Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso.....

Pablo Neruda





lunedì 31 gennaio 2011


LA RECENSIONE
DI MARIA SERRITIELLO

“Pazzo scatenato” è Peppe Iodice, al “Ridotto” di Salerno

E’ ritornata al “Ridotto” di Salerno, dopo la pausa natalizia, la stagione “Che Comico 2010-2011” con l’esibizione di Peppe Iodice in “Pazzo scatenato”, uno spettacolo scritto dallo stesso artista, con la collaborazione di Nello Iorio e Lello Marangio. La rappresentazione si è tenuta al Teatro Delle Arti, lo spazio polifunzionale della città, per ospitare sul palco, oltre al divertente comico, anche Raoul, la bravissima spalla di Iodice e l’orchestra Intellett Waller Band. Lo spettacolo ha fatto il suo debutto a Salerno e per l’anteprima, ospiti in sala, sono stati presenti, oltre agli autori Nello Iorio e Lello Marangio, anche Pippo Pelo, conosciutissimo presentatore di Radio Kiss Kiss, il Patron del “Premio Charlot”, Claudio Tortora e l’attuale giovane direttore, Gianluca Tortora. Lo spettacolo, che ha incontrato il favore del pubblico, si articola intorno ad una trovata scenica, semplice, efficace e credibile. Peppe Iodice annuncia ai presenti che non sa se lo spettacolo può avere inizio, in quanto sua moglie è stata trasferita d’urgenza in ospedale, per far nascere la loro prima figlia. Subito tra il comico e gli spettatori si crea una corrente di simpatia, la nascita è vista come un evento straordinario della natura, per cui tutto va in secondo ordine, poco manca che qualcuno dei presenti gli intimi di abbandonare il palco per accorrere dove è necessario che sia. In effetti la trovata non si discosta molto dalla realtà, il fatto è veramente successo, solamente in tempi sfalsati e cioè , tre giorni prima del debutto, Iodice è divenuto papà, ma questo lo si apprenderà solo nel finale, tra gli applausi e gli auguri della platea. Ecco, stabilita la corrente di simpatia, l’arguto comico, nella serata al “Delle Arti”, in scena fa quello che vuole, tenendo presente come modello di riferimento Sofia, la sua piccola, a cui dovrà mostrare ed insegnare come vanno le cose del mondo. Non ha scelto, così pare, un buon momento per nascere, la piccola e Peppe - Padre fa entrare nella sua comicità il peggio o almeno quello che è più soggetto nei giorni nostri alla satira. Sfilano, allora, avvenimenti, personaggi della politica, dello spettacolo, quello e quelli che condizionano ogni giorno il nostro modo di vivere. Tutto ciò viene detto senza sermoni, Iodice è il filosofo del pensiero semplice, la litania delle cose che non vanno, con lui, è un approccio popolare , difatti usa uno stile diretto e a volte infarcito di parole non troppo regolamentari, ma onestamente sono proprio quelle a suscitare risate di gusto. Affida, poi, un suo momento liberatorio a satireggiare gli intellettuali che, come si sa, sono il bersaglio sistematico negli spettacoli del comico, si direbbe una vendetta seriale. Sia Iodice, che i suoi amici di scrittura: Nello Iorio e Lello Marangio, hanno un vecchio conto da saldare con la “casta intellettuale”che al momento della formazione giovanile dei tre, si deve supporre, ha evidenziato, senza troppi scrupoli, il loro essere ragazzi di periferia, con il conseguente e derivato disagio. In sala ce ne dovevano essere molti se l’applauso, a sottolineare la performance, è stato più caloroso degli altri interventi comici. Va detto, infine, che lo spettacolo è ben calibrato, due tempi nei quali spiccano gli interventi di Raoul, spalla alla Fantozzi, che canta, balla e si traveste, pur di portare acqua allo show e gli intermezzi musicali della band.



Peppe Iodice



Nel ’95 è uno dei monologhisti protagonisti di “Seven show” (Italia 7). · Nel ’96 è secondo a “Riso in Italy”. · Nel ’97 vince il Premio Charlot · Nello stesso anno prende parte alla fiction tv “IL Commissario Raimondi”(Canale 5), diretto da Paolo Costella, con Marco Columbro. · Nel ’98 debutta come autore teatrale in “Tintura di Iodice” di cui è anche il protagonista. · Nel’ 99 debutta al Premio Massimo Troisi con “Cuori in pigiama” commedia teatrale di cui è autore e protagonista. Vince il Premio De Lise come migliore autore . · Nel 2000 è uno dei protagonisti di “Ribelli per caso” film diretto da Vincenzo Terracciano e pluripremiato in numerosi festival europei. · Nel 2002 debutta al teatro Diana di Napoli, diretto da Maurizio Casagrande in “Quiz Shock” di cui è autore e protagonista. · Nel 2003 è il topo nello spot della Sky tv. Nello stesso anno è uno dei protagonisti del film “23” diretto da Duccio Forzano. In uscita nel febbraio 2004. · Nel 2004 è uno dei partecipanti alla trasmissione Zelig Off in onda su canale 5 con il personaggio di “Birillo”. Nel 2005 è autore e protagonista dello spettacolo teatrale “I fratelli Karamazov…senza permesso di soggiorno”, regia di Claudio Insegno, che ha debuttato al Teatro Diana di Napoli. · Nell’edizioni 2007-8, ospite fisso della trasmissione TV “Number Two”, su Telenapoli e Canale 34. Nel 2007 Zelig. 2008 Debutta in Zelig Off

Maria Serritiello
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domenica 30 gennaio 2011


SE SPARTA PIANGE, ATENE NON RIDE....

Polemiche in Romania per il sexy spot assicurativo
Fa discutere la pubblicità per sensibilizzare gli automobilisti rumeni all'acquisto di una polizza RCA: protagoniste del sinistro, due modelle e una poliziotta in biancheria intima.


CON LE IMMAGINI SI POSSONO TRASMETTERE TANTI CONTENUTI SANI PER FAR PROGREDIRE I GIOVANI NEI BUONI SENTIMENTI. Il MESSAGGIO TURPE LI SPORCA. BELLO IL MESSAGGIO DI SOLIDARIETA',NEL VIDEO POSTATO.

venerdì 28 gennaio 2011

“Opere in Camera”, nel cuore della Salerno moderna



DI MARIA SERRITIELLO


Opere in Camera”, una collezione d’arte nel cuore della Salerno moderna, è stata una pregevole iniziativa della Camera di Commercio della città salernitana. Lo storico palazzo, progettato da Arturo Gasparri a metà degli anni Dieci, luogo della realtà culturale e sociale della città e della provincia, ha aperto il suo spazio al pubblico per rendere partecipe la comunità, della propria collezione d’arte. Il progetto dà il via ad un’area museale, non più concepita come spazio destinato alla curiosità di pochi studiosi ma indirizzata a rendere fruibile un patrimonio artistico e a concepire tale spazio come forza motrice di nuove iniziative, specchio della città che si va prefigurando. “…Da sempre nel cuore della città moderna, della Salerno, che negli anni Venti si avviava ad una nuova realtà urbanistica, pulsa il battito di un patrimonio di figure, di segni, di colori che parlano della nostra identità….”dice Augusto Strianese, presidente della Camera di Commercio di Salerno. Così il Palazzo in alcuni ed intensi periodi dell’anno ( Natale, Pasqua, Maggio-Monumenti) apre, e così in seguito, le porte della storica sede di Via Roma, per mostrare al pubblico la sua collezione di dipinti e di sculture, contribuendo, così, al processo di sinergia culturale, che da qualche decennio ridisegna la realtà salernitana. La collezione esposta tratteggia con i dipinti di: Gaetano Esposito, Raffaele Tafuri, Ulisse Caputo, Giuseppe Avallone, Pietro Scoppetta, Pasquale Avallone, Salvatore D’Acunto, Antonio Ferrigno, Angelo Della Mura, Alfonso Grassi e delle pittrici Olga Napoli, Isabella Greco, Elvira Martinez y Cabrera, Olga Schiavo per citarne alcuni, una Salerno fin de siècle. Tra le 149 tele a disposizione della raccolta, delle quali molte in restauro, troneggiano quelle dell’insigne poeta salernitano Alfonso Gatto e quelle del Maestro Mario Carotenuto, anch’egli gloria e vanto vivente di Salerno. L’elemento più significativo della Camera è il salone di rappresentanza abbellita dalle sei tele di Pasquale Avallone, che ne impreziosiscono lo spazio. Insomma, qui riunito c’è il meglio della produzione degli artisti cittadini, che la Camera di Commercio, nel tempo, intelligentemente, ne ha fatto raccolta.

L’evento è stato curato dal Prof .re Massimo Bignardi, il coordinamento generale, invece, è stato del Dott. re Raffaele De Sio e le consulenze sono state a cura di Giada Caliendo e Annunziata Cirillo. Art Directo: Enzo Bianco.

Maria Serritiello
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giovedì 27 gennaio 2011


MARIA MERCADER

FONTE:EXCITE

Si è spenta Maria Mercader, moglie di Vittorio De Sica

Aveva 93 anni Maria Mercader, attrice spagnola e seconda moglie di Vittorio De Sica, spentasi ieri a Roma. Madre dell'attore Christian De Sica, la vita della Mercader nel mondo dello spettacolo ebbe inizio nel suo paese natale.

Sorella di Ramòn Mercader, l'assassino di Trotsky, Maria mosse i primi passi nel cinema con il film 'Molinos de viento' nel 1939, diretta dal regista Rosario Pi. Pochi anni dopo, nel '42, si trasferì in Italia e sul set di 'Un garibaldino in convento' conobbe il cineasta Vittorio De Sica. Tra i due fu amore a prima vista.

Ma ci vollero ben 17 anni prima che il regista neorealista - che condusse una doppia vita per lungo tempo - riuscisse ad ottenere il divorzio dalla prima moglie Giuditta Rissone. La coppia si sposò nel '59 in Messico e una seconda volta a Parigi nel '68. Oltre al re del cinepanettone Christian, la Mercader e De Sica ebbero anche un secondo figlio, Manuel, ad oggi compositore. Anni dopo Maria scrisse una biografia dal titolo 'La mia vita con Vittorio De Sica'.

La carriera dell'attrice proseguì negli anni '40 con 'Musica Proibita' e 'Il treno crociato' di Carlo Campogalliani. Poi collaborò con Blasetti tingendosi i capelli scuri in 'Nessuno torna indietro' (1943) di Alessandro Blasetti, poi nel '48 interpreta la maestrina dalla penna rossa in 'Cuore' di Duilio Coletti, tratta dal romanzo di Edmondo De Amicis. Negli ultimi anni ricordiamo la Mercades in camei nei film 'La casa del sorriso' di Marco Ferreri e 'Al lupo al lupo' di Carlo Verdone.










L'interno di un dormitorio del campo di concentramento di Buchenwald. Vi si ammassavano centinaia di deportati denutriti

FONTE:ANSA.IT

Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche dell'Armata Rossa, arrivando nella città polacca di Auschwitz, aprirono i cancelli del campo di sterminio svelando al mondo gli orrori che vi erano stati consumati.

Nel 2000 il Parlamento italiano istituì il 27 gennaio il Giorno della Memoria, in "ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti".

Il 27 gennaio il ricordo della Shoah, lo sterminio del popolo ebreo, è celebrato anche dall'ONU, in seguito alla risoluzione del 1 novembre 2005.

Oggi l'appuntamento e' per le 11 al Quirinale: alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si celebra il Giorno della Memoria, istituito con la legge 211 del 20 luglio 2000 ''in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti''.



Train de vie - Un treno per vivere è un film del 1998 diretto dal rumeno Radu Mihăileanu che tratta in maniera ironica il tema della Shoah.




« Se Hitler fosse vivo e vedesse tutti i programmi tv cupi e noiosi sulla Shoah e sentisse tutti i pianti e i lamenti degli ebrei sarebbe felice. L’unica cosa con la quale possiamo umiliare i gerarchi nazisti, che sono ancora vivi in Sudamerica, e farli imbestialire, è mostrar loro che siamo vivi, che non ci hanno distrutti, che il nostro umorismo non è stato cancellato dalle loro barbarie. »
(Radu Mihăileanu)

mercoledì 26 gennaio 2011


MARIO SCACCIA


« Nel palco della vita, siamo tutti figuranti. »
(Mario Scaccia)

Mario Scaccia (Roma, 26 dicembre 1919 – Roma, 26 gennaio 2011) è stato un attore italiano.

Figlio di un pittore, nel 1945, appena reduce dalla Seconda guerra mondiale, si iscrisse all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica, in cui si diplomò nel 1948. Nel 1946 aveva già iniziato a calcare il palcoscenico con Woyzeck di Georg Büchner, prima di avviare una lunga carriera che l'avrebbe visto cimentarsi nelle esperienze di spettacolo più disparate.

Artista fantasioso e versatile, nel 1961 costituì con Enriquez, la Moriconi e Mauri la Compagnia dei Quattro. Al lavoro in teatro (dove si ricordano almeno l'interpretazione di Fra Timoteo nella Mandragola di Machiavelli, il Chicchignola di Petrolini e il Negromante dell'Ariosto) ha affiancato una discreta attività cinematografica (in cui ha debuttato nel 1954 in Tempi nostri di Blasetti e interpretato in seguito film di Lattuada, Petri, Bolognini) e televisiva (in cui ha portato il suo sicuro senso scenico e la finezza e modernità delle sue doti di interprete ottenendo notevole consenso soprattutto negli spettacoli di prosa).

Tra i ruoli da lui affrontati nei grandi sceneggiati sono da ricordare Plonplon in Ottocento (1959), Capitan Sandracca ne La Pisana (1960), Manilov ne Le anime morte (1963), Bompard in Tartarino sulle Alpi (1968) e la figura del dottore ne Le avventure di Pinocchio diretto da Comencini (1971).

È apparso anche in un episodio del 1966 de Le avventure di Laura Storm, con Lauretta Masiero (Rapina in francobolli).

È stato molto presente anche in radio, dove ha partecipato a spettacoli leggeri (come, nel 1957, Le occasioni dell'umorismo), a numerosi radiodrammi (Il matrimonio del signor Mississipi di Friedrich Dürrenmatt, 1961; La faccia del mostro di Anton Čechov, 1962; L'impareggiabile malfidato di Max Aub, 1962; Delirio a due di Eugène Ionesco, 1963) e romanzi sceneggiati (Dio ne scampi dagli Orsenigo di Vittorio Imbriani, 1977). Degna di nota, infine, l'interpretazione di Turcaret di Alain-René Lesage, messa in onda nel 1966 per la regia di Sequi.

A metà degli anni settanta fu protagonista di svariate Interviste impossibili, come Fedro di Giorgio Manganelli ('74), Rudolf Raspe incontrato da Saito ('75), i Lumière, Pellegrino Artusi e George Stephenson firmate da Guido Ceronetti ('74).

Fu in più occasioni anche conduttore di programmi radiofonici d'intrattenimento: nel '79, con Franco Rispoli e Ludovica Modugno, fu ai microfoni di Vieni avanti, cretino!, mentre nel 1989-90 condusse la rubrica Vi racconto una commedia all'interno del programma Le ore della sera. Tra le sue più recenti interpretazioni radiofoniche, Il pazzo dei balconi di Mario Vargas Llosa, per la rassegna Il teatro di Radiodue (1996).

E' morto il 26 gennaio 2011, all'età di 91 anni, in seguito alle complicanze per un intervento chirurgico.

La prosa teatrale

La vedova scaltra , di Carlo Goldoni, con Vittorio Gassman, Mario Feliciani, Giorgio Piazza, Zora Piazza, Mario Scaccia, Raoul Grassilli, Elena Zareschi, Mario Ferrari, Ferruccio Stagni, Diana Torrieri, regia di Luigi Squarzina, prima al Teatro Valle di Roma, 27 maggio 1951.
Croque Monsieur , di Marcel Mithois, con Laura Adani, Mario Scaccia, Guido Marchi, Paola Quattrini, Antonio Fattorini, Marisa Pizzardi, Dina Sassoli, Gianni Bonagura, Gigi Reder, Ireneo Petruzzi, regia di Daniele D'Anza, stagione teatrale 1965 1966.

Prosa televisiva RAI

Il coraggio , di Augusto Novelli, con Mario Scaccia, Luciano Alberici, Mauro Barbagli, Flora Lillo, Bianca Maria Fabbri, Tino Bianchi, Anna Carena, Armando Bandini, Adele Ferrari, Ermanno Roveri, Maria Donati, Evaldo Romano, regia di Daniele D'Anza, trasmessa martedì 23 aprile 1957, ore 21.
La cucina degli angeli, commedia con Mirko Ellis, Pina Cei, Mario Scaccia, Carlo Ninchi, Franco Coop, regia di Alessandro Brissoni, trasmessa il 25 maggio 1957.
Gastone, di Ettore Petrolini, con Miranda Martino, Vinicio Sofia, Mario Scaccia, Luisa De Santis, Adriana Innocenti, Piero Nuti, Franca Tamantini, Toni Ucci, regia di Maurizio Scaparro, trasmessa il 9 settembre 1977.

Filmografia

La fiammata, regia di Alessandro Blasetti (1952)
Tempi nostri, regia di Alessandro Blasetti (1954)
Peccato che sia una canaglia, regia di Alessandro Blasetti (1954)
La fortuna di essere donna, regia di Alessandro Blasetti (1956)
I moschettieri del mare, regia di Steno (1960)
Femmine di lusso, regia di Giorgio Bianchi (1960)
La vendetta dei barbari, regia di Giuseppe Vari (1960)
Il vigile, regia di Luigi Zampa (1960) (non accreditato)
Il mattatore, regia di Dino Risi (1960)
Robin Hood e i pirati, regia di Giorgio Simonelli (1960)
Giorno per giorno disperatamente, regia di Alfredo Giannetti (1961)
A porte chiuse, regia di Dino Risi (1961)
Ursus, regia di Carlo Campogalliani (1961)
Le sette spade del vendicatore, regia di Riccardo Freda (1962)
Frenesia dell'estate, regia di Luigi Zampa (1963)
Avventura al motel, regia di Renato Polselli (1963)
Gli imbroglioni, regia di Lucio Fulci (1963)
Oltraggio al pudore, regia di Silvio Amadio (1964)
Amore facile, regia di Gianni Puccini (1964)
Una vergine per il principe, regia di Pasquale Festa Campanile (1966)
Io, io, io... e gli altri, regia di Alessandro Blasetti (1966)
A ciascuno il suo, regia di Elio Petri (1967)
Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano, regia di Luigi Comencini (1969)
Per grazia ricevuta, regia di Nino Manfredi (1971)
Il generale dorme in piedi, regia di Francesco Massaro (1972)
La mandragola di Edoardo Sala, Persiani Editore, 2009
Meo Patacca, regia di Marcello Ciorciolini (1972)
La calandria, regia di Pasquale Festa Campanile (1972)
La proprietà non è più un furto, regia di Elio Petri (1973)
L'anticristo, regia di Alberto De Martino (1974)
Il profumo della signora in nero, regia di Francesco Barilli (1974)
Le farò da padre, regia di Alberto Lattuada (1974)
Conviene far bene l'amore, regia di Pasquale Festa Campanile (1975)
Profondo rosso, regia di Dario Argento (1975) (non accreditato)
Un amore targato Forlì, regia di Riccardo Sesani (1976)
Attenti al buffone, regia di Alberto Bevilacqua (1976)
Lezioni di violoncello con toccata e fuga, regia di Davide Montemurri (1976)
Il soldato di ventura, regia di Pasquale Festa Campanile (1976)
Signore e signori, buonanotte, regia di Luigi Comencini, Nanni Loy, Luigi Magni, Mario Monicelli ed Ettore Scola (1976)
Gran bollito, regia di Mauro Bolognini (1977)
Doppio delitto, regia di Steno (1977)
Eutanasia di un amore, regia di Enrico Maria Salerno (1978)
Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio, regia di Sergio Martino (1983)
Il mistero del morca, regia di Marco Mattolini (1984)
Juke box, regia di Carlo Carlei, Enzo Civitareale, Sandro De Santis, Antonio Luigi Grimaldi, Valerio Jalongo, Daniele Luchetti e Michele Scura (1985)
Secondo Ponzio Pilato, regia di Luigi Magni (1987)
In camera mia, regia di Luciano Martino (1992)
Ferdinando e Carolina, regia di Lina Wertmüller (1999)
Voglio stare sotto al letto, regia di Bruno Colella (1999)
Gabriel, regia di Maurizio Angeloni (2001)

lunedì 24 gennaio 2011


I FRATELLI EMILIO ED ATTILIO BANDIERA


Attilio Bandiera (Venezia, 24 maggio 1810 – Vallone di Rovito, 25 luglio 1844) ed Emilio Bandiera (Venezia, 20 giugno 1819 – Vallone di Rovito, 25 luglio 1844) sono stati due patrioti italiani.

Nobili, figli del barone Francesco Bandiera, ammiraglio, e di Anna Marsich; a loro volta ufficiali della Marina da guerra austriaca, aderirono alle idee di Giuseppe Mazzini e fondarono una loro società segreta, l'Esperia (nome col quale i greci indicavano l'Italia antica) e con essa tentarono di effettuare una sollevazione popolare nel Sud Italia.

Nel marzo 1844 a Cosenza, in Calabria scoppiò un moto durante il quale il capitano Galluppi, figlio del grande filosofo Pasquale Galluppi, trovò la morte. In breve tempo ritornò la calma e con la calma il processo, dove furono condannate a morte 21 persone, delle quali solo sei furono giustiziate. Il 13 giugno 1844, i fratelli Emilio e Attilio Bandiera, disertori della marina austriaca, partirono da Corfù (dove avevano una base allestita con l'ausilio del barese Vito Infante) alla volta della Calabria seguiti da 17 compagni, dal brigante calabrese Giuseppe Meluso e dal corso Pietro Boccheciampe. Il 16 giugno 1844 sbarcarono alla foce del fiume Neto, vicino Crotone e appresero che la rivolta scoppiata a Cosenza si era conclusa e che al momento non era in corso alcuna ribellione all'autorità del re[1]. Pur non essendoci alcuna rivolta i fratelli Bandiera vollero lo stesso continuare l'impresa e partirono per la Sila. Il Boccheciampe, appresa la notizia che non c'era alcuna sommossa a cui partecipare, sparì e andò al posto di polizia di Crotone per denunciare i compagni. L'allarme dato, raggiunse anche la cittadina di San Giovanni in Fiore, e più precisamente

« ...giorno 19 giugno del 1844. In punto che corrono le ore 18 (ore 14 correnti), è quì che giunse la triste notizia che il bandito Giuseppe Meluso di San Giovanni in Fiore, da molti anni rifugiò in Corfù, sia disbarcato nelle marine del Marchesato, con un mediocre numero di persone abbigliate alla militare , ed introdottisi in tenimento di Cerenzia e Caccuri, limitrofo a questo capuologo, col disegno di perturbare la pubblica quiete »
(ASCS Imputati politici - Inserito nel libro La spedizione in Calabria dei Fratelli Bandiera,di Salvatore Meluso, Rubbettino editore, 2001)


Il "Cippo della Stragola". Monumento commemorativo in ricordo della cattura dei Fratelli Bandiera avvenuta in questo luogo
Subito iniziarono le ricerche dei rivoltosi ad opera delle guardie civiche borboniche. Proprio quando il gruppetto si trovava alle porte di San Giovanni in Fiore, vennero avvistati dalle guardi civiche partite dal paese, e in seguito ad alcuni scontri a fuoco, avvenuti presso la località della Stragola (dove oggi si trova un ceppo in marmo commemorativo dell'eroiche gesta) nel comune di San Giovanni in Fiore, vennero tutti catturati (meno il brigante Giuseppe Meluso che, buon conoscitore dei luoghi, essendo egli stesso originario di San Giovanni in Fiore, riuscì a sfuggire alla cattura). Vennero prima portati presso le prigioni della cittadina silana, tranne i feriti che vennero trasportati immediatamente a Cosenza. I catturati furono portati dinanzi la corte marziale, che li condannò a morte. Il re Ferdinando II questa volta fu severo e ne graziò pochi; i fratelli Bandiera con altri sette compagni, Giovanni Venerucci, Anacarsi Nardi, Nicola Ricciotti, Giacomo Rocca, Domenico Moro, Francesco Berti e Domenico Lupatelli, vennero fucilati nel Vallone di Rovito il 25 luglio 1844[2]. Le salme dei nove fucilati, prima furono seppellite nella chiesa di Sant'Agostino e poi nel Duomo di Cosenza. Quelle dei fratelli Bandiera e di Domenico Moro rientrarono a Venezia il 18 giugno 1867, circa un anno dopo la liberazione della città al termine della Terza guerra di indipendenza. Le tre salme sono sepolte nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo


domenica 23 gennaio 2011

ASPETTANDO IL GIORNO DELL'OLOCAUSTO



« Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra. »
(Dal discorso radiofonico del papa del 24 agosto del 1939)

Papa Pio XII, nato Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli e detto il "Pastore Angelico" (Roma, 2 marzo 1876 – Castel Gandolfo, 9 ottobre 1958), è stato il 260º papa della Chiesa cattolica. Nel 2009, a conclusione della seconda fase di beatificazione, ha ricevuto il titolo di venerabile, che ne attesta l'eroicità delle virtù per la Chiesa.

Critiche e aspetti controversi

Il pontificato di Pio XII coincise con alcuni degli eventi storici più gravi e significativi del XX secolo. Salito al soglio pontificio nel 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale, egli - in ragione della peculiarità del suo ufficio - si trovò in una posizione particolare nel quadro della grande tragedia costituita dall'Olocausto perpetrato dalla Germania nazista. A guerra finita fu uno dei protagonisti - sia a livello mondiale, sia relativamente alla politica italiana - della forte contrapposizione ideologica (simboleggiata dalla cosiddetta Cortina di Ferro) sviluppatasi nell'ambito della Guerra Fredda. Sopravvisse per cinque anni a Stalin (†1953), del quale fu, in virtù del suo anticomunismo, uno dei più fieri avversari tra i leader occidentali.

Le difficoltà e l'importanza cruciale delle scelte connaturate all'attraversamento, durante il suo pontificato, d'un periodo storico caratterizzato da scontri ideologici e militari tra i più duri che la storia ricordi, non potevano che porre Pio XII al centro d'una controversia storiografica - ben lungi dall'esser conclusa - e d'aspre critiche e polemiche relative al suo operato (vedi bibliografia), sorte già alla fine del secondo conflitto mondiale.

In particolare, a seguito dell'uscita di parte dei documenti ufficiali della Santa Sede nel periodo bellico e della loro controversa interpretazione, sono stati mossi rilievi a Pacelli circa la sua presunta connivenza con i regimi nazi-fascisti - e, ultimamente, di organica collaborazione alla fuga di gerarchi nazisti al termine della seconda guerra mondiale - specialmente per quanto riguarda il suo presunto «colpevole silenzio» di fronte all'Olocausto, anche se l'opinione di alcune personalità ebraiche, talora di rilievo, parrebbe smentire i documenti ufficiali e accreditare a Pio XII e alla Chiesa cattolica lo svolgimento, durante la guerra, di attività caritatevoli e umanitarie a salvaguardia e protezione di coloro che erano minacciati dalla prospettiva dei campi di sterminio (in stragrande maggioranza ebrei). Anche la conversione al Cattolicesimo del rabbino capo di Roma durante il periodo della II Guerra Mondiale Eugenio Pio Israel Zolli è legata a Eugenio Pacelli; significativamente Zolli si fece battezzare nel 1945 con il nome di Eugenio Pio[26][27].

In tal senso andrebbe poi l'emanazione da parte di Pio XII all'indomani del rastrellamento del Ghetto di Roma, il 25 ottobre del 1943, di una direttiva riservata a tutti gli ecclesiastici italiani in cui si indicava come necessario «ospitare gli ebrei perseguitati dai nazisti in tutti gli istituti religiosi, ad aprire gli istituti o anche le catacombe».[28]

Pier Paolo Pasolini gli dedicò in morte un epigramma : A un Papa[29] (1959), pubblicato in La religione del mio tempo (1961), che si conclude con queste parole:

«Lo sapevi, peccare non significa fare il male:
non fare il bene, questo significa peccare.
Quanto bene tu potevi fare! E non l'hai fatto:
non c'è stato un peccatore più grande di te.»





sabato 22 gennaio 2011


LA RECENSIONE
DI MARIA SERRITIELLO

Al Teatro “Giullare” di Salerno è di scena Filumena Marturano



Per tutto il mese di gennaio, al teatro del “Giullare” di Salerno, va in scena “Filumena Marturano”, una delle commedie capolavoro, in tre atti, del grande Eduardo.

Andrea Carraro ne è il regista che nella messa in scena ha seguito pedissequamente le indicazioni del grande Maestro, annotate nella stesura del testo. Infatti Carraro dice “ la lettura del copione, mi ha riservato moltissime sorprese, soprattutto nell’esame delle didascalie, i commenti in parentesi sono preziose indicazioni per il percorso della preparazione dello spettacolo”. Il testo teatrale, noto a tutti, s’incentra sulla figura di “Filumena”, una donna di vita, che innamoratasi di Domenico Soriano, vive per venticinque anni nella sua ombra, ne cura gli interessi e gli mantiene la casa in ordine, come avrebbe fatto una moglie amorevole e fedele. In tanti anni non ha mai preteso nulla per sé ma lo pretenderà per i suoi tre figli, avuti da uomini diversi, di cui uno, senza rivelare chi, è figlio di Domenico Soriano.

Nel lavoro teatrale del “Giullare”, la donna che ha reso celebre la frase “Dummì, e figlie so piezz e’ core ”, è l’attrice salernitana Cinzia Ugatti. La sua è una “Filumena” non vociata, non estremamente popolare, come siamo stati abituati dalle varie interpretazioni, dalla prima di Titina De Filippo a quella di Regina Bianchi, passando per le “Filumene”, tutte salernitane di Regina Senatore, versione, apprezzata anche dal grande Eduardo, a quella di Anna Nisivoccia, sua figlia. L’interpretazione di Cinzia Ugatti è tutta rinchiusa nell’espressività del volto, mobilissimo, nella mutevolezza contenuta del corpo e nella recitazione sommessa. Alza la voce una sola volta, per redarguire, ragionevolmente, uno dei tre figli. Una Filumena-Cinzia, tutta incassata, intima, corporea, ripiegata sul suo personaggio ma con la forza che il ruolo le impone, in sintesi la Filumena che Eduardo avrebbe voluto, stando ai suoi appunti.

Vanni Avallone è Domenico Soriano, la sua interpretazione è stata accorta, precisa, attenta e misurata, si direbbe di scuola, perché consapevole di doversi confrontare con un personaggio, portato sulle scene, da un monumento del teatro italiano. Bravissimi tutti gli attori che hanno caratterizzato i personaggi minori ma di rilevante cornice: Antonietta Pappalardo, Carlo Orilia, Antonia Avallone, Cterina Micoloni, Rino Carola, Marco Oliviero, Rocco Giannattasio, Stefania Pisano, Alfredo Micoloni, Aldo Micoloni. Davide Curzio, che tra l’altro, presta la sua splendida voce, ad apertura di sipario, per introdurre la commedia, è l’avvocato Nocella, la sua è una piacevole interpretazione in lingua, inframmezzata da sorprendenti frasi dialettali, che hanno contribuito a creare una corrente di simpatia tra il pubblico ed il personaggio.

Suggestiva è la musica di sottofondo, un pezzo di Tony Esposito, scelta, opportunamente dallo stesso regista Andrea Carraro, per sottolineare in modo mirabile i passaggi più emozionanti della commedia. Trucco e costumi sono di Stefania Pisano, le luci, invece , di Virna Prescenzo l’assistenza alla produzione è di Vittoria Di Fluri.

“Filumena Marturano” è il primo lavoro della nuova stagione teatrale del “Giullare”che andrà avanti fino alla metà di giugno.

Il prossimo lavoro del mese di febbraio sarà “Appuntamento a Londra”di Vargas LIosa

Maria Serritiello
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A PROPOSITO DELL'UNITA' D'ITALIA

Ciro Menotti (Carpi, 22 gennaio 1798 – Modena, 26 maggio 1831) è stato un patriota italiano.

Affiliato alla Carboneria fin dal 1817, maturò fin da giovane un forte sentimento democratico e patriottico che lo portò a rifiutare la dominazione austriaca in Italia. Affascinato dal nuovo corso del re Luigi Filippo d'Orléans, dal 1820 tenne frequenti contatti con i circoli liberali francesi: l'obiettivo era quello di liberare il ducato di Modena dal giogo dell'Austria.

La Modena di Francesco IV

Modena era allora governata dal duca Francesco IV d'Asburgo-Este, arciduca d'Austria. Egli reputava il ducato di Modena troppo piccolo per le sue ambizioni: aveva continui rapporti diplomatici con i diversi stati europei e manteneva una corte sfarzosa come fosse un grande sovrano. Ciò spiega il suo interessamento per i movimenti rivoluzionari che agitavano l'Italia, da un lato temendoli e agendo duramente contro di loro, dall'altro lusingandoli nella speranza di potere sfruttare e volgere la loro azione a vantaggio dei propri interessi personali.
In quegli anni egli era particolarmente interessato alla questione della successione sabauda: era infatti marito di Maria Beatrice di Savoia, figlia primogenita di Vittorio Emanuele I Re di Sardegna. A Vittorio Emanuele I successe, tuttavia, il fratello Carlo Felice e venne nominato erede Carlo Alberto di Savoia del ramo cadetto dei Savoia-Carignano.

I contatti con Francesco IV

Avvicinato da Menotti, inizialmente Francesco IV non reagì al progetto rivoluzionario: forse c'erano accordi precisi fra i due tramite anche un altro liberale, l'avvocato Enrico Misley, frequentatore abituale della corte ducale.
Non si capisce altrimenti perché Francesco IV, che conosceva a fondo Menotti, non lo avesse fatto subito arrestare come aveva fatto nel 1820 con quarantasette carbonari, o presunti tali, processati e condannati, come il sacerdote Giuseppe Andreoli, condannato a morte.

La sollevazione del 1831

Per approfondire, vedi la voce moti del 1830-1831.

Nel gennaio del 1831 Menotti organizzò nei minimi dettagli la sollevazione, cercando il sostegno popolare e l'approvazione dei neonati circoli liberali che stavano proliferando in tutta la Penisola. Il 3 febbraio 1831, dopo aver raccolto le armi, Menotti radunò una quarantina di congiurati nella propria abitazione, poco distante dal Palazzo Ducale, per organizzare la rivolta.
Francesco IV, tuttavia, con un brusco voltafaccia certamente impostogli dal governo austriaco, decise di ritirare il suo appoggio alla causa menottiana ed anzi chiese l'intervento restauratore della Santa Alleanza. Gli storici si sono sempre chiesti il motivo di questo doppio gioco del duca: certi pensano che il rampollo della famiglia Asburgo-Este capì che il progetto di un Regno dell'Alta Italia fosse solo un'utopia; alcuni invece sostengono che Francesco era geloso del carisma di Menotti, altri ancora credono che il duca ebbe paura di perdere, dopo la rivoluzione, molti dei suoi privilegi. Il duca fece circondare dalle sue guardie la casa; seguirono alcuni spari e i congiurati cercarono di fuggire, alcuni ci riuscirono, altri no e fra questi Ciro Menotti, che, saltato da una finestra nel giardino retrostante la casa, rimase ferito e fu catturato e imprigionato. Intanto però i disordini erano cominciati soprattutto nella vicina Bologna. Il duca scrisse subito un ordine al Governatore di Reggio: «Questa notte è scoppiata contro di me una terribile congiura. Mandatemi il boia», poi pensò bene di riparare a Mantova, allora facente parte dei domini austriaci in Italia, portando però con sé Menotti. Alcuni dicono anche che Francesco IV abbia dato a Menotti più volte l'assicurazione che gli avrebbe salvata la vita, ma questo non è provato.[senza fonte] Fallita la rivolta, il duca, rassicurato, il 9 marzo rientrò a Modena, sempre portandosi dietro il Menotti prigioniero.
Due mesi dopo fece celebrare il processo che si concluse con la condanna a morte mediante impiccagione. Altri cospiratori (Luigi Adami, Giuseppe Brevini e Antonio Giacomozzi) furono dapprima condannati a morte, pena successivamente commutata in dodici anni di carcere da Francesco IV.
Il 28 febbraio 1831 un tentativo di far evadere Menotti fallì. Nonostante le numerose suppliche che gli pervennero da più parti perché concedesse una commutazione della pena, il duca fu irremovibile e la sentenza venne eseguita nella Cittadella, assieme a quella di Vincenzo Borelli anche lui facente parte del gruppo di arrestati la notte del 3 febbraio e condannato a morte. Menotti passò la notte prima dell'esecuzione con un sacerdote al quale consegnò una nobilissima lettera per la moglie, lettera che le guardie confiscarono e che fu consegnata alla vedova dai liberatori, solo nel 1848, due anni dopo la morte del Duca e alla cacciata degli Asburgo-Este.
La sentenza di morte venne pubblicata solo dopo l'esecuzione, allo scopo di evitare possibili disordini e rivolte.

Ciro Menotti, figura di rivoluzionario impavido e di eroe romantico, sarebbe diventato nella coscienza degli italiani dell'Ottocento un grande patriota: fu infatti considerato un precursore non solo dei moti del 1831 ma anche dell'intero Risorgimento. In questo senso fin dalle prime classi delle scuole si parlava del suo sacrificio e si leggeva la sua lettera alla moglie piena di buoni sentimenti e amor patrio. Il Risorgimento italiano continua ad essere insegnato nelle scuole della Repubblica ma certo quei valori di patriottismo e di sacrificio per un ideale non vengono più sentiti con la stessa intensità. Per anni il Comune di Modena non ha curato la buona conservazione del posto dove fu innalzata la forca a cui Menotti fu impiccato. Recintato da una semplice cancellata, il luogo è nella Cittadella,(oggi zona residenziale di Modena, al tempo fortezza militare all'interno delle mura della città) di cui rimangono soltanto alcuni resti a seguito del bombardamento dell'ultima guerra col quale la vecchia fortezza fu distrutta. La lapide posta sulla sua casa, oggi al N.civico 90 di Corso Canal Grande, in ricordo di lui e di tutti i Suoi compagni patrioti catturati,è stata restaurata di recente (2007) come anche il palazzo stesso. Recentemente il Comune di Modena ha ristrutturato anche il ceppo dove Menotti e Borelli vennero giustiziati tramite impiccagione. Infatti il 20 ottobre 2007, alla presenza del Sindaco di Modena e di due pronipoti di Ciro Menotti, si è inaugurato il nuovo monumento. L'opera, in pietra nuda, riprende alcuni scalini del patibolo, e tutto intorno faretti con luci bianco-rosso e verde, illuminano la scena. La sua persona nel passato è stata immortalata da numerosi libri, canzoni e opere teatrali ispirati alle sue gesta. Una esauriente biografia di Menotti è contenuta nel volume Ciro Menotti e i suoi compagni edito nel 1880 dalla Tipografia Azzoguidi di Bologna. Nello stesso volume, scritto dall'ex ufficiale garibaldino Taddeo Grandi, sono narrate nei particolari le vicende che portarono alla realizzazione del monumento al Menotti in Modena. Tale monumento venne commissionato da un comitato di cittadini allo scopo di ricordare gli avvenimenti della notte del 3 febbraio 1831. Fu realizzato dallo scultore modenese Cesare Sighinolfi ed eretto nel 1879 proprio di fronte all'ingresso del palazzo, con lo sguardo rivolto verso la stanza dove venne firmata la sua condanna a morte, che era, al tempo dei duchi, il centro del potere. Recentemente si è tenuto a Modena un convegno di storici sulla congiura del 1831 nell'intento di chiarire soprattutto il comportamento di Francesco IV e il Comune ha dedicato a Ciro Menotti una piccola mostra di documenti fra i quali la famosa lettera alla moglie. I resti di Ciro Menotti riposano nella cappella mortuaria della famiglia all'interno della chiesa parrocchiale di Spezzano di Modena.

ANDIAMO DIETRO LE QUINTE DELLA STORIA. CONOSCERE E' MEGLIO CHE IGNORARE....PIERO ANGELA CI AIUTA CON IL FILMATO CHE NON E' A TEMA MA POCO IMPORTA, INTANTO IMPARIAMO.....

venerdì 21 gennaio 2011

AHAHAHHHAHAHA NESSUNO SI SALVA.....
UNA RISATA LI SEPPELLIRA'


DIVERTIAMOCI MA PENSIAMOCI SU













JEAN DE SANTEUL

"CASTIGAT RIDENDI MORES"


Jean de Santeul - o anche Jean de Santeuil o Jean-Baptiste Santeul o Jean-Baptiste Santeuil, detto Santolius (Parigi, 5 dicembre 1630 – Digione, 5 agosto 1697) è stato un poeta francese.

Figlio di un commerciante parigino del ferro, studiò a Parigi al collegio di Santa Barbara ed all'istituto universitario "Luigi il Grande", entrando poi nell'abbazia di San Vittore come sotto-diacono. Fu un eminente rappresentante del latino vivo, in un'epoca in cui questa lingua disputava ancora la sua preminenza sul francese e sulle altre lingue volgari. Al tempo, ottenne un grande successo letterario con la sua opera Recueil de nouvelles odes sacrées, così come pure per le poesie che celebravano le fontane di Parigi, pubblicate nella "Guida di Parigi" di Germain Brice. Sua è la frase latina «castigat ridendo mores».


giovedì 20 gennaio 2011


LA RECENSIONE
DI MARIA SERRITIELLO

Che bella giornata

Trama. Addetto alla security per una misera discoteca di periferia, Checco si ritrova a lavorare, grazie a raccomandazioni, come addetto alla sicurezza del Duomo di Milano. L’incapacità a svolgere questo mestiere, sebbene s’impegni tanto, è subito palese. A complicare il tutto ci si mette anche Farah, una studentessa di architettura araba che si finge francese, con una missione da compiere. Checco, ignorante come non pochi, diventa inconsapevolmente uno strumento nelle mani della bella ragazza che è in Italia con il fratello, per preparare un attentato. Farah, però non ha fatto i conti con l’animo innocente di Checco.



Commento

Torna nelle sale cinematografiche Checco Zalone ed è straripante il successo di botteghino. “Che bella giornata”, la nuova commedia scritta dal comico pugliese, scuola Zelig, appare, nella comicità e nell’ingenuità del personaggio principale, come il seguito del precedente “Cado dalle nubi”. Ma Zalone è simpatico e fa ridere di gusto per la sua parlata in conflitto perenne con la grammatica e per l’aria stralunata e cafona. Attira sia i giovani che quelli dell’ età avanzata, senza neanche usare la trucida volgarità delle tante pellicole comiche in giro. Guadagna unanimi consensi, soprattutto perché sbeffeggia e senza pensarci su, un certo malcostume italiano, gli stereotipi dei personaggi maschili, la chiesa, per cui non si salva neanche Benedetto XVI e le esagerazioni del mondo arabo. Tutto ciò è stato messo, sapientemente, in un unico calderone e mescolato dal una comicità elementare .



Interpreti

Tutto il film ruota intorno al personaggio Checco Zalone, che lui interpreta con naturalezza, tanto da non cambiare neanche il nome, infatti nel film si chiama com’è conosciuto dal grande pubblico. Il comico pugliese che anche questa volta ha confezionato un prodotto accattivante, ha le qualità per andare oltre la semplice commedia esilarante. E’ intelligente, laureato in giurisprudenza e, al di là delle rozze maniere sceniche, suona con maestria il pianoforte. Ora due film concepiti per il successo gli bastano, è tempo che superi, per la prossima volta, la sua esasperata “pugliesità”, tutta orecchiette e cime di rape, con famiglia, caciarona ed invadente e con l’aria sprovveduta, preda di facili raggiri, appena si allontana dal tacco dello stivale. Deve Zalone trasformarsi da brutto anatroccolo in cigno, come ha già fatto Diego Abatantuono, che da “Eccezionale veramente” è passato all’Oscar di “Mediterraneo”.

Perfetta e dosata è la partecipazione di Tullio Solenghi, nei panni del cardinale Rosselli, mostrandosi ieratico pur essendo un intrallazziere con i fiocchi, a fin di bene, s’intende! Rocco Papaleo, il bravissimo attore lucano, nei panni del padre di Zalone si è mosso in maniera efficace e ad ogni prova che affronta è sempre a proprio agio. Tutto da gustare è il cammeo di Caparezza, costretto, e si capirà il perché, a cantare l’evergreen “Sarà perché ti amo”dei Ricchi e Poveri. Più una pin-up che terrorista è Nabiha Akkari, ma anche lei brava nel giocare la carta seduttiva-intellettual contro l’incolto Checco.



Il Regista

Gennaro Nunziante, detto Genny, classe 1963, è un regista, sceneggiatore e attore cinematografico. A partire dal 1985 si mette in evidenza come ideatore e autore dei testi dei programmi televisivi del duo comico Toti e Tata. Successivamente lavora come sceneggiatore cinematografico, approdando alla regia, per il grande schermo, nel 2009 con Cado dalle nubi e ancora dopo nel 2010-2011, con " Che bella giornata".



Spunti di riflessione Abbiamo tanto e solo bisogno di ridere?

Attenzione i latini dicevano “Risus abundat in ore stultorum”( il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi).



Curiosità

*Luca Pasquale Medici è il vero nome di Checco Zalone che del film è protagonista , co-sceneggiatore e autore della colonna sonora.



*Il film è uscito contemporaneamente in 850 sale cinematografiche, la più vasta uscita nella storia del cinema italiano.



*Checco Zalone, con il suo secondo film è riuscito ad effettuare il sorpasso che lo divideva dal film italiano più visto di tutti i tempi.



*Con i 31.479.000 euro, raggiunti nell’ultimo week end “Che bella giornata” ha superato anche la “Vita è bella” di Roberto Benigni, che nel 1977 ottenne una cifra pari a 31.231.984.



*Il nome d’arte Checco Zalone, in dialetto barese equivale all’espressione “Che cozzalone” ovvero “che tamarro”.



Regia: Gennaro Nunziante

Attori: Cecco Zalone, Nabiha Akkari, Rocco Papaleo,Tullio Solenghi, Ivano Marescotti.



Giudizio

Buono



Maria Serritiello
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mercoledì 19 gennaio 2011


LA RECENSIONE DI
MARIA SERRITIELLO

Il primo cd dei “Picarielli”, la piccola compagnia musicale salernitana



Per lanciare il loro primo cd “Intro” i “Picarielli,” il gruppo salernitano di musica popolare, si sono serviti della capiente sala del Centro Sociale, nella zona orientale di Salerno e del 6 gennaio, giorno della Befana. La presentazione della loro prima fatica musicale, com’era prevedibile, non ha perso tempo a diventare un incontro festoso per tutti i presenti, accorsi numerosi a festeggiare sia l’evento, che i loro beniamini. Si, perché, il gruppo ha un largo seguito di appassionati, la musica popolare è coinvolgente, allegra con il suono della tammorra che scandisce il ritmo e la danza. I “Picarielli”, prendono il loro nome proprio dall’antica zona di Salerno, nei cui pressi hanno vissuto e si sono incontrati alcuni dei fondatori del gruppo. La denominazione data al luogo deriverebbe dal nome della famiglia Picariello che possedeva delle terre nella zona. Il borgo si trovava a ridosso di un antico insediamento agricolo nella zona alta di Pastena, ricco di bellissimi aranceti e noto come "Paradiso di Pastena". Oggi, al posto degli orti sorgono i quartieri "Italia" ed "Europa". Il gruppo, formato da 6 musicisti, nasce a Salerno nel 2004, dall'incontro di amici con la stessa passione per la musica popolare: Antonio Santoro (voce e tammorra), Roberta Manzo (voce), Simona Totaro (voce e castagnette), Marco Di Domenico (fisarmonica), Michele Taurone (chitarra classica), Adriano Di Pasquale (mandolino e violino). A voce spiegata e al ritmo di energica tammorra, i “Picarielli”hanno presentato i dieci pezzi che fanno parte del cd. Le musiche, espressione di popolo autentico e anche di vere invocazioni, sono state eseguite, dai bravi musicisti, come in un rito a volte religioso e a volte meno, ma sempre utili ad accendere la danza spontanea e con essa l’antica sensualità popolare. A festeggiare i validi musicisti e il loro primo cd sono anche accorsi, esibendosi prima singolarmente, poi tutti insieme: il gruppo di Montemarano, Ugo Maiorano, della paranza dell’Agro e Floriana Attanasio, della compagnia Daltrocanto. Una piacevole serata di festa tra amici gioiosi e pubblico contento per il successo dei Picarielli.

Maria Serritiello
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LA RECENSIONE
DI MARIA SERRITIELLO

Titolo. Gorbaciof
Trama. E’ conosciuto come Gorbciof, Mariano Pacileo, a causa di una vistosa voglia sulla fronte, del tutta uguale a quella dell’ ex presidente sovietico. Fa il cassiere nel carcere di Poggioreale, ha una passione smodata per il gioco d’azzardo ed è silenziosamente innamorato di una giovane donna cinese. Lila fa la cameriera nel locale frequentato da lui e dove nel retrobottega si consuma l’insana sua passione per le carte. Schivo, chiuso e poco loquace, Gorbaciof si serve, più di sguardi, per esprimersi che di linguaggio, ma tant’è la lingua di Lila è cinese. Per mutare la triste sua esistenza, pensa di fuggire lontano, portando con sé la bella cinesina e tentare d’iniziare con lei una nuova vita. Ma prima deve sistemare alcune cose…..



Commento



Fuori concorso alla 67°mostra internazionale del cinema di Venezia, il film, quasi muto, è stato girato per la gioia della vista e dello sguardo, che dalla prima immagine all’ultima si posa sullo straordinario ed unico Toni Servillo. Negli 85 minuti di proiezione vaga un’atmosfera di attesa, di fatti e situazioni che si concludono, in una Napoli popolare, degradata ma non folcloristica, non è quella dei quartieri affollati, né quella dei “vasci” vocianti. La Napoli che fa da sfondo alla secca storia del silente personaggio è quella periferica squallida, sguarnita e solitaria, quasi non la si riconosce se non per le cime in lontananza dei palazzoni del centro direzionale e della metropolitana popolata da strani tipi e con uomini e donne dai volti consumati per la fatica. Una Napoli infelice e sola come il personaggio che l’attraversa ogni giorno, un gigante dall’apparenza insignificante ma con forza e determinazione all’occorrenza. E’ lui l’inizio e la fine di questo straordinario film di Stefano Innocenti (nouvelle vague napoletana), affiancato nella sceneggiatura da un eccezionale Diego De Silva, scrittore, giornalista e sceneggiatore prolifico salernitano (Certi bambini, La donna di scorta, Da un’altra carne, Mia suocera beve), solo per citare alcune delle sue opere.



Gli Interpreti



Uno, lui, Toni Servillo, un ciclope, di grandezza interpretativa e grazie alla sua eccezionale performance Gorbaciof, diventa una maschera nell’album dei ritratti del buon cinema. Ha poche parole a disposizione, a parlare è la sua mimica, il suo volto, le sue smorfie, le sue pose, stupende. Il personaggio è delineato nei minimi particolari, dalla giacca stretta sui fianchi, con i due spacchi laterali, alla camicia a maniche corte, sempre la stessa indossata, dalle basette lunghe ai lati del viso, ai capelli unti ed arricciati sul collo, dalla testa grossa, spianata sulla fronte, al fisico nascostamente atletico. Si muove minaccioso, nel tragitto di ogni giorno, con passo veloce e vigoroso, non interloquisce con nessuno e raramente guarda in faccia a qualcuno. Gorbagiof vive in una casa vuota, anche il frigorifero è vuoto, con mobili ridotti all’ essenziale, nessuno a fargli compagnia e nessuno con lui seduto a tavola. Mangia frettolosamente, in piedi, senza neanche scartocciare il panino comprato dal pizzicagnolo e quando s’innamora di Lila sembra che la sua vita taciturna, ordinaria, metodica ed oscura possa immediatamente accendersi di una luce diversa, quella che solo l’amore sa dare. Gli altri interpreti, pur essendo all’altezza del ruolo, sono solo utilizzati per far da corona all’unico ed impareggiabile personaggio: Gorbaciof



Il Regista



Stefano Incerti, 45 anni d’età, fa parte della nuova generazione napoletana (De Lillo, Corsicato, Martone ), con i quali ha collaborato come aiuto regista in passato ma che ora di diritto è uno di loro. Nel 1995 passa alla regia con il “Verificatore”, un lungometraggio, per il quale vinse il David di Donatello, come miglior regista esordiente. Con Gorbaciof firma la sua settima regia.



Spunti di riflessione



Anatole France “Nel giardino di Epicuro” 1895, dice: “Il gioco è un corpo a corpo con il destino”. Per Gorbaciof sarà solamente, il destino.



Regia: Stefano Incerti

Attori: Toni Servillo, Mi Yang, Geppy Gleijeses, Nello Mascia.



Giudizio

ottimo con lode

Maria Serritiello
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domenica 16 gennaio 2011


IL TRIONFO DI GALATEA
DI RAFFAELLO SANZIO
(1512),AFFRESCO,ROMA,VILLA FARNESINA

Galatea (in greco Γαλάτεια; "lei che ha la pelle bianco-latte") è una figura della mitologia greca, una delle cinquanta ninfe del mare, le Nereidi, figlie di Nereo e di Doride, la cui abituale residenza è in fondo all’oceano, con il padre e che hanno il compito di assistere i marinai.

Omero ne fa cenno nell’Iliade (libro XVIII), ma il mito del suo amore per Aci (o Acis) è posteriore e costituisce uno dei temi preferiti della poesia bucolica dei poeti greci in Sicilia.

Il mito narra che Galatea fosse innamorata di Aci, un giovane bellissimo, e che il ciclope Polifemo, invidioso del giovane e a sua volta innamorato della ninfa, un giorno avesse cercato di attirarla con il suono del suo flauto (simbolo di lussuria). Non essendo riuscito nel suo intento, sorpresa la coppia di amanti, scagliò infuriato un enorme masso che raggiunse, uccidendolo, Aci.

Come raccontato nelle Metamorfosi di Ovidio, Galatea, per tenere in vita il suo amore, trasformò il sangue di Aci in una sorgente e lui stesso divenne un dio fluviale.

Il tema mitologico ha dato luogo alla diffusione di un soggetto iconografico prediletto dagli artisti del Rinascimento, quello del Trionfo di Galatea: si tratta di una scena vivace e affollata, nella quale la ninfa campeggia al centro, sul suo carro, una conchiglia trainata da delfini. Il gruppo è sorvolato da alcuni amorini che scagliano frecce in direzione di Galatea

sabato 15 gennaio 2011




FONTE:CORRIERE DELLA SERA .IT
DI CARLOTTA DE LEO


Sacchetti di plastica, addio
dopo tre anni di rinvii
Dal 1 gennaio in vigore il divieto di commercializzare le buste non biodegradabili. I produttori: sarà battaglia

Con la riunione del Consiglio dei ministri anche l'ultimo ostacolo è stato superato. «Dal primo gennaio entra in vigore il divieto di commercializzare le buste di plastica non biodegradabili». Poco prima di lasciare il Pdl per approdare al gruppo misto, il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, ha dato il via a una rivoluzione dei consumi che fa felici gli ecologisti che da tempo chiedevano all'Italia di dichiarare fuorilegge l'inquinante polietilene.


Buste di plastica
RICICLARE LE SCORTE - E così, dopo tre anni di rinvii, dal primo gennaio 2011 l'Italia dice addio alle vecchie buste di plastica. Il decreto Milleproroghe approvato esclude ogni ulteriore proroga, mentre in una bozza precedente si proponeva di arrivare a una graduale sostituizione dei sacchetti entro il 2012. «Io mi sono opposta all'ennesimo rinvio previsto nella bozza: sarebbe stato insopportabile - ha spiegato il ministro - Mi sono molto battuta e tutto il governo si è dichiarato favorevole. E' una scelta scelta moderna, in linea con la sensibilità dei cittadini che saranno ben contenti di contribuire col proprio comportamento a una maggiore attenzione all'ambiente. Per le scorte faremo accordi coi produttori e i consorzi che riciclano la plastica, non credo che ci saranno problemi».

DECISIONE CONTESTATA - I produttori di plastica annunciano battaglia. Il provvedimento potrebbe essere impugnato a Bruxelles sulla base di un precedente: una norma analoga, sostengono i produttori aderenti a Unionplast-Confindustria, era già stata ritirata in passato dal governo francese. Ma gli ambientalisti per ora festeggiano: «Vigileremo affinchè questa importante misura da noi fortemente voluta non sia nuovamente messa in pericolo dalle pressioni delle lobby dei produttori di plastica» aggiunge Ermete Realacci, responsabile green economy del Pd. «Al ministro Prestigiacomo va il nostro plauso per aver scongiurato, una ulteriore proroga allo stop alle buste di plastica previsto dalla legge Finanziaria del 2007 - ha detto il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza - Tra ordinanze di comuni virtuosi, come Torino, e iniziative volontarie della grande distribuzione nel nostro Paese la rivoluzione è già in corso».

ROMA BIO - La decisione del governo, infatti, è stata anticipata da una serie di comuni come Torino e Caiazzo che hanno da tempo bandito i sacchetti di plastica con apposite ordinanze. «Anche la Capitale si era già attivata e siamo contenti che l’appello del sindaco Alemanno dello scorso 26 settembre, in cui annunciava nel 2011 un’ordinanza contro i sacchetti di plastica, sia stato accolto in pieno dal governo» spiega l’assessore all’Ambiente Fabio De Lillo. A Roma vengono consumate ogni anno un miliardo e 600 milioni di buste di plastica che hanno un utilizzo medio di 20 minuti, mentre il pianeta ci mette in media 200 anni per "digerirle". «Mettere al bando il polietilene è un buon inizio - spiega Cristiana Avenali, direttrice di Legambiente Lazio - Ovviamente per azzerare l'impatto e il costo ambientale l'unica soluzione è quella della sporta riutilizzabile, e soltanto dopo i sacchetti biodegradabili. A questo punto, è necessario stabilire con chiarezza un periodo di transizione per smaltire le scorte al termine del quale sono necessari controlli e multe per chi trasgredisce". "Siamo già al lavoro per dare attuazione alla legge - ribatte De Lillo - e per estendere la concertazione a tutte le parti interessate all’entrata in vigore di questa norma».

BIO SHOPPER DI TOPOLINO - La notizia della messa al bando delle shopper di plastica arriva anche in via del Corso affollata per lo shopping natalizio. I clienti escono ed entrano di negozio in negozio: il portafogli si fa più leggero e le braccia si appesantiscono. Le buste che ciondolano a ogni passo sono per lo più griffate e di ecologica carta. Solo pochi commercianti della strada usano ancora i sacchetti in polietilene che dal primo gennaio non potranno più essere prodotti e commercializzati. «Ci adegueremo anche noi - spiega una commessa del Disney Store - . Stiamo esaurendo le forniture e probabilmente già prima della fine dell'anno arriveranno le nuove buste ecologiche che non abbiamo ancora visto. Potrebbero però essere simili a quelle attualmente in vendita». Più che sacchetti, si tratta di vere e proprie borse in juta colorata decorata con i tanti personaggi della Disney: «Ne abbiamo di due tipi, piccole e grandi. Sono capienti e resistenti e possono essere riutilizzate» dice la commessa indicando una mamma che ne ha una in spalla.

«CI METTEREMO IN REGOLA» - Tra i negozianti che usano ancora il polietilene non manca la confusione. «Non è vero che la plastica è fuorilegge dal primo gennaio. Mi hanno detto che hanno già fatto ricorso perchè la nuova legge è in contrasto con quanto dice l'Europa» afferma un commesso che anticipa la protesta dei produttori di plastica. «Abbiamo già ordinato le nuove buste - conferma la cassiera di un negozio di oggettistica - Appena finiamo le scorte ci adegueremo. Dobbiamo farlo anche perchè questa è la principale via dello shopping a Roma. Magari qualcuno in periferia potrà anche essere meno solerte...».

mercoledì 12 gennaio 2011



L'IMPROVVISA TEMPESTA
DI MARIA SERRITIELLO

Ci sono morti che sono più “morte” di ogni altra, quella di “Antonella”, mia cugina, è una di esse, per come si conforma:l’età e chi lascia. La notizia m’invade improvvisa e mi trascina in un vortice di antico dolore e di ricordi levigati negli anni. Ogni giovedì, del tempo giovane, sedevamo a tavola, nella casa di sua nonna, mia prozia ed insieme a suo fratello e mio fratello, costruivamo discorsi sul divenire, progettandoci la vita. Poi, come capita, i progetti si realizzano difformi da come sono stati pensati. Ci vedevamo di rado, ma sempre con tanto affetto ed ogni volta ripromettendoci di non far passare tanto tempo per il prossimo incontro.

Ecco, oggi l’incontro c’è stato, fuori città, in una squallida ed angusta sala mortuaria, già chiusa in una bara, senza un segno di riconoscimento, confusa tra i pochi parenti dell’altra salma, allineata nel poco spazio e con una fioca luce ad illuminare entrambi.

La sera è gelida, oscura, invernale ed ancor di più, con la morte che si manifesta solamente cruda, senza nessuno orpello di umana pietà.

Incontro, mentre mi allontano, lo sguardo della tua vecchia madre, un tempo due occhi azzurri limpidissimi, ora divenuti come fondo opaco di bicchiere, inespressivi, atterriti e ciechi. Il grande dolore cambia ogni cosa e Lei, dopo aver visto e sentito l’ ultimo tuo respiro ha cambiato gli occhi, per non vedere ciò che dovrà vedere per se e per tua figlia.

Ora comincia il calvario per tuo fratello "Un pezzo della mia vita che se n’è andato" mi dice e negli occhi un lampo con lo stesso terrore della madre, privato com’è della certezza che unisce la solida radice dei fratelli.

Oggi ti dirò “ addio” e sarà l’addio alla gioventù, tu viva, era giovane, con la tua morte, improvvisamente è invecchiata.

L’improvvisa tempesta

L’improvvisa tempesta
e il sole non più sole,
ma notte.
Cammino diverso, ora,
con le stelle più vicine,
con il cielo disteso
sempre
e con gli astri in tua compagnia.
Il mare della nostra infanzia
in affondo,
e bastava parlarci
per essere felici!

11 gennaio 2011 Per Antonella Napoli

Maria Serritiello


sabato 8 gennaio 2011


UNITA' D'ITALIA

« I nomi del Risorgimento sono vivi, sono dentro di noi, ci appartengono. »
(Carlo Azeglio Ciampi in Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 7 luglio 2004)

Il Risorgimento fu il periodo della storia d'Italia durante il quale la nazione italiana - stanziata a sud dello spartiacque alpino e occupante tutta la penisola italiana e le isole di Sardegna, Sicilia e gli arcipelaghi minori - conseguì la propria unità nazionale.

Il termine richiama l'idea di una resurrezione della nazione italiana attraverso la conquista dell'unità nazionale per lungo tempo perduta. Tuttavia, per quanto questa visione idealizzata del periodo sia, da talune interpretazioni moderne, riveduta in un concetto più ampio della situazione italiana ed internazionale e la stessa unificazione venga vista a volte più come un processo di espansione del regno di Sardegna che come un processo collettivo, il termine è ormai accettato ed ha assunto valenza storica per questo periodo della storia d'Italia

La prima estensione dell'ideale letterario a fatto politico e sociale della rinascita dell'Italia si ebbe con Vittorio Alfieri (1749-1803), non a caso definito da Walter Maturi il «primo intellettuale uomo libero del Risorgimento»,vero e proprio storico dell'età risorgimentale, che diede inizio a quel filone letterario e politico risorgimentale che si sviluppò nei primi decenni del XIX secolo. La datazione più accreditata è quella 1815-1870, anche se i pareri sono difformi. Come fenomeno politico il Risorgimento viene invece compreso da taluni storici fra il proclama di Rimini (1815) e la presa di Roma da parte dell'esercito italiano (1870), da altri, fra i primi moti costituzionali del 1820-1821 e la proclamazione del Regno d'Italia (1861) e/o il termine della terza guerra d'indipendenza (1866), da altri ancora, in senso lato, fra l'età riformista (seconda metà del XVIII secolo)e/o napoleonica (1796-1815) e il riscatto delle terre irredente dell'Italia nord-orientale (Trentino e Venezia Giulia) a seguito della prima guerra mondiale. Anche la Resistenza italiana (1943-1945) è stata talvolta ricollegata idealmente al Risorgimento.

Le idee e gli uomini

Le idee liberali, le speranze suscitate dall'Illuminismo e i valori della Rivoluzione francese furono portate in Italia da Napoleone sulla punta delle baionette dell'Armée d'Italie. Rovesciati gli stati preesistenti, i francesi, deludendo le speranze dei patrioti "giacobini" italiani, si erano stabilmente insediati nella Pianura Padana, creando repubbliche su modello francese (Repubblica Cispadana), rivoluzionando la vita del tempo, portando sì idee nuove, ma facendone anche ricadere il costo sulla economia locale. Era nato così un crogiolo di aspettative e di ideali, alcuni incompatibili tra loro: vi erano in campo quelli romantico-nazionalisti, repubblicani, socialisti o anticlericali, liberali, i monarchici filo Savoia o papalini, laici e clericali, vi era l'ambizione espansionista di Casa Savoia tendente a raggiungere l'unità della Pianura Padana, vi era il bisogno di liberarsi dal dominio austriaco nel Regno del Lombardo-Veneto, unitamente al generale desiderio di migliorare la situazione socio-economica approfittando delle opportunità offerte dalla rivoluzione tecnico-industriale, superando al contempo la frammentazione della penisola laddove sussistevano stati in parte liberali, che spinsero i vari rivoluzionari della penisola a elaborare e a sviluppare un'idea di patria più ampia e ad auspicare la nascita di uno stato nazionale analogamente a quanto avvenuto in altre realtà europee come Francia, Spagna e Gran Bretagna.

Le personalità di spicco in questo processo furono molte tra cui: Giuseppe Mazzini, figura eminente del movimento liberale repubblicano italiano ed europeo; Giuseppe Garibaldi, repubblicano e di simpatie socialiste, per molti un eroico ed efficace combattente per la libertà in Europa ed in Sud America; Camillo Benso conte di Cavour, statista in grado di muoversi sulla scena europea per ottenere sostegni, anche finanziari, all'espansione del Regno di Sardegna; Vittorio Emanuele II di Savoia, abile a concretizzare il contesto favorevole con la costituzione del Regno d'Italia.

Vi furono gli unitaristi repubblicani e federalisti radicali contrari alla monarchia come Nicolò Tommaseo e Carlo Cattaneo; vi furono cattolici come Vincenzo Gioberti e Antonio Rosmini che auspicavano una confederazione di stati italiani sotto la presidenza del Papa o della stessa dinastia sabauda; vi furono docenti ed economisti come Giacinto Albini e Pietro Lacava, divulgatori di ideali mazziniani soprattutto nel meridione.


venerdì 7 gennaio 2011



BANDIERA ITALIANA

Storia della bandiera italiana

I colori della bandiera italiana fanno la loro comparsa nel 1796 per opera di Napoleone che li adotta come vessillo della Legione Lombarda della Repubblica Transpadana. Non si tratta però di una vera e propria bandiera nazionale. Soltanto l'anno dopo, nel 1797, con l'occupazione francese dell'Emilia Romagna il tricolore bianco, rosso e verde viene scelto come bandiera della nascente Repubblica Cispadana. Rispetto alla precedente bandiera le bande colorate sono orizzontali con al centro una faretra con quattro frecce e la sigla R.C. (Repubblica Cispadana). La disposizione del tricolore cambia ancora una volta nel 1802, quando la Repubblica Cispadana prende il nome di Repubblica Italiana (di Napoleone). Le strisce sono sostituite da tre quadrati, rosso bianco e verde, disposti l'uno dentro l'altro. Nel 1805 i territori del nord Italia sono ribattezzati Regno Italico e anche la bandiera viene a sua volta parzialmente modificata nella disposizione dei colori. Con il Congresso di Vienna del 1815 e la scomparsa di Napoleone dalla scena europea, il tricolore cade in oblio. Riappare nel 1831 con la Giovane Italia di Giuseppe Mazzini nella versione a bande verticali che ancora oggi conosciamo. Fatta eccezione per lievi modifiche alle tonalità dei colori e per la presenza dello stemma Savoia o della Repubblica Sociale al centro della banda bianca, la bandiera non cambia più il suo aspetto giungendo (quasi) intatta fino ai giorni nostri. Nel 1946 l'Italia repubblicana conferma la bandiera tricolore a strisce verticali, eliminando ogni stemma centrale.

Azzurro e tricolore
Nel mondo sportivo gli italiani gridano "forza azzurri" per incitare la squadra o gli atleti italiani, a loro volta vestiti di azzurro. Perché? Cosa centra l'azzurro con il tricolore? Nelle guerre d'indipendenza dal 1848 al 1860, Carlo Alberto utilizza come bandiera proprio il tricolore napoleonico aggiungendoci al centro lo stemma dei Savoia, uno scudo crociato bianco e rosso circondato da un colore blu-azzurro. L'azzurro diventa il colore dello sport italiano nel primo novecento, riuscendo così a superare la stessa caduta della monarchia Savoia e tutti gli sconvolgimenti storico-istituzionali del paese. Forse sono in pochi a saperlo, ma quando gridiamo "forza azzurri" per incitare la squadra di calcio ai Mondiali storicamente è un po' come gridare "forza Savoia".




giovedì 6 gennaio 2011



DUE ANNI DEL MIO BLOG




BUON COMPLEANNO, IL SECONDO, MIO CARO BLOG.
UN'AVVENTURA INIZIATA DUE ANNI FA, PROPRIO NEL GIORNO DELL'EPIFANIA E CONSIDERATA COME UN DONO PORTATO DALLA BEFANA.
DA BAMBINA, QUANDO RICEVEVO UN REGALO CHE MI PIACEVA TANTO, NON RIUSCIVO A STACCARMENE E LO PORTAVO CON ME NEL LETTO A DORMIRE,SICURA CHE AL RISVEGLIO SAREBBE STATO LA' AD ATTENDERMI. QUESTO POSSESSO PER LE COSE CHE PIU' MI STANNO A CUORE NON MI E' PASSATO E PER QUESTO CHE TI TENGO STRETTO, MIO BLOG, PER ANNI E ANNI ANCORA PERCHE' TU MI PIACERAI SEMPRE.
BUON COMPLEANNO BLOG SEI GIOVANE ED IO CON TE.....

mercoledì 5 gennaio 2011


MIEI SCRITTI
DI MARIA SERRITIELLO

Il Presepe Vivente di Carpineto

A Carpineto, frazione di Fisciano, in provincia di Salerno la Parrocchia di San Giovanni Battista e San Nicola di Bari ha organizzato, nel palazzo gentilizio di proprietà del dott.re Gennaro Galdieri, la 4° edizione del Presepe Vivente, nei giorni 25 e 26 dicembre e 1-2-e 6 gennaio, visitabile dalle 17,30 in poi. L’intero tragitto è un percorso al coperto, che si snoda e si arrocca tutto all’interno della tenuta, messa a disposizione, per l’occasione, dal dott.re Galdieri, per i giovani della parrocchia e di quanti hanno voluto dare una mano nella realizzazione della sacra rappresentazione, che fu iniziata nel 1223 da San Francesco d’Assisi a Greccio, provincia di Rieti, nel Lazio. Il Presepe Vivente di Carpineto si lascia ammirare per la sua peculiarità e la particolare realizzazione, così differente da tutte le altre, attuate in questo periodo. Infatti, le varie scene che raccontano la magia della “notte santa” si presentano ai visitatori, nelle stanze del palazzo, come racchiuse in uno scrigno. Ogni sala contiene una scena, dove ognuno interpreta e si fa pastore, dove ognuno rappresenta, pratica gli antichi mestieri e cucina pietanze dolci e salate. L’elemento predominante che si nota, sia per il calore che emana e sia per la metafora del tangibile fervore religioso, è il fuoco, acceso in grossi bracieri e scorto ben volentieri, durante la visita, nello spazio antistante il palazzo, all’interno del cortile e nei vani dove il popolo pastorale vende, offre e invita i visitatori. I piani alti, del palazzo, poi, diventano il fondale adatto per le scene dei nobili romani, che adagiati mollemente su triclini godono di danze, di schiave e di musica soffusa, mentre giù nelle osterie si aizza il fracasso delle tammorre, delle castagnette e dei canti popolari. Poi, stazzi di pecore e di capre, avviano verso la grotta che, quasi appartata, quasi nascosta da tutto il resto, conduce a sé, come fece la stella cometa per gli antichi pastori. E là scorgiamo con stupore, ogni anno rinnovato: la Madonna, San Giuseppe ed il Bambino Gesù, che, a Carpineto, ha due mesi, si chiama Gaetano, dorme sereno tra le braccia della madre ed è vigilato con orgoglio da suo padre. I figuranti della sacra famiglia sono reali ed è questo un valore aggiunto alla divina rappresentazione della natività. Non mancano il bue e l’asinello, veri naturalmente, né gli angeli, tra questi, l’altra figlia della coppia dei santi figuranti, la paglia e l’odore del fieno che solletica le narici. A terra in un angolo tra la paglia ad aghi e i bricchi di creta, vi è raccolto del pane, simbolo di ciò che, più tardi, quando il Bambino Gesù sarà cresciuto e diventato uomo, sarà il suo corpo per noi, nell’eucarestia.

Maria Serritiello


Mohammad Reza Pahlavi in persiano: محمد رضا پهلوی‎ - in italiano spesso traslitterato Reza Pahlevi (Teheran, 26 ottobre 1919 – Il Cairo, 27 luglio 1980) è stato l'ultimo Scià dell'Iran; ha regnato tra il 1941 e il 1979.

Figlio di Reza Pahlavi, divenuto Scià nel 1925. Uomo forte della Persia dal 1921 in seguito a un colpo di Stato, Reza Khan divenne Primo Ministro nel 1923 e nel 1925 salí infine sul Trono del Pavone con il nome di Reza Pahlavi. Mohammad Reza nacque nel 1919. Suo padre, una volta diventato Monarca assoluto, operò una feroce repressione nei confronti dei gruppi religiosi e della sinistra o democratici, terminata con la condanna a morte dei loro principali esponenti.

Nel 1941 Stalin e Churchill, preoccupati dalle relazioni amichevoli della nazione con la Germania Nazista, si misero d'accordo per invadere l'Iran, cosa che avvenne nell'agosto dello stesso anno, e costrinsero all'esilio Reza Pahlavi. Secondo molti autori, il timore dell'influenza nazista fu solo un pretesto e l'Iran fu occupato dagli anglo-sovietici per permettere il trasferimento di materiale bellico all'Unione Sovietica, allora sotto attacco nazista, lungo il cosiddetto "corridoio persiano". Dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti la gestione logistica del corridoio persiano passò agli americani [1]. I britannici mantennero il controllo delle risorse petrolifere.

In assenza di valide alternative gli inglesi permisero a Mohammad Reza di diventare Scià, il 16 settembre 1941, a 22 anni di età. Dopo la Conferenza di Teheran di Stalin, Roosevelt e Churchill del 1943 gli Alleati si impegnarono a sviluppare una monarchia costituzionale. Con la fine dell'alleanza antinazista e lo scoppio della Guerra Fredda gli inglesi consentirono l'involuzione verso un governo di tipo parlamentare sulla carta, ma dittatoriale di fatto. Per Londra era essenziale mantenere il controllo sulle risorse petrolifere persiane. Mohammad Reza partecipò più attivamente all'elaborazione della linea politica del Paese, opponendosi o ostacolando l'attività di alcuni dei Primi Ministri più volitivi e sgraditi a Londra ed eliminando avversari politici. Altra sua preoccupazione fu quella di mantenere l'esercito sotto il controllo della monarchia. Nel 1949, a seguito di un tentativo di assassinio, si ebbe la messa al bando del partito Tudeh (filo-sovietico e ritenuto responsabile dell'attentato) e l'ampliamento dei poteri costituzionali dello Scià. Nonostante la politica filo-britannica del Monarca, in Persia cresceva sempre più l'avversione alla Anglo-Iranian Oil Company, accusata di sfruttare avidamente le risorse naturali del Paese.

Nel 1950 la popolazione ed il Parlamento erano contrari al rinnovo della concessione petrolifera all'AIOC, caldeggiata invece dallo Scià. Il Primo Ministro Generale Ali Razmara che insisteva per il rinnovo fu assassinato nel 1951 da un fanatico religioso. Al suo posto il Parlamento (in persiano Majlis) elesse Primo Ministro Mohammad Mossadeq, il principale oppositore dell'AIOC, che fece immediatamente approvare la nazionalizzazione dell'industria petrolifera con l'attivo sostegno del clero sciita militante, guidato dall'Ayatollah Kashani. La reazione di Londra fu molto dura e provocò la crisi di Abadan. Sul piano interno l'Ambasciata britannica chiese allo Scià di sostituire Mohammad Mossadeq con un Primo Ministro più flessibile. Nel 1952 il Monarca sostituì Mossadeq con Ahmad Qavam, ma il Primo Ministro era assai popolare e scoppiarono proteste di piazza che costrinsero Mohammed Reza a richiamare al Governo Mohammad Mossadeq. Egli entrò in forte contrasto con lo Scià, sia in politica economica sia sulla delicata questione del controllo dell'esercito. il Parlamento accettò la nomina del Ministro della Difesa e capo dell'esercito da parte di Mossadeq contro il volere dello Scià, che tuttavia infine la promulgò senza avvalersi del suo diritto di veto. Mohammad Reza Pahlavi entrò sempre più in rotta di collisione col suo Primo ministro, che nel 1952 aveva espulso l'Ambasciata britannica, accusata di ingerenza negli affari interni. Nel 1953 Mossadeq costrinse lo Scià a lasciare il paese e molti temettero che volesse proclamare la Repubblica. Mentre Mohammad Reza era in esilio a Roma, ci fu a Teheran un contro-colpo di Stato militare, sostenuto dal clero sciita e con l'appoggio dalla CIA e dal SIS britannico. Il Primo Ministro fu rovesciato e Mohammed Reza tornò trionfalmente in Iran [2]. Agenti CIA assoldarono plebaglia di Teheran che, inneggiando allo Shah, entrò nella capitale. L'esercito, già largamente contro Mossadeq, si schierò con gli insorti eliminando i pochi reparti fedeli al governo legittimo

Rientrato a Teheran, lo Scià sospese di fatto le garanzie costituzionali e assunse i pieni poteri. Mohammed Reza aveva 34 anni ed era padrone incontrastato della Persia e riprese la politica di modernizzazione forzata del Paese che era stata del padre. Nonostante la ricchezza petrolifera, la modernizzazione e lo sviluppo economico a tappe forzate provocarono forti squilibri sociali e malcontento, mentre l'opposizione non rinunciava a contrastare il suo assolutismo. Mohammed Reza Pahlavi quindi attuò una forte repressione, in particolare contro i gruppi religiosi che si erano opposti alla sua riforma agraria e sociale (la cosiddetta "Rivoluzione bianca") che aveva espropriato molti beni di manomorta, controllati dalle gerarchie religiose, e che aveva introdotto un certo numero di riforme laiche. Contro il clero militante furono messe in atto torture e numerosi esponenti religiosi furono uccisi o costretti all'esilio. Nel 1963 l'Ayatollah Khomeini (1900-1989) organizzò una congiura contro la Scià ma essa fu scoperta e Mohammad Reza Pahlavi, con un gesto di insolita generosità, decretò il solo esilio per Khomeini.

Negli anni '70 molti studenti iraniani inviati a perfezionarsi in Europa parteciparono alle rivolte studentesche del '68 e degli anni seguenti, chiedendo delle riforme democratiche anche per il loro Paese, ma scontrandosi con una dura repressione che contribuì ad alienare le simpatie della borghesia per il regime

Nel 1939 Mohammad Reza Pahlavi sposò Fawzia, sorella di Faruq I d'Egitto, da cui divorziò dieci anni dopo. Nel 1951 sposò in seconde nozze Soraya Esfandiary Bakhtiari la quale non riuscì però a dargli un erede al trono, per questo venne ripudiata con dolore, ricevendo ricche prebende dal successivo divorzio. Quindi, dopo questo matrimonio, lo Scià Reza sposò il 21 dicembre del 1959 Farah Diba, che gli dette due figli e due figlie.

Mohammad Reza Pahlavi attuò una politica economica estremamente favorevole agli Stati Uniti e all'occidente, permettendo alle multinazionali di sfruttare le risorse del Paese. Al contempo lo Scià avviava il programma "Grande Civiltà", che, nelle intenzioni originarie, avrebbe dovuto condurre l'Iran ad un livello di sviluppo economico e sociale paragonabile a quello dei Paesi occidentali attraverso l'investimento degli enormi proventi petroliferi. Di fatto il progetto fu un fallimento su tutti i fronti, in quanto i proventi petroliferi venivano in buona parte incamerati dall'entourage di corte e dalla famiglia imperiale; la parte rimanente delle entrate dell'Iran venne investita perlopiù in infrastrutture militari e apparecchiature belliche costosissime. Vennero, sì, importati materiali, derrate e attrezzature di uso civile dall'estero, ma essendo l'Iran cronicamente privo di infrastrutture e di manodopera specializzata lo Scià fu costretto a importare tecnici e altri lavoratori qualificati (tra i quali un posto di preminenza assoluta occupavano gli addetti alle apparecchiature belliche) dagli USA e dall'Europa. Ancora oggi in Iran sono presenti, in alcune aree, quantità impressionanti di veicoli, materiali e attrezzature, abbandonati vista l'impossibilità di poterli utilizzare concretamente. Lo Scià fu attivo altresì nella sua attività di repressione del dissenso da parte del clero, sebbene pubblicamente partecipasse a funzioni religiose, mantenendo un atteggiamento ambivalente i questo ambito. Numerosi furono i mullah torturati e incarcerati dalla Savak durante il suo regno. Anche la riforma agraria da lui varata, basata sull'esproprio delle proprietà fondiarie delle moschee (derivanti dai cospicui lasciti dei fedeli) si risolse di fatto in un'operazione di accaparramento e distribuzione delle terre migliori ai favoriti di corte (senza dimenticare sè stesso), venendo a creare uno squilibrio economico tra la ristretta cerchia dei beneficiari dello Shah e la grande maggioranza della popolazione. Di fatto l'opposizione, non trovando sbocchi altrove si concentrò nella moschea, l'unica istituzione in qualche misura politica tollerata dal regime al di fuori del Rastakhiz (il partito dello Shah, nel quale tutti dovevano essere regolarmente iscritti).
Numerosi tentativi di assassinio o di colpo di stato furono organizzati, soprattutto da gruppi religiosi islamici, cui lo Scià rispose con una repressione inefficace quanto brutale. Tuttavia, la sua posizione ambivalente nei confronti della religiosità iraniana, della quale era virtualmente anche il capo (incarnando un modello cesaropapistico) lo poneva in difficoltà impedendogli di prendere provvedimenti drastici al fine di evitare lo scontento aperto delle masse popolari.


Si calcola che dal 1953 al 1978 diverse centinaia di migliaia di persone siano state arrestate per reati politici ma meno di 3.000 torturate. L'opposizione esplose a fine 1978: Khomeini riuscì a ritornare in Persia (dopo un lungo esilio nella Città Santa irachena di Najaf) e i soldati passarono dalla sua parte grazie agli accordi con vari generali tra cui il Gen. Fardoust, amico d'infanzia dello Scià e suo confidente, che passò indenne a far parte del nuovo regime con l'incarico di capo della SAVAMA (la nuova SAVAK del regime islamico) e il Gen. Gharabaghi, ultimo Capo di Stato Maggiore della Difesa dell'esercito imperiale (anch'egli poi morto di vecchiaia a Parigi).


Lo Scià fu di fatto vittima della sua stessa debolezza e arroganza, credendo di essere amato dal popolo iraniano al quale, a suo dire, aveva portato prosperità e ricchezza; ma di fatto non si rese mai conto delle precarie condizioni in cui versava il Paese. Ciò fu essenzialmente conseguenza del suo distacco dalla realtà concreta e del suo estraniarsi dal vero Iran, preferendogli gli svaghi e la vita di corte. La scelta di Khomeini d'altronde appare storicamente l'unica possibile, vista la decapitazione delle élite culturali del Paese portatrici di istanze democratiche sistematicamente attuata sotto il regime dello Scià. La classe dirigente religiosa, potendo contare su una capillare presenza sul territorio grazie alle moschee e ai mullah locali, diventava in quest'ottica l'unica scappatoia al regime monarchico.

Va ricordato che lo Scià, negli anni, aveva accresciuto la collaborazione con lo Santa Sede (tanto da farsi nominare cavaliere e difensore della fede cristiana nel mondo[senza fonte]) attirandosi inimicizie negli stati di religione islamica. Nel 1978 iniziarono in Iran una serie di manifestazioni di protesta e scioperi che, a fronte della repressione da parte di Mohammed Reza, continuò a crescere d'ampiezza fino a diventare un movimento rivoluzionario. Verso la fine dell'anno, lo Scià cercò, molto tardivamente, di avviare una politica di dialogo che calmasse la marea di proteste. Era tuttavia troppo tardi e dall'esilio in Francia l'Ayatollah Khomeini, ormai riconosciuto come leader indiscusso della rivoluzione, esigeva solo la sua deposizione. Nel gennaio del 1979, già malato, abbandonò l'Iran per evitare un bagno di sangue tra i suoi sostenitori e i rivoluzionari i quali, preso il potere, provvidero a giustiziare indiscriminatamente tutti coloro che erano appartenuti al regime imperiale, senza veri processi. Il suo esilio terminò in Egitto, l'unico paese che si dichiarò disposto ad accoglierlo. Proprietario di un'immensa fortuna, questa passò in parte al nuovo regime di Teheran e da qui ai nuovi dignitari.

Nonostante la vittoria della Rivoluzione, quando Mohammed Reza si recò negli Stati Uniti, molti a Teheran temettero che l'America stesse tramando qualcosa per farlo tornare come già fatto nel 1953 al tempo di Mohammad Mossadeq. Nel novembre 1979 studenti universitari, influenzati dalle idee di Khomeyni, occuparono allora l'Ambasciata americana e per un anno tennero in ostaggio i 52 statunitensi che costituivano lo staff diplomatico Usa, minacciando di ucciderli se gli Stati Uniti non avessero consegnato lo Scià. A fronte di questa crisi degli ostaggi, Carter e il Congresso si rifiutarono di cedere per rispetto al diritto di asilo che gli era stato concesso per motivi umanitari (lo Scià era malato terminale di cancro e voleva farsi curare a New York).
Dopo oltre un anno sotto sequestro, gli ostaggi furono rilasciati soltanto pochi minuti dopo l'elezione del nuovo presidente americano, Ronald Reagan. Le nuove istituzioni iraniane rappresentarono un'esperienza senza precedenti in tutto il mondo islamico, fu infatti creato un "Consiglio di giurisperiti" cui era affidato ogni potere di veto sulle norme non ritenute in linea con gli assunti dell'Islam sciita (vilāyet-e faqih) che decretò il pieno allineamento del paese alla Sharīʿa islamica sciita, reintroducendo la pena di morte per l'adulterio e la bestemmia e introducendo l'obbligo del velo muliebre.
Mohammad Reza Pahlavi non sopravvisse molto alla sua deposizione: morì infatti l'anno dopo, nel 1980, in Egitto. Lo Scià aveva infatti trovato ospitalità presso Sādāt, dopo che la sua permanenza negli Stati Uniti era stata utilizzata come pretesto per assaltare l'ambasciata americana di Teheran. È sepolto al Cairo, nella moschea di al-Rifāʿī