Joseph Cala – deve investire solo nel centro congressi e basta. Il resto saranno tutti soldi privati. Nostri e delle altre compagnie.

Il sindaco Scapagnini? E’ molto felice. Mi ha fatto un’ottima impressione. Veniva spesso anche nei miei ristoranti, quando insegnava all’università di San Francisco”. Per realizzare la “Catania due”, dovrebbero essere impiegate le maestranze dell’ex colosso Costanzo, adesso passate alla Cca. Che nei prossimi anni – preannuncia Cala – assumerà altri 4400 lavoratori”. Se la città di Catania accetta la mia proposta – è sicuro mister Cala – la Sicilia, risolverà il problema della disoccupazione.

La ricetta è “semplice” ovviamente: per lo sviluppo dell’economia di un paese, bisogna ospitare i grandi congressi. Tutto qui. Per Catania, Joseph Cala, prevede in dieci anni, un milione e mezzo di nuovi posti di lavoro. Adesso dal Comune e dal sindaco Scapagnini, Mister Cala, attende solo l’okay per l’approvazione del piano di sviluppo. “Abbiamo bisogno solamente di mille ettari!” dice. “E poi, bum: faremo tanti grattacieli come a Las Vegas, Los Angeles.

Catania è bellissima. C’è l’Etna, il mare. Non è grigia come Amburgo, Francoforte o Milano. A Roma, Venezia e Firenze – ragiona il titolare della Cca – non vogliono sentirne di ospitare congressi. Catania è il posto ideale! Se costruisci il più grande Centro Congressi del mondo – sogna il Paperone siculo americano – poi, tutti i grandi alberghi arrivano. Perché i soldi agli alberghi, non li portano certo il sole e la spiaggia. Ma i grandi congressi. E’ già accaduto così a Las Vegas, Los Angeles…”.







PARLEREMO E CANTEREMO BRUCULINO ALL'ARECHI DI SALERNO.....

venerdì 11 febbraio 2011

IL 10 FEBBRAIO LA GIORNATA DEL RICORDO


(foto di Maria Serritiello-Luglio 2010)

ESODO ISTRIANO

FONTE:CORRIERE DEL VENETO.IT

Zecchi: «Esuli istriani,
una storia rimossa»
Il filosofo veneziano: sono mancati i narratori

Gli italiani non hanno capito quale sia stato il dramma dell’esodo giuliano-dalmata. Dopo averlo rimosso per anni, ora lo considerano un fatto minore». Stefano Zecchi, giornalista, scrittore e docente di Estetica a Milano, nato a Venezia 66 anni fa, parla con sofferto disincanto, alla vigilia del Giorno del Ricordo, della tragedia delle foibe e dell’esodo dalle loro terre di istriani, fiumani e dalmati. Lui, che nel suo ultimo romanzo Quando ci batteva forte il cuore (Mondadori, pp. 216), ha raccontato proprio la fuga disperata di un padre e un figlio dalla Pola insanguinata del 1947, sente infatti che il Paese non ha ancora metabolizzato quell’immane trauma.
Come se lo spiega, professore? «Molto ha fatto la realpolitik. All’inizio, quando c’erano ancora i nazisti in Europa, le potenze occidentali non volevano contrastare Tito e Churchill. Poi il problema è diventato italiano, perché si doveva in qualche modo pagare il prezzo della sconfitta. In quel clima la Democrazia cristiana e il Partito comunista si sono trovati a condividere la stessa linea: Togliatti chiedeva l’annessione di Trieste e i democristiani non facevano grande opposizione a questa scelta. Così nel ’48, dopo che Stalin ha sconfessato Tito, quest’ultimo è diventato un interlocutore delle potenze occidentali. Ed è stata la fine».
Solo un’incrostazione politica, dunque? «Purtroppo no. Dietro alla diffidenza italiana per la tragedia degli esuli c’è anche una questione culturale. Mi spiego: la Resistenza può contare su dei libri di storia molto belli, il dramma dei giuliano- dalmati no. La Resistenza è diventata un luogo mitico-simbolico della nostra storia grazie alla grande narrativa dei vari Bassani, Cassola, Vittorini, Pavese. Perché è la grande narrativa che entra nel cuore della gente. La vicenda degli esuli, invece, è prima di questa drammaturgia».
E’ per questo che lei ha voluto ambientare il suo ultimo romanzo proprio nella Pola del dopoguerra? «Sia chiaro, non voglio paragonarmi agli autori che ho appena citato; ma l’intenzione era appunto quella di trasmettere i veri sentimenti della tragedia».
«Quando ci batteva forte il cuore» si apre nel ’43 e si conclude con l’annessione jugoslava del febbraio ’47. E racconta la vicenda di papà Flavio e del figlio Sergio, in fuga da Pola. Quale filo collega la «grande» storia con la storia «privata»? «Una parola: rimozione. Ho iniziato il libro con l’obiettivo di testimoniare il concetto di rimozione del ruolo paterno nella società moderna. Perché ormai i padri sono scomparsi, non contano più. Così, per una suggestione diretta, mi è venuta in mente la macro-rimozione della tragedia degli esuli. Una rimozione dai libri di storia e dalla nostra identità. Per questo ho messo insieme le due cose. E l’effetto mi pare che sia riuscito».
Come ha fatto a dipingere in modo così vivido la tragedia degli esuli? «Ho pescato nella mia memoria. Mia nonna materna era un’ebrea triestina. E molte cose me le aveva raccontate lei. Ma non solo. Io stesso sono stato testimone della tragedia. Avevo 6-7 anni quanto in riva degli Schiavoni, a Venezia, arrivano le motonavi che scaricavano tutta quella povera gente. Ricordo il modo in cui venivano accolti gli esuli, a sputi e fischi, perché erano considerati fascisti. E ricordo i bambini a scuola con il cartello "profugo" stretto al collo. Noi poi ospitammo in casa anche una signora e il suo bambino. Per questo per me è impossibile dimenticare».

Giovanni Viafora



FIUME LA CITTA' DI MIA MADRE GIOVANE

Fiume (1)
Fiume,
di mia madre fanciulla,
di mio padre sposo,
dell’utile confine
e dell’allegria adolescente.
La vita incrociata
e dei miei nonni
la guerra.
Da qui la nave parte
e ancora il porto cerca.
Maria Serritiello

Fiume,18-7-2010

giovedì 10 febbraio 2011

Ridotto di Salerno. “Emozionando” con Claudio Tortora


LA RECENSIONE
DI MARIA SERRITIELLO

Tre venerdì di seguito, ma stando alle numerose richieste ci sarà anche il quarto venerdì di emozioni, al Teatro “Ridotto” di Salerno. A procurarcele è Claudio Tortora che ha confezionato uno spettacolo di pensieri, musica ed immagini, dal titolo “Emozionando”, te lo racconto in musica, per tutti coloro che vogliono prendere le distanze dai pensieri, dalle immagini e dalla musica di quotidiana bruttura. Un’ ora e mezza di spettacolo, su di un semplice fondale nero, interrotto ad intervallo da immagini irresistibili, che il Patron del Premio Charlot, la manifestazione più importante della comicità italiana, assieme ai suoi compagni di viaggio: Lucia Lisi (voce solista), Marcello Ferrante (tastiera), Gianni Ferrante (batteria) e Mariolino Ferrigno (contrabbasso), hanno regalato ai salernitani, accorsi numerosi come ad un richiamo irresistibile. La garanzia di ciò che si assiste è nel nome di Claudio Tortora, un uomo di spettacolo da più di trent’anni sulle scene del teatro della città, un laureato in legge prestato con successo al teatro che della sua passione ne ha fatto il centro della vita. Nel suo lungo percorso artistico darà vita al Teatro Ridotto, il tempio unico della comicità salernitana, farà parte del gruppo “La Rotonda” con Giuliano Avallone e Getano Stella e sarà l’ideatore del Premio Charlot, per citare alcune delle sue più significative esperienze. Con “Emozionando” Claudio Tortora naufraga serenamente nei suoi pensieri e li regala con semplicità artistica ai frastornati spettatori presenti, sotto forma di un delicato spettacolo, quasi sussurrato, tanto risulta dolce. Eppure i temi trattati hanno peso nella vita di ognuno, ma lui li tratta soave, appagato, segno di una’innegabile maturità raggiunta. Intense e poetiche sono le sue lettere alla luna, al mare e alla città e utilizzando musiche che spaziano da Burt Bacharach, a Renato Zero, da Piovani all’intensa May wey di Paul Anka, da Vedrai, vedrai dell’indimenticabile Luigi Tenco a It’s wonderfull di Paolo Conte. Tra il pubblico, ad applaudirlo convinti e spinti da un grosso sentimento di stima amicale e professionale, sono accorsi: l’amico di sempre Gaetano Stella, Elena Parmense, Gilda Ricci, Antonio Peluso, Marino Cogliani e per la terza volta consecutiva Alessandro Nisivoccia, la storia del teatro di Salerno. Claudio, da perfetto padrone di casa, invita il Maestro a salire sul palco e a regalare ai presenti la sua inconfondibile recitazione di tre belle poesie e lui volentieri lo fa. It’s wonderfull, si, è davvero meraviglioso, per usare una volta in più l’espressione della canzone di Paolo Conte, trascorrere una serata “Emozionando” il cuore.

Maria Serritiello
www.lapilli.eu

Mino Abacuccio al “Ridotto”di Salerno


LA RECENSIONE
DI MARIA SERRITIELLO

“Saluta Titì”, ripete teneramente ingenuo, ogni volta, per sottolineare il pensiero comico del suo monologo, quasi a chiedere consensi, prima dell’applauso del pubblico. “Titì “ è un pupazzo di peluche, un coniglio dagli occhi azzurri e dalle orecchie larghe. Si presenta così, al “Ridotto” di Salerno, Mino Abacuccio, 28 anni, laureato in economia e vincitore del Premio Charlot 2010. Un giovanotto, alto, distinto che porge le sue battute (sono suoi i testi), con garbo ed eleganza, senza vociare. Non irrompe sulla scena, non strafà, non produce chiasso e confusione ma pensieri, quelli che sono nella mente di ognuno, tanto che l’applauso parte, ogni volta, spontaneo da parte del pubblico. Nel suo divertente monologo rientrano i tanti temi del quotidiano, come le vacanze intelligenti, la precarietà del lavoro, il call center, lo shopping, i testimoni di Geova e la famiglia e per la verità la famiglia, la sua, è il contenitore più sostanzioso della comicità, l’ispiratrice naturale dei i suoi testi. "Ride male chi ride ultimo" è il titolo dello spettacolo presentato nel Tempio del Cabaret salernitano, la prima esibizione che Mino ha presentato da solo in pubblico. Il battesimo è stato accolto favorevolmente e le risate sollecitate, sono la conferma e lo sprone per continuare. Auguri Mino!



Mino Abacuccio

Muove i primi passi, all'età di 16 anni, nel settore dell'animazione e dell'arte di strada. Nel 2007 si avvicina al mondo del cabaret, frequentando i primi laboratori e nel 2009 approda al Laboratorio Tunnel giovani " Sipariando " diretto da Ferdinando Mormone presso il teatro napoletano“TAM”



Riconoscimenti:
-Vincitore Premio Charlot 2010.
- 3° Classificato alla Champions League del cabaret " Bravo grazie 2010 ".
- Vincitore del premio giuria tecnica al Premio Arte Umoristica.
- Vincitore del premio giuria tecnica al concorso "Ridi che ti passa" .
- 2° Classificato al concorso "Ridiamoci su", città di Vico Equenze.
- Vincitore al "Festival del comico" a Sesto Campano.
- Vincitore Premio pubblico, Vincitore Premio giuria tecnica e Vincitore Premio della critica, al concorso di cabaret " Vado al massimo " di Pignola
- Vincitore Premio della critica al Premio “Massimo Troisi” 2009

Maria Serritiello
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Hereafter


LA RECENSIONE
DI MARIA SERRITIELLO

Hereafter

Trama

Tre personaggi in tre luoghi diversi della terra hanno a che fare con la morte e con il mistero del dopo che l’accompagna. George è un operaio americano ma ha un passato di sensitivo. Ha smesso di esserlo perché non ha retto all’infelicità di avere sempre a che fare con la morte. Marié è una giornalista francese di successo, che in una missione di lavoro viene travolta da uno tsunami, si salva ma ci rimette le sue certezze. Marcus, invece, è un gemello di Londra e perde suo fratello di morte violenta. Dall’intreccio delle loro vite si dipana la trama di Hereafter.



Commento

Bravo Clint Eastwood a realizzare nelle scene iniziali uno spettacolare tsunami, vero è che con il computer, oggi, si può fare di tutto ma l’effetto prodotto è coinvolgente. La storia s’intreccia con garbo e riesce a mantenere sempre desta l’attenzione fino all’ultimo fotogramma. La storia viene condotta in modo tale che i tre personaggi, sebbene vivano in tre posti diversi, alla fine si ritroveranno ed ognuno riuscirà ad avere le risposte ai propri interrogativi.

Ciò che c’è dopo la morte è un tema che ha sempre affascinato l’umanità e neanche questa volta fa eccezione, il pubblico rimane affascinato da ciò che viene rappresentato sullo schermo e cerca di capire in anticipo l’esperienza vissuta da loro.



Gli Interpreti

Bravo Matt Demon nell’interpretare il sensitivo condannato alla solitudine e all’infelicità, ma brava anche Mariè, l’attrice Cécile de France, efficace nel ruolo della giornalista tornata dall’ aldilà che ha desiderio di capire di più la vita, essendo tornata a farne parte. E commovente è la storia dei due fratelli gemelli: Marcus e Jason, interpretati dalla coppia Frankie e George Maclaren, i quali sono costretti prima a vivere una storia infelice e poi uno di essi, Marcus, dovrà continuare la sua vita priva del suo amato fratello



Il Regista

Clinton Eastwood, Jr. (San Francisco, 31 maggio 1930) è un attore, regista, produttore cinematografico e autore di colonne sonore statunitense. Pare che Sergio Leone dicesse di lui: “Ha soltanto due espressioni, con il sigaro e senza”. Eppure è stato proprio lui a togliere Clint Eastwood dal giro delle comparsate e dei serial tv e a farne un divo. Eastwood trova soltanto in Italia, proprio grazie agli spaghetti western del regista italiano, la popolarità che in patria non riusciva a conquistare. Nel 1992 con il suo film Gli Spietati vince quattro Oscar e con Million Dollar Baby, nel 2004, riceve nel complesso 7 nomination e 4 premi Oscar). Si dice di lui che sia come i buoni vini che più invecchiano e più migliorano: non fanno eccezione i suoi due film più recenti Changeling e Gran Torino del 2009.

Spunti di approfondimenti

Quanti di noi vorrebbero incontrare George, il sensitivo?

Regia: Clint Eastewood

Attori: Matt Demon , Cécile de France, Bryce Dallas Howard, Franckie Mclaren, George Mclaren.

Giudizio

Ottimo

Maria Serritiello
www.lapilli.eu

mercoledì 2 febbraio 2011



SAN BIAGIO

San Biagio, o San Biagio di Sebaste (?, III secolo – Sebaste, 316), è stato un medico, vescovo e santo armeno.

Vissuto tra il III e il IV secolo a Sebaste in Armenia (Asia Minore) è venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa.

Era medico e venne nominato vescovo della sua città. A causa della sua fede venne imprigionato dai Romani, durante il processo rifiutò di rinnegare la fede cristiana; per punizione fu straziato con i pettini di ferro, che si usano per cardare la lana. Morì decapitato.

San Biagio muore martire tre anni dopo la concessione della libertà di culto nell'Impero Romano (313). Una motivazione plausibile sul suo martirio può essere trovata nel dissidio tra Costantino I e Licinio, i due imperatori-cognati (314), che portò a persecuzioni locali, con distruzione di chiese, condanne ai lavori forzati per i cristiani e condanne a morte per i vescovi.

Vita

Pochissimo di certo sappiamo sulla vita del santo. Le poche storie sulla biografia dell'armeno sono state tramandate prima oralmente e poi raccolte in agiografie, come in quella famosa di Camillo Tutini.

Nel sinnassario armeno, al giorno 10 febbraio, si legge un compendio della vita del santo:

« Nel tempo della persecuzione di Licinio, imperatore perfido, san Biagio fuggì, ed abitò nel monte Ardeni o Argias; e quando vi abitava il santo, tutte le bestie dei boschi venivano a lui ed erano mansuete con lui, egli le accarezzava; egli era di professione medico, ma con l'aiuto del Signore sanava tutte le infermità e degli uomini e delle bestie ma non con medicine, ma con il nome di Cristo. E se qualcuno inghiottiva un osso, o una spina, e questa si metteva di traverso nella gola di lui, il santo con la preghiera l'estraeva, e sin da adesso ciò opera; se alcuno inghiotte un osso, o spina, col solo ricordare il nome di S. Biagio subito guarisce dal dolore. Una povera donna aveva un porco, il quale fu rapito da un lupo; venne la donna dal Vescovo, e con pianto gli fece capire come il lupo aveva rapito il suo porco; allora il Santo minacciò il lupo, e questo rilasciò il porco. Fu ad Agricolao accusato il Vescovo, il quale mandò soldati, che lo condussero avanti ad esso; il giudice gli fece molte interrogazioni, ed egli in tutta libertà confessò, che Cristo era Dio, e maledisse gli idoli, e i loro adolatori, e però subito fu messo in prigione. Sentì la vedova, che il Vescovo era stato messo in prigione, uccise il porco, cucinò la testa e i piedi d'esso, e gli portò al Vescovo con altri cibi e legumi: mangiò il Santo, e benedisse la donna, e l’ammonì, che dopo la sua morte ciò facesse ogni anno nel giorno della sua commemorazione, e chi ciò facesse in memoria di lui sarebbe la sua casa ricolma d'ogni bene. E dopo alcuni giorni levarono il santo dalla carcere, e lo portarono davanti al giudice, e confessò la sua prima confessione, e chiamò gli idoli demoni, e gli adoratori degli idoli chiamò adoratori del demonio. Si sdegnò il giudice: legarono il Santo ad un legno, e cominciarono coi pettini di ferro a stracciargli la carne, e appresso lo deposero e portarono in carcere. Sette donne lo seguirono, le quali col sangue del Santo ungevano il loro cuore e volto: i custodi delle carceri presero le donne, e le portarono al giudice, e le sante donne confessarono, che Cristo era Dio; furono rilasciate; ma le donne non contente di ciò andarono dagli idoli, e sputarono esse in faccia, e racchiusi tutti in un sacco, e quello legato fu da esse gettato in un lago. Ciò fatto tornarono al giudice dicendogli: «Vedi la forza dei tuoi dei, se possono uscire dal profondo lago.» Comandò il giudice, che si preparasse il fuoco, e piombo liquefatto, spade, pettini di ferro, ed altri tormenti; a dall'altra parte fece porre tele di seta, ed altri ornamenti donneschi d’oro, d’argento e disse alle donne: «Scegliete quel che volete.» Le donne pure gettarono le tele nel fuoco, e sputarono sopra gli ornamenti. Si sdegnò il giudice, e comandò che si apprendessero, e con pettini di ferro fece dilacerare il corpo, e poi le gettarono nel fuoco, da cui uscirono illese, e dopo molti tormenti tagliarono ad esse la testa, e così consumarono il martirio. Ma il Santo Biagio lo gettarono nel fiume, ed il Santo si sedette sopra l'acqua quasi sopra un ponte. Entrarono nel fiume 79 soldati per estrarre il santo, e tutti s'affogarono, ed il Santo uscì senza danno: lo presero per tagliargli la testa; e quando arrivarono a quel luogo, orò lunga orazione e domandò a Dio, che se alcuno inghiotte osso, o spina, che gli si attraversi la gola, e senta dolore, e preghi Dio col nominar lui, subito sia libero dal pericolo. Allora calò sopra di lui una nuvola, e si sentì da quella una voce che diceva: «Saranno adempiute le tue domande, o carissimo Biagio: tu vieni, e riposa nella gloria incomprensibile che ti ho preparato per le tue fatiche.» Appresso tagliarono la testa al Vescovo Biagio nella città di Sebaste. Uno chiamato Alessio prese il corpo del Santo Biagio Vescovo, e lo ravvolse in sindone monda, e lo seppellì sotto il muro della città, dove si fanno molti miracoli a gloria del nostro Dio Gesù. »


La più antica citazione scritta sul santo è contenuta nei Medicinales di Ezio di Amida, vissuto nel VI secolo. A riguardo dei mali di gola, nella traduzione latina di Giano Corsaro dell'opera del medico greco, si legge
(LA)
« Aliud. Ad eductionem eorum, quae in tonsillas devorata sunt. Statim te ad aegrum desidentem converte, ipsumque tibi attendere jube, ac dic: egredere os, si tamen os, aut festuca, aut quid quid tandem existit: quemadmodum Iesus Christus ex sepulchre Lazarum eduxit, o quemadmodum Jonam ex ceto. Atque adprehendo aegri gutture dic: Blasius martyr o servus Christi dicit, aut adscende, aut descende. » (IT)
« Se la spina o l'osso non volesse uscire fuori, volgiti all'ammalato e digli «Esci fuori, osso, se pure sei osso, o checché sii: esci come Lazzaro alla voce di Cristo uscì dal sepolcro, e Giona dal ventre della balena.» Ovvero fatto sull'ammalato il segno della croce, puoi proferire le parole che Biagio martire e servo di Cristo usava dire in simili casi «O ascendi o discendi». »
(Ezio di Amida, Opus medicum libris XVI, traduzione di G. Corsaro del 1567.)

(IT)
« Se la spina o l'osso non volesse uscire fuori, volgiti all'ammalato e digli «Esci fuori, osso, se pure sei osso, o checché sii: esci come Lazzaro alla voce di Cristo uscì dal sepolcro, e Giona dal ventre della balena.» Ovvero fatto sull'ammalato il segno della croce, puoi proferire le parole che Biagio martire e servo di Cristo usava dire in simili casi «O ascendi o discendi». »

Il corpo di san Biagio fu sepolto nella cattedrale di Sebaste. Nel 732 una parte dei suoi resti mortali furono imbarcati, per essere portati a Roma. Una tempesta bloccò il viaggio a Maratea, dove i fedeli accolsero le reliquie, il "sacro torace", e le conservarono nella Basilica di Maratea, sul monte San Biagio.

Una grande quantità di località vantano di possedere un pezzo del corpo del santo. Ciò è dovuto, oltre all'antica usanza di sezionare i corpi dei santi e distribuirne le parti per soddisfare le esigenze dei fedeli, alla pratica della simonia, che comportò l'usanza di vendere reliquie false o di santi omonimi meno conosciuti.[1]

A Carosino, un paesino in provincia di Taranto, è custodita una delle reliquie: un pezzo della lingua, conservato in un'ampolla incastonata in una croce d'oro massiccio.

A Caramagna Piemonte (Cuneo) è custodita dall'anno 1000 una sua reliquia (un pezzo del cranio), conservata in un busto argenteo; si ha notizia della sua presenza già nell'atto di fondazione dell'antica Abbazia di santa Maria di Caramagna, datato 1028.

Nel santuario di Cardito, in provincia di Napoli, è conservato un ossicino del braccio. Sempre in Campania, a Palomonte in provincia di Salerno, nella Chiesa madre Santa Croce è custodita una reliquia del santo.

A Penne, in Abruzzo, sarebbe invece custodito il cranio del santo. Sempre in Abruzzo, nel Duomo di San Flaviano a Giulianova è custodito il braccio di San Biagio in un raffinato reliquiario in argento dalla foggia di braccio con mano benedicente e recante una palma, datato 1394 e firmato da Bartolomeo di sir Paolo da Teramo.

Nella parrocchia di Lanzara, frazione del Comune di Castel San Giorgio, in provincia di Salerno, sono conservate due piccole ossa della mano.

Nella cattedrale di Ruvo di Puglia si venera nel giorno di San Biagio una reliquia del braccio del Santo, esposta entro un reliquiario a forma di braccio benedicente, portato in processione dal Vescovo e esposto alla pubblica venerazione dopo la solenne messa pontificale in cattedrale, al vespro del 3 febbraio.

Nella chiesa a lui dedicata nella città dalmata di Dubrovnik (Ragusa, Croazia), della quale è il patrono, si conserva, secondo la tradizione, il cranio, in un ricco reliquiario a forma di corona bizantina, che viene portato solennemente in processione nella ricorrenza del santo.

A Ostuni è presente un pezzo di osso, venerato e posto sulla gola di ogni fedele che si presenta in pellegrinaggio al Santuario di san Biagio sui colli ostunesi il 3 febbraio.

A San Piero Patti (Messina), è custodito un molare del Santo, conservato in una teca d'argento nella Chiesa di Santa Maria Assunta. La teca viene portata in processione in occasione delle due feste che la cittadina dedica al santo: il 3 febbraio e la prima domenica d'ottobre.

A Mercato Vecchio di Montebelluna, nella chiesa a lui dedicata è custodito un pezzo di veste, e ogni anno il 3 febbraio per tutta la giornata avvengono le benedizioni di pane e arance.

Ad Acquaviva Collecroce in provincia di Campobasso, nella Parrocchia "Santa Maria Ester" si conserva una reliquia del santo donata al popolo verso la metà del '700.

A Napoli, nella Sala del Tesoro sita nella Basilica di San Domenico Maggiore, si conserva, in un braccio reliquario, il pezzo di un suo dito.

A Bindo di Cortenova in provincia di Lecco ogni anno avviene la grande festa di S.Biagio, tra le tradizioni il bacio delle candele bendette, il falò e i tipici ravioli molto aromatici chiamati in insubre "scapinasc".

Leggende

Leggende [modifica]
Gli sono stati attribuiti diversi miracoli, tra cui il salvataggio di un bambino che stava soffocando dopo aver ingerito una lisca di pesce.

Nella Basilica di San Biagio a Maratea, alla destra della Regia Cappella dedicata al santo, vi è la palla di ferro sparata dai cannoni francesi durante l'assedio del dicembre 1806; su questa palla di ferro, inesplosa, sono ben visibili delle impronte che, secondo la tradizione, sarebbero le dita della mano destra di san Biagio.

Relativamente alla sola esperienza della cittadina di Fiuggi, si narra che nel 1298 fece apparire delle finte fiamme sul paese, proprio mentre questi era in procinto di essere messo sotto assedio dalle truppe papali. La cittadina, che all'epoca si chiamava Anticoli di Campagna, era feudo dei Colonna che a loro volta erano in guerra con la nobile famiglia romana dei Cajetani. L'intenzione dei Cajetani era quella di attaccare il paese da due lati: dal basso scendendo dal castello di Monte Porciano e dall’alto, alle spalle di Fiuggi dalla parte di Torre Cajetani; in virtù di tale piano divisero le proprie forze. San Biagio avrebbe fatto apparire delle finte fiamme che indussero le truppe nemiche, che oramai si accingevano all'attacco, a pensare di essere state precedute dalle forze alleate. Di conseguenza mossero oltre, ritornando ai loro alloggiamenti. I fedeli il giorno successivo lo elessero patrono della città.
A ricordo di ciò persiste tuttora l'antica tradizione paesana di bruciare grandi cataste di legna di forma piramidale, denominate stuzze, a ricordo dell'"apparizione". Tale manifestazione avviene la sera del 2 febbraio di ogni anno nella piazza più alta del paese (p.za Trento e Trieste), dinnanzi al Municipio.

A Salemi in provincia di Trapani, san Biagio è compatrono assieme a san Nicola della città dal 1542. Si narra che in quell'anno, sotto il regno di Carlo V, la città di Salemi e le campagne circostanti, venissero invase dalle cavallette che ne distrussero i raccolti procurando, così, fame e carestia; allora i salemitani pregarono san Biagio, protettore delle messi e dei cereali, di liberarli da tale flagello ed il santo esaudì queste loro preghiere. Da allora i salemitani, in ricordo di questo evento, nella ricorrenza della festa del santo, ogni anno il 3 febbraio, preparano dei pani in miniatura: i "cavadduzzi", cioè le cavallette e i "cuddureddi", (impastando farina e acqua) questi ultimi rappresentano la gola di cui san Biagio è protettore. La chiesetta dedicata al santo si trova nel quartiere del Rabbato. Il 3 febbraio "cuddureddi" e "cavadduzzi" vengono benedetti e distribuiti ai fedeli che accorrono da ogni parte della città per pregare il santo e per farsi benedire la gola dal sacerdote con le candele accese ed incrociate. Dal 2008 viene fatta una rievocazione storica del miracolo delle cavallette, che vede dame, nobili e cavalieri, clero e popolani in costume medievale, uscire dal castello, percorrere tutto il centro storico ed arrivare alla chiesa del santo per deporre i doni e benedire le gole. Manifestazione a cui partecipano tutte le associazioni cittadine e le scuole.

Tradizioni [modifica]
Nella città di Milano, dove il culto di san Biagio è molto vivo, è tradizione mangiare insieme in famiglia ciò che è rimasto del panettone natalizio. In questo giorno si vendono a poco prezzo i cosiddetti panettoni di san Biagio, gli ultimi rimasti dal periodo festivo.
Nella frazione di Lanzara, dove il 3 febbraio si festeggia il santo con una festa che richiama a se più di 30000 fedeli, è tradizione mangiare la famosa "Polpetta di S.Biagio", e, per tener viva questa tradizione, nel periodo della festa viene fatta la "Sagra della Polpetta", tra le più longeve dell'Agro Nocerino Sarnese.
Festa di S. Biagio a Cannara, Perugia, 4080 abitanti ca.(2008). Il 3 di febbraio si festeggia S. Biagio con lo svolgimento di giochi della tradizione popolare. Il Gioco delle Forme di Formaggio, che i cannaresi in gara fanno ruzzolare per le vie della cittadina; il Gioco delle Brocche, appese ad una corda tra un palazzo e l'altro, i partecipanti cercano di colpirle con un bastone ad occhi categoricamente bendati; il Gioco degli Spaghetti, che premia il vincitore che ha finito per primo il piatto di pasta con le mani legate dietro la schiena. Momento solenne è quello della processione religiosa con la statua lignea del Santo, accompagnata dai fedeli e dalle note della banda comunale, il "Concerto Musicale Francesco Morlacchi", attiva dalla fondazione nel 1843.
A valle del paese di Romallo, in Trentino, si trova un interessante eremo dedicato a S. Biagio. Il 3 di febbraio si celebra la messa e viene impartita la benedizione della gola.
Il 3 febbraio si celebra la festa di San Biagio anche a Taranta Peligna in provincia di Chieti in Abruzzo. In onore del Santo protettore dei lanaioli, con una cerimonia di grande fascino, vengono preparate le "Panicelle", pani a forma di mano che vengono distribuite fra le genti del Paese. Il legame tra Taranta Peligna e il culto di San Biagio è testimoniato anche dalla presenza dei lanifici che hanno dato lustro al pese per la lavorazione delle coperte abruzzesi chiamate "tarante".
A Maratea si tengono due feste in onore del santo: una è quella del 3 febbraio, quando si tiene la benedizione della gola dei fedeli; la seconda, più fastosa, è quella dell'anniversario della traslazione delle reliquie, che si svolge a partire dal primo sabato fino alla seconda domenica di maggio, settimana in cui si svolgono ben quattro processioni del simulacro del santo.
San Biagio si festeggia il 3 febbraio anche ad Acquaviva Collecroce , paese di origine croata, in provincia di Campobasso. Durante la celebrazione liturgica si benedicono le gole dei fedeli. Anticamente con l'olio benedetto, ora mediante due candele incrociate. Per l'occorrenza si preparano le "Pandiçe" (pane di San Biagio) e dei dolci di forma circolare chiamati "Colaci". La Parrocchia conserva una pregevole tela del '500 raffigurante il martirio di San Biagio; una Reliquia donata al popolo verso la metà del '700 e un'artistica statua in cartapesta del 1886 dello scultore sordomuto Gabriele Falcucci di Atessa.
Si festeggia San Biagio anche a Cessalto, in provincia di Treviso. Si racconta che il Santo salvò un bambino da morte sicura per aver ingoiato una lisca di pesce. Invocato il Santo, il bambino sputò la lisca di pesce e si salvò.

Il 3 febbraio a Lettomanoppello (Pe) si celebra la festa liturgica di San Biagio, nell'occasione durante la celebrazione eucaristica il parroco, oltre a benedire la gola dei fedeli con due candele incrociate, benedice, come da secolare tradizione, i "tarallucci di San Biagio" che sono dei dolci a forma di piccola ciambella impastati con semini di anice. I tarallucci poi vengono riportati a casa e donati a parenti ed amici che dopo averli baciati ne mangiano per ingraziarsi la protezione di San Biagio, particolarmente a protezione della gola e dai mali di stagione.
San Biagio patrono [modifica]
I fedeli si rivolgono a san Biagio, nella sua qualità di medico, anche per la cura dei mali fisici e in particolare per la guarigione dalle malattie della gola: è tra i quattordici santi ausiliatori. Durante la sua celebrazione liturgica, in molte chiese i sacerdoti benedicono le gole dei fedeli accostando ad esse due candele; per questo è anche patrono degli specialisti otorinolaringoiatri. È anche protettore dei cardatori di lana, degli animali e delle attività agricole.

San Biagio è il santo patrono delle diocesi di Cassano allo Ionio e di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi.

martedì 1 febbraio 2011



Muḥammad Ḥosnī Sayyid Ibrāhīm Mubārak, comunemente conosciuto come Hosni Mubarak (arabo: محمد حسنى سيد إبراهيم مبارك, Muḥammad Ḥusni Sayyid Ibrāhīm Mubārak; Kafr el-Musilha, 4 maggio 1928), è un politico egiziano, e il quarto Presidente dell'Egitto, carica che ha ricoperto per circa trent'anni, a partire dal 14 ottobre 1981.

Mubārak è stato nominato vice-Presidente della Repubblica d'Egitto dopo una brillante carriera militare svolta nei ranghi dell'arma aeronautica egiziana. Assunse la Presidenza, succedendo al Presidente Anwar al-Sādāt, a seguito dell'assassinio di questi il 6 ottobre 1981.

In quanto Presidente dell'Egitto è considerato uno dei più potenti leader della regione vicino-orientale. Grazie alla Costituzione del 1971, il Presidente Mubārak ha esercitato un forte controllo sul Paese.

Mubārak è nato il 4 maggio 1928 a Kafr el-Musilha, nel governatorato egiziano di al-Manūfiyya. Dopo aver completato le scuole superiori, entrò nell'Accademia Militare Egiziana, dove ricevette il diploma in Scienze Militari nel 1949. Nel 1950 entrò nell'Accademia Aeronautica e alla fine conseguì un Diploma in Scienze Aeronautiche e fu assegnato agli Squadroni Bombardieri. Parte del suo addestramento da pilota che egli completò fu da lui ricevuto nella Scuola sovietica di Addestramento Piloti di Frunze (dal 1991 Bishkek), nella Repubblica Sovietica del Kyrgyzstan. Nella sua progressione militare di comando fu dapprima pilota, quindi istruttore, comandante di Squadrone Aereo e comandante di Base Aeronautica. Nel 1964 fu nominato capo della Delegazione Militare Egiziana in URSS.

Negli anni 1967-1972, durante la Guerra d'Attrito fra Egitto e Israele, voluta da Jamāl ʿAbd al-Nāṣir, Mubārak fu nominato Direttore dell'Accademia Aeronautica e Capo di Stato Maggiore delle Forze Aeree Egiziane. Nel 1972 divenne Comandante delle Forze Aeree Egiziane e vice-Ministro della Guerra. Nell'ottobre 1973, in seguito alla "Guerra d'Ottobre", conosciuta anche come guerra del Kippur o guerra del Ramadan, Mubārak fu promosso al rango di Maresciallo dell'Aria. Nell'aprile 1975 fu nominato Vice-Presidente dell'Egitto e, nel 1978, fu scelto come Vice-Presidente del Partito Nazionale Democratico (NDP).

A seguito dell'assassinio del Presidente Anwar al-Sādāt da parte di fondamentalisti nel 1981, Mubārak diventò Presidente della Repubblica Araba d'Egitto e Presidente del Partito Democratico Nazionale (NDP). Mubārak è sfuggito a non meno di sei tentativi di omicidio.
Hosni Mubārak è sposato con Suzanne Mubārak e ha due figli: ʿAlāʾ e Gamāl Mubārak.