Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso.....

Pablo Neruda





martedì 25 maggio 2010







CHE STRANEZZE CI RISERVA IL CLIMA, QUESTI GIORNI.E' FINE MAGGIO ED IO SONO ANCORA CON IL PIUMONE SUL LETTO, COME SE FOSSI IN UN RIFUGIO DEL TRENTINO.....ANNI ADDIETRO AVEVO GIA'FATTO QUASI UN MESE DI BAGNI!!!

lunedì 24 maggio 2010




« Quando sono in palcoscenico a provare, quando ero in palcoscenico a recitare... è stata tutta una vita di sacrifici. E di gelo. Così si fa il teatro. Così ho fatto! »
(Dall'ultimo discorso pubblico al Teatro di Taormina, 1984)

Eduardo De Filippo, noto semplicemente come Eduardo[1] (Napoli, 24 maggio 1900 – Roma, 31 ottobre 1984), è stato un attore teatrale, commediografo, regista teatrale e cinematografico italiano, fra i massimi esponenti della cultura italiana del Novecento. Senatore a vita della Repubblica e cavaliere di gran croce.

Figlio illegittimo dell'attore e commediografo Eduardo Scarpetta e di Luisa De Filippo (sarta teatrale), Eduardo nasce a Napoli nel quartiere Chiaia, (secondo alcuni in via dell'Ascensione n. 3, per altri in via Giovanni Bausan n. 15[. A soli quattro anni è condotto per la prima volta su un palcoscenico, portato in braccio da un attore della compagnia di Scarpetta, Gennaro Della Rossa, in occasione di una rappresentazione dell'operetta La Geisha, al Teatro Valle di Roma.

Cresce nell'ambiente teatrale napoletano insieme ai fratelli Titina, la maggiore, che aveva già agli inizi degli anni '10 un suo posto nella compagnia di Vincenzo Scarpetta (uno dei figli legittimi di Scarpetta) e Peppino, il più piccolo che assieme ad Eduardo di tanto in tanto viene convocato per qualche apparizione in palcoscenico.

Nel 1912 i De Filippo vanno ad abitare in via dei Mille, e sia Eduardo che Peppino vengono mandati a studiare al Collegio Chierchia, a Foria; qui, tra tentativi di fughe ed insofferenze varie, il piccolo Eduardo inizia a dilettarsi nella scrittura, producendo la sua prima poesia, con versi scherzosi dedicati alla moglie del direttore del collegio. Rientrato a casa, parte per Roma in cerca di indipendenza economica, ospite di una zia ed in cerca di qualche lavoretto nell'ambiente cinematografico, ma senza successo. Tornato a Napoli si cimenta nelle sue prime prove d'attore: prima recita nella rivista di Rocco Galdieri, poi nella compagnia di Enrico Altieri, quindi in altre compagnie come la Urciuoli-De Crescenzo e la Compagnia Italiana. Ed è così che, tra un teatro e l'altro (San Ferdinando, Orfeo, Trianon) conosce Totò, che sarebbe diventato un suo grande amico.

Nel 1914 Eduardo entra stabilmente nella compagnia di Vincenzo Scarpetta, raggiungendo così la sorella Titina; tre anni dopo, con l'ingresso nella compagnia di Peppino, i tre fratelli si ritrovano a recitare insieme. Alla fine della guerra, Eduardo presta servizio di leva nei Bersaglieri (II Reggimento, di stanza a Trastevere) ed è incaricato dal comando di organizzare piccole recite per i soldati, di cui è anche autore oltre che attore e direttore di compagnia. Durante questo periodo matura sempre di più la voglia e la capacità di essere anche autore e regista oltre che attore, giungendo a scrivere nel 1920 la sua «prima commedia vera e propria»[4], Farmacia di turno, atto unico dal finale amaro rappresentato l'anno successivo dalla compagnia di Vincenzo Scarpetta.

Dal fratellastro, Eduardo eredita, tra l'altro, anche quella severità e quel rigore che lo caratterizzeranno per tutta la vita sul lavoro e nei rapporti con gli altri, caratteristiche sovente enfatizzate da una sorta di leggenda ma che hanno senza dubbio un fondo di verità. Vincenzo Scarpetta propone in quell'epoca un repertorio essenzialmente basato sulle commedie del celebre padre oltre a ad altre commedie, a spettacoli di rivista e a sparute incursioni nel cinema, riscuotendo un buon successo di critica e di pubblico.

Dopo la morte di Eduardo Scarpetta (29 novembre 1925), Eduardo va a convivere con una giovane di nome Ninì, per la quale compone alcune poesie d'amore (tra cui E mmargarite, la più antica tra quelle in seguito pubblicate[5]); viene raggiunto quindi dal fratello Peppino, che nel frattempo ha recitato senza alcun positivo riscontro economico, con la Compagnia Urciuoli, e che forse spera di poter anch'egli essere scritturato da Scarpetta. Ma Eduardo decide di tentare l'avventura del teatro in lingua e si fa scritturare nella compagnia di Luigi Carini come attore "brillante" convincendo l'impresario a prendere anche Peppino. Ma Peppino ci ripensa per entrare nella Compagnia Vincenzo Scarpetta come sostituto del fratello.La parentesi dura poco ed Eduardo rientra nei ranghi.

produttore nè finanziatore diretti, e per la quale chiama i fratelli Peppino e Titina a recitare in un sodalizio artistico con Michele Galdieri (amico di Eduardo e figlio del poeta Rocco); nasce così la Compagnia Galdieri-De Filippo, di cui Eduardo è il direttore.
In quel periodo Eduardo conosce Dorothy Pennington ("Dodò"), un'americana di Philadelphia di cui si innamora, nonostante l'avversione della famiglia di lei, e che sposa a Roma con il rito evangelico il 12 dicembre 1928.

Nel 1929, usando degli pseudonimi (R. Maffei, G. Renzi e H. Retti), Eduardo e Peppino mettono in scena lo spettacolo comico Prova generale. Tre modi di far ridere, lavoro in tre atti con prologo ed epilogo di Galdieri

Ma ben presto, Eduardo, Peppino e Titina vengono chiamati dall'impresario della Compagnia Molinari, appena privatasi dell'apporto di Totò che vi aveva recitato, a costituire una ditta autonoma all'interno della compagnia stessa, la Ribalta Gaia, assieme a Pietro Carloni, Carlo Pisacane, Agostino Salvietti, Tina Pica e Giovanni Bernardi. I tre ottennero un buon successo nella rivista Pulcinella principe in sogno.... Ed è all'interno dello spettacolo che viene inserita, come sketch, Sik-Sik, l'artefice magico, tra le commedie più riuscite del periodo giovanile eduardiano, rappresentata al Teatro Nuovo

Eduardo è lanciato verso il successo e collabora anche agli altri copioni della Compagnia Molinari, come autore (con Mario Mangini in Follia dei brillanti e La terra non gira, con Carlo Mauro in La signora al balcone, con Mangini e Mauro in C'era una volta Napoli, Le follie della città, E' arrivato 'o trentuno, S'è 'nfuocato o sole!, Cento di questi giorni e Vezzi e riso).
Dal 1931 finalmente il sogno dei tre fratelli d'arte di recitare assieme in una compagnia tutta loro diventa realtà. Eduardo fonda, raccogliendo l'adesione dei fratelli, la compagnia del Teatro Umoristico "I De Filippo", che debutta con successo a Roma. Dopo alcune recite a Milano, la compagnia è a Napoli al Teatro Kursaal
La commedia forse più nota di Eduardo, Natale in casa Cupiello, portata in scena per la prima volta al Teatro Kursaal di Napoli, il 25 dicembre 1931, segna di fatto l'avvio vero e proprio della felice esperienza della Compagnia del "Teatro Umoristico I De Filippo", composta dai tre fratelli e da attori già famosi o giovani alle prime armi che lo diventeranno (Agostino Salvietti, Pietro Carloni, Tina Pica, Dolores Palumbo, Luigi De Martino, Alfredo Crispo, Gennaro Pisano).

Eduardo inizia a sentire il bisogno di abbandonare il "provincialismo" napoletano della compagnia e, anche spinto da benevoli spunti della critica decide che è giunto il momento per la sua compagnia di operare il decisivo salto di qualità per iniziare a calcare i più prestigiosi teatri italiani. Fu decisivo in tal senso l'incontro casuale con Luigi Pirandello, che ebbe come conseguenze una grande interpretazione dell'opera Berretto a sonagli nei panni di Ciampa (1936) , la messa in scena di Liolà e la scrittura della commedia L'abito nuovo. [11].
Il 20 dicembre 1944 recitò per l'ultima volta, al teatro Diana di Napoli, accanto a Peppino, con il quale esplose il diverbio finale[12]: quindi fondò la nuova compagnia teatrale che si chiamò semplicemente "Il Teatro di Eduardo

Nel 1948 egli acquistò il semidistrutto Teatro San Ferdinando di Napoli, investendo tutti i suoi guadagni nella ricostruzione di un antico teatro ricco di storia, mentre Napoli viveva una triste stagione all'insegna della più assurda speculazione edilizia. Il San Ferdinando fu inaugurato il 22 gennaio 1954 con l'opera Palummella zompa e vola. Eduardo cercò di salvaguardare la facciata settecentesca dello stabile realizzando all'interno un teatro tecnicamente all'avanguardia per farne una "casa" per l'attore e per il pubblico. Al San Ferdinando interpretò le sue opere, ma mise in scena anche testi di autori napoletani per recuperare la tradizione e farne un "trampolino" per un nuovo Teatro.

Adottò il parlato popolare, conferendo in questo modo al dialetto napoletano la dignità di lingua ufficiale, ma elaborò una lingua teatrale che travalicò napoletano ed italiano per diventare una lingua universale. Non vi è dubbio che l'azione e l'opera di Eduardo De Filippo siano state decisive affinché il "teatro dialettale", precedentemente giudicato di second'ordine dai critici, fosse finalmente considerato un "teatro d'arte".

Tra le opere più significative di questo periodo meritano una citazione particolare Napoli milionaria! (1945), Questi fantasmi! e Filumena Marturano[13] (entrambi del 1946), Mia famiglia (1953), Bene mio e core mio (1956), De Pretore Vincenzo (1957), Sabato, domenica e lunedì (1959) scritto apposta per l'attrice Pupella Maggio nei panni della protagonista.

Eduardo non abbandonò mai il suo impegno politico e sociale che lo vide in prima linea anche ad ottant'anni quando, nominato senatore a vita[14] lottò in Senato e sul palcoscenico per i minori rinchiusi negli istituti di pena. Nel 1962 partì per una lunga tournée in Unione Sovietica, Polonia ed Ungheria dove poté toccare con mano la grande ammirazione che pubblico ed intellettuali avevano per lui.

Tradotto e rappresentato in tutto il mondo, combatté negli anni sessanta per la creazione a Napoli di un teatro stabile. Continuò ad avere successo e nel 1963 gli venne conferito il "Premio Feltrinelli" per la rappresentazione Il sindaco del rione Sanità (da cui nel 1997 sarà tratto un film interpretato da Anthony Quinn).

Del 1973 è Gli esami non finiscono mai, allestito con successo per la prima volta a Roma: tale commedia gli permise di vincere il "premio Pirandello" per il teatro l'anno successivo. Dopo aver ricevuto due lauree honoris causa (prima a Birmingham nel 1977 e poi a Roma nel 1980) nel 1981 fu nominato senatore a vita e aderì al gruppo della Sinistra Indipendente.

Quando morì, la camera ardente venne allestita al Senato e dopo le solenni esequie trasmesse in diretta televisiva e il commosso saluto di oltre trentamila persone fu sepolto al cimitero del Verano.











sabato 22 maggio 2010




Titolo Shutter Island
Trama. Shutter Island è un’isola-fortezza, sede del manicomio criminale Ashecliffe. In questo luogo fosco, blindato e popolato solo da menti insane, vengono spediti due agenti federali: Teddy Daniels e Chuck Aule, per indagare sulla scomparsa di una detenuta pluriomicida, fuggita da una cella chiusa dall’esterno. Come sia potuto succedere, data la stretta custodia, se lo chiederanno più volte i due poliziotti, senza darsi una risposta valida. Anche loro due, mentre svolgono le indagini, sono strettamente sorvegliati e obbligati ad osservare rigide regole, quelle che vengono imposte ai degenti da chi dirige il manicomio. I due agenti, prima d’ora, non hanno mai lavorato insieme, anzi si sono conosciuti sulla nave, durante il tragitto che li ha condotti sull’isola. Di essi, cioè delle loro vite e del loro vissuto non si conoscono particolari, ma ogni tanto alla mente di Teddy si affacciano piccoli flash, con i quali si riescono a costruire spezzoni della sua vita Così si apprende che la moglie Dolores, della quale è stato profondamente innamorato e lo è tuttora, è morta in seguito ad un incendio appiccato da un vicino in preda alla follia, che ha partecipato alla seconda guerra mondiale in Europa, facendo parte dell’esercito che ad Auschwitz ha scovato i lager nazisti, che ha guardato in faccia l’orrore compiuto sugli ebrei, che ha sparato sui prigionieri tedeschi in preda alla rivolta e che si è fatto aiutare dall’alcol per superare gli stati d’ansia e d’angoscia. Intanto sull’isola, battuta da una furiosa tempesta, le indagini proseguono, mentre si verificano episodi strani e minacciosi che spingono l’agente Daniels a nutrire forti sospetti sulla conduzione dell’ospedale da parte del dottor Cwley e del suo assistente, dottor Naehring. Un forte uragano impedisce agli agenti anche di allontanarsi dall’isola, sicché intorno ai due aumenta la pressione degli psichiatri inquisitori, accresce l’inquietudine dei pericolosi psicopatici e si moltiplicano le minacciose visioni dell’agente Teddy, fino a farlo stare male. Così, giorno dopo giorno, Teddy e Chuck scivolano, loro malgrado, in un’orribile spirale di terrore, in un’atmosfera raccapricciante, dove la realtà che appare non è così come può sembrare e non è nemmeno il contrario.
Commento
Il film, un thriller di altissima scuola è stato presentato fuori concorso al festival del cinema di Berlino, senza che la critica sia risultata entusiasta. La storia ha preso lo spunto dal romanzo “L’isola della paura”, scritto da Dennis Lehane,”da cui è stata tratta una sapiente sceneggiatura dall’intreccio assolutamente imprevedibile ed originale. Il film spadroneggia bene tra il thriller esasperato e l’horror psicotico. Già dalle prime scene, la paura s’insinua nello spettatore, si sviluppa in modo esponenziale e vi resta attaccata fino alla fine, quando l’agente Daniels si convince delle stranezze del posto e guarda con occhi diversi la pazzia che lo circonda. Il regista dirige, con eccezionale bravura, i personaggi che a loro volta mantengono sulla corda lo spettatore, gli infondono panico, lo prendono in giro e lo confondono fino alla fine. Una pellicola abbastanza equilibrata, sia nelle scene ad effetto che in quelle di approfondimento, se si escludono, però, le ripetute rievocazioni oniriche e le frequenti apparizioni della moglie morta che spesso interrompono il ritmo narrativo e frenano l’apprensione. Il nucleo del film si basa su due figure concettuali: il faro e l’assedio, che sono, poi, la metafora della colpa e della sua espiazione. A raccontare il delirio di quest’isola, della solitudine angosciosa in cui annega, del circoscritto manicomio criminale, subdolamente recintato dal filo spinato, del paesaggio roccioso con alte scogliere, delle guardie che si confondono con gli infermieri e viceversa, non sono solamente i due agenti federali con gli spaventosi malati di mente, ma anche la natura furiosamente in tempesta, i colori lividi di essa e la musica che devasta, senza addolcire nessuna scena . Nella visione si susseguono, in maniera precisa scene di autentico terrore, a volte anche liberatorio, con altre assolutamente raccapriccianti, come quella della miriade di grossi topi che viene fuori dalla grotta rocciosa esplorata dal protagonista, per invadere lo schermo e con esso la vista del disgustato spettatore. Una cattiveria inutile, anche se giustificata, infatti dal regista è stata usata per rappresentare il delirio “tremens” di Teddy, ormai in crisi di astinenza dal suo arrivo sull’isola.
Interpreti
Una prova magistrale, questa, di Leonardo Di Caprio, che ha abbandonato definitivamente la sua aria di sbarbato bamboccio, dagli occhi perennemente innocenti e spalancati su di una realtà non sempre compresa ed è diventato un uomo. Sì, un uomo, col suo carico di esperienze, con un’ intensità espressiva sottolineata bravamente, in tutti i passaggi del film, tanto che, più volte, la macchina da presa si è attardata sulla sua faccia e non inutilmente. Anche le lacrime e la disperazione non hanno nulla di patetico- sentimentale ma è pura disperazione di chi si accorge della diversità circostante e nulla può. Buone le caratterizzazione dell’ambiguo Ben Kingsley (l’indimenticato Gandi) e del mellifluo Max von Sydow, tutte le altre, precise, minuziose e fisicamente adatte per descrivere i personaggi coinvolti nell’orrore da Mark Rufolo, Miscelle Williams, Patricia Clarkson,a Emily Mortimer,Ted Levine, Joseph Mc Kenna e Ruby Jerins.

Regista
Martin, Marcantonio, Luciano Scorsese, all’anagrafe, è nato a New York il 17 novembre del 1942 di origini italiane, essendo i suoi nonni emigrati, all’inizio del XX secolo, da Polizzi Generosa e da Ciminna, provincia di Palermo. Fin da piccolo coltiva la passione per il cinema, complice l’asma di cui da ragazzo è stato sofferente e gli ha impedito qualsiasi attività sportiva . Non possedendo macchina da presa disegna storyboard di film immaginari. Nel 1956 studia per diventare prete ma presto cambia idea e si iscrive al corso di cinematografia della New York Universty, dove dirige i suoi primi cortometraggi. Il primo successo è del 1973, con il film”Mean Streets- Domenica in chiesa e lunedì all’inferno,” l’unico Oscar come miglior regista lo riceve nel 2007 con il film” The Departed”, mentre il 17 gennaio 2010 ha ricevuto il Golden Globe alla carriera .
Le frasi del film
--“Meglio morire da persona perbene che vivere da mostro”
********
--“Dove sono i bambini?”
--“Sono a scuola”
--“Oggi è sabato e a scuola non vanno”
--“Nella mia scuola si”
Spunti di riflessione
A volte la pazzia ci sembra realtà e viceversa la realtà, a volte, ci sembra pazzia. Così la nostra mente altalenante, a volte, può divagare……
Regia: Martin Scorsese
Cast: Leonardo Di Caprio, Mark Rufolo, Miscelle Williams, Patricia Clarkson,a Emily Mortimer,Ted Levine, Joseph Mc Kenna e Ruby Jerins.

Giudizio

Ottimo

Maria Serritiello

SHUTTER ISLAND LA MIA RECENSIONE DI QUESTA SETTIMANA
TRATTA DA (www.lapilli.eu)



mercoledì 19 maggio 2010






« La poesia non è una cosa morta, ma vive una vita clandestina. »
(Edoardo Sanguineti )

« In cinquant'anni molte cose sono profondamente cambiate, la poesia è cambiata, ma non è cambiato il compito dei poeti, quello di disegnare il profilo ideologico di un'epoca »
(Edoardo Sanguineti )

Edoardo Sanguineti (Genova, 9 dicembre 1930 – Genova, 18 maggio 2010) è stato un poeta e scrittore italiano, che ha fatto parte del Gruppo 63.

PRIMA DI TESTARE LA SUA BIOGRAFIA, QUALE DOVEROSO OMAGGIO AL GRANDE INTELLETUALE DEL SECOLO NOVECENTO CHE E' STATO,VOGLIO RICORDARE COME HO CONOSCIUTO PERSONALMENTE EDUARDO SANGUINETI.
SIAMO A CAVALLO TRA IL '68 E IL'70,GLI ANNI FORMATIVI DI UN'INTERA GENERAZIONE CHE HA LA MIA STESSA ETA'. ALL' UNIVERSITA DI SALERNO FREQUENTAVO LA FACOLTA' DI PEDAGOGIA.A QUEL TEMPO L'UNIVERSITA' DELLE MIA CITTA' ERA UNA TAPPA OBBLIGATA PER TUTTI GLI ACCADEMICI CHE POI TRASMIGRAVANO VERSO I PIU' PRESTIGIOSI ATENEI DELLA PENISOLA.FU COSI' CHE NOI ALUNNI POTEMMO USUFRUIRE DI LEZIONI DA GROSSI CALIBRI CHE RISPONDEVANO AL NOME DI CLOTILDE PONTECORVO,ANNA MENZINGHER,FRANCO PITOCCO,RAFFELE SIMONE ED EDUARDO SANGUINETI.UN'ESPERIENZA CULTURALE CHE NESSUN ATTUALE "MASTER" POTREBBE REGGERE IL CONFRONTO.CON IL PROFESSORE SANGUINETI, PER ALTRO CONTRORELATORE ALLA MIA TESI DI LAUREA,HO SVOLTO L'ESAME DI LETTERATURA CONTEMPORANEA. LA PROVA PREVEDEVA ANCHE UN'ANALISI CRITICA DI UN ROMANZO CONTEMPORANEO ED IO SCELSI "GLI INDIFFERENTI" DI ALBERTO MORAVIA. IL 30 CHE MI GUADAGNAI L'HO SEMPRE CONSIDERATO COME UNA MADAGLIA DA APPUNTARE SUL PETTO.ERA MAI STATO POSSIBILE CHE EDUARDO SANGUINETI TROVASSE LA MIA PREPARAZIONE OTTIMA? SI,FU, PROPRIO, COSI'.NON HO MAI PIU'ASCOLTATO UNA LEZIONE D'ITALIANO DELL SUO LIVELLO,PARLAVA,DIO QUANTO PERLAVA, CON QUEL SUO TONO PACATO, SENZA MAI,DICO MAI, RIPETERE UN VOCABOLO PRECEDENTEMENTE USATO.POSSEDEVA UN LINGUAGGIO ESTENSIVO ALL'INFINITO,BELLAMENTE FORBITO,ESTREMAMENTE CHIARO.AVEVA NATURALE IL FASCINO DELLA RETORICA,LA LUSINGA DELLA PAROLA,LA MAGIA DEL RACCONTO.MI SEMBRA ANCORA DI ASCOLTARLO, EPPURE DI ANNI NE SONO PASSATI!!FUMAVA A RIPETIZIONE TANTO DA ACCENDERE LA NUOVA SIGARETTA AL MOZZICONE APPENA FINITO.L'AULA ERA SEMPRE INVASA DAL FUMO,COSTANTEMENTE AVVOLTA DA UNA NEBBIA AZZURROGNOLA MA NIENTE MI SCHIODAVA DI LA',BEVEVO OGNI SUA PAROLA ,OGNI SUO CONCETTO,CONSAPEVOLE DELL'OCCASIONE IRRIPETIBILE DA SFRUTTARE FINO IN FONDO.DI LUI,GELOSA CONSERVO UN ALTRO RICORDO:ERANO I PRINCIPI DI LUGLIO DEL '71 E IL 30 DELLO STESSO MESE MI SAREI DOVUTA LAUREARE,QUANDO IN SEGRETERIA SI ACCORSERO CHE A TUTTI I DOCUMENTI IN REGOLA MANCAVA PROPRIO LO STATINO D'ESAME DI LETTERATURA CONTEMPORANEA,FATTO CON IL PROF.RE EDUARDO SANGUINETI E SENZA IL QUALE NON MI SAREI POTUTA LAUREARE E LA QUAL COSA NON ME LA POTEVO PROPRIO CONCEDERE.MI DISSERO CHE POTEVO PROVARE A RINTRACCIARLO A CASA,SE NON ERA GIA'PARTITO PER LE VACANZE.DI CORSA MI LANCIAI VERSO QUELL'UNICA SPERANZA CHE MI AVREBBE PERMESSO DI NON PERDERE LA SEDUTA DI LAUREA.RICORDO DI ESSERE ARRIVATA TRAFELATA SOTTO LA SUA CASA,DOPO AVER CORSO DA UN CAPO ALL'ALTRO DELLA CITA'.IL PROFESSORE ABITAVA IN UN POSTO PANORAMICISSIMO MA ALL'INIZIO DELLA COSTIERA. TROVAI IL PORTIERE A SBARRARMI IL PASSO, A CERCARE D'IMPEDIRMI DI NON DISTURBARE IL PROFESSORE MA QUASI SUBITO DOVETTE ARRENDERSI,PERCHE'IO ERO DISPOSTA ANCHE A MENAR DI MANI PUR DI ARRIVARE AL QUINTO PIANO DI CASA SANGUINETI.ED ECCOMI DA LUI, AFFANNATA,PER I CINQUE PIANI A PIEDI,LE BELLE CASE NON HANNO MAI L'ASCENSORE ED EMOZIONATA PERCHE'NON C'ERA LA CATTEDRA A SEPARARCI,EPPURE QUALCOSA C'ERA A DIVIDERCI,ACCATASTATE SUL PAVIMENTO, UNA SELVA DI VALIGE FACEVANO BELLA MOSTRA.MI ACCOLSE IN MANIERA INFORMALE NEL DISORDINE CHE PRECEDE LA PARTENZA, MENTRE RISPONDEVA ALLA MOGLIE DALL'ALTRA STANZA, GIA'CON LE PERSIANE SERRATE, LE CHIAVI IN MANO PER ANDARE VIA,MA GENTILISSIMO E DISPONIBILISSIMO A TOGLIERMI DA QUELL'IMPACCIO.FIRMO' UNA CARTA CON LA QUALE CONFERMAVA L'ESAME FATTO,AVEVA CAPITO CHE CON QUEL SUO GESTO MI AVREBBE PERMESSO NON SOLO DI LAUREARMI MA IN TEMPO UTILE, PRODURRE DOMANDE DI SUPPLENZA PER L'INSEGNAMENTO, IN QUELLO STESSO ANNO. FU COSI' CHE IL 30 LUGLIO 1971 MI LAUREAI E IL 15 DICEMBRE EBBI L'INCARICO ANNUALE IN PROVINCIA DI POTENZA, ESATTEMENTE NELLA SCUOLA MEDIA "DANTE ALIGHIERI" DI VIETRI DI POTENZA.ANCHE ALLORA PER I NEO LAUREATI ERA DIFFICILE LAVORARE SE NON SI SPOSTAVANO DALLA CITTA'DI ORIGINE.ALTRE VOLTE HO RIVISTO IL PROFESSORE A SALERNO,DI TANTO IN TANTO VENIVA E SEMPRE VOLENTIERI NELLA NOSTRA CITTA',DOPO ESSERE ANDATO VIA NELLA SUA GENOVA E PER ASSISTERE A MANIFESTAZIONI CULTURALI E PER GODERE DI VACANZE SPECIALI NELLA NOSTRA COSTIERA. L'ULTIMA VOLTA CHE L'HO RIVISTO E' STATO TRE ANNI FA, A RAITO,D'ESTATE , AI CONCERTI DI VILLA GUARIGLIA,UN POSTO DI ASSOLUTA BELLEZZA.MI AVVICINAI CON DEFERENZA E TIMIDAMENTE GLI REGALAI UNA DELLE MIE RACCOLTE POETICHE SULLA COSTIERA,IN RICORDO DELLE BELLE GIORNATE SALERNITANE.SE LA PRESE CON PIACERE,CORTESE COME SEMPRE E SORRIDENDO.AH,IL SUO SORRISO,SU QUELLA PICCOLA
BOCCA DAL MENTO APPUNTITO CHE NON MOSTRAVA MAI I DENTI E CHE SI ALLARGAVA MISERIOSA SOTTO IL NASO! ECCO DI LUI HO UN RICORDO VIVO.
(MARIA SERRITIELLO)


Figlio unico di Giovanni, impiegato di banca, nato a Chiavari e di Giuseppina Cocchi torinese, si trasferì all'età di quattro anni a Torino, città nella quale il padre aveva trovato un nuovo impiego come amministratore cassiere presso la tipografia Doyen & Marchisio. Era ancora bambino quando, durante una normale visita di controllo, gli venne diagnosticata una grave malattia cardiaca. La diagnosi si rivelò in seguito errata ma questo episodio ha condizionato per lungo tempo lo stile di vita del poeta.

A Torino abita uno zio di Edoardo, Luigi Cocchi, musicista e musicologo, che aveva conosciuto Gobetti e Gramsci e aveva collaborato alla rivista L'Ordine Nuovo e che sarà il primo punto di riferimento per la formazione del giovane. A Bordighera, dove il giovane trascorre le vacanze estive, Edoardo frequenta il cugino Angelo Cervetto, appassionato di musica che gli trasmette la passione per il jazz.

Nel frattempo, in seguito alla pertosse che aveva contratto, il giovanissimo Edoardo viene visitato da uno specialista che individua l'errore diagnostico del quale era stato vittima. Edoardo è sanissimo e da quel momento deve fare intensi esercizi fisici per recuperare il tono muscolare. Ginnastica, bicicletta, tennis saranno da quel momento gli sport che dovrà intensamente affiancare allo studio anche se deve rinunciare alla sua primaria ispirazione: quella di dedicarsi alla danza.

1946-1950: gli anni del Liceo e delle prime conoscenze [modifica]
Nel 1946 Edoardo si iscrive al Liceo Classico Liceo classico Massimo d'Azeglio e avrà come insegnante di italiano Luigi Vigliani. A lui dedicherà il saggio su Gozzano e gli farà leggere alcune poesie che saranno in seguito parte di Laborintus.

In terza liceo, Sanguineti avrà come docente di storia e filosofia Albino Galvano, pittore, critico, storico d'arte, filosofo amante della psicanalisi e interessato alle avanguardie.

In questi anni il giovane frequenta il mondo "culturale" torinese, si reca a mostre, ascolta concerti, conosce la pittrice dell'avanguardia Carol Rama, il filologo classico Vincenzo Ciaffi, lo studioso di lingue e culture germaniche Vittorio Amoretti e il romanziere Seborga che frequentava anche a Bordighera e che lo indirizzerà alle letture di Artaud.

La stesura di Laborintus [modifica]
Nel 1951 Sanguineti inizia a scrivere l'opera che si chiamerà "Laborintus" e, come egli stesso dice nei Santi Anarchici, scrive per una piccola comunità di lettori: "Eravamo in cinque. E i miei quattro lettori erano una ragazza, un aspirante filologo classico e due altri studenti, uno di farmacia e l'altro di medicina".

Conosce intanto Enrico Baj che crea il manifesto della pittura nucleare e da vita al Nuclearismo.

Il 1953 è l'anno della morte della madre ma anche quello dell'incontro con Luciana che sposerà il 30 settembre del 1954. Sempre nel 1954, in occasione della recensione di Sanguineti sulla rivista torinese "Galleria" dell'Antologia critica del Novecento, conosce Luciano Anceschi che, dopo aver letto Laborintus decide di darlo alle stampe.

Alcune poesie di Laborintus erano intanto apparse su "Numero", una rivista fiorentina diretta da Fiamma Vigo, alla quale era stato invitato a collaborare da Gianni Bertini, un pittore pisano incontrato da Sanguineti nello studio di Galvano Della Volpe.

Nel 1955 nasce il primo figlio dello scrittore: Federico

1956-1960: la pubblicazione, la laurea, la carriera universitaria [modifica]
Il 1956 è l'anno della pubblicazione, a cura di Luciano Anceschi, di Laborintus ed anche l'anno della laurea. Sanguineti infatti, che era iscritto presso l'Università di Torino alla Facoltà di Lettere, il 30 ottobre discute una tesi su Dante con il professor Giovanni Getto, tesi che verrà pubblicata nel 1961 con il titolo Interpretazione di Malebolge.

Nasce in quel periodo «Il Verri» redatto da Pagliarani e da Porta al quale Sanguineti collabora intensamente.

Il 1º novembre 1957 Sanguineti si offre come assistente volontario presso la cattedra di Getto, insegnando contemporaneamente italiano nel triennio del liceo classico di un istituto privato diretto da suore domenicane.

Nel 1958 nasce il suo secondo figlio: Alessandro.

Risale al 1961 la conoscenza da parte del poeta di Luciano Berio che gli chiede di collaborare per la Piccola Scala con una anti-opera. Nascerà da questa collaborazione Passaggio che verrà rappresentato nel 1963.

Sempre nel 1961 esce l'antologia dei Novissimi con prefazione di Giuliani che comprende le opere di Giuliani stesso, di Sanguineti, di Pagliarani, di Balestrini e di Porta.

Nasce nel 1962 il terzo figlio, Michele e nel 1963 si istituisce il Gruppo 63 a Palermo che sarà "il risultato dei legami e dei contatti culturali maturati nei precedenti anni"[4].

Nel frattempo Sanguineti, che era diventato assistente incaricato e in seguito assistente ordinario del professor Giovanni Getto, nel 1963 consegue la libera docenza e ha come presidente di commissione Mario Fubini.

In questo periodo frequenterà, in tre occasioni, anche le Décades di Cerisy: la prima volta invitato da Ungaretti, al quale era dedicato il convegno, la seconda volta invitato dal gruppo di Tel Quel, per il romanzo sperimentale e, alla fine degli anni sessanta, per il cinema.

Nel 1965 otterrà una cattedra di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso la facoltà di lettere dell'università di Torino.

Nel 1968 si scioglie il Gruppo 63 (e nel '69 termineranno anche le pubblicazioni della rivista "Quindici"). Nello stesso anno Sanguineti si candida alle elezioni per la Camera nelle liste del PCI ma deve trasferirsi a Salerno con la famiglia come incaricato all'università.

A Salerno Sanguineti terrà due corsi, quello di Letteratura italiana generale e quello di Letteratura italiana contemporanea e nel 1970 diventerà professore straordinario

Nel 1971 il poeta vive per sei mesi a Berlino con la famiglia, nel 1972 muore il padre, nel 1973 nasce la figlia Giulia e diventa, sempre a Salerno, professore ordinario.

Nello stesso anno inizia la collaborazione a "Paese Sera".

Nel 1974 ottiene una cattedra di Letteratura italiana presso l'Università di Genova dove si trasferisce con la famiglia e nel 1975 inizia a collaborare con il "Giorno".

Nel 1976 Sanguineti inizia a collaborare con l'"Unità", e nel 1980 con il "Lavoro" di Genova. Sono questi anni di grande impegno politico: viene infatti eletto consigliere comunale a Genova (1976 - 1981) e deputato della Camera (1979 - 1983), come indipendente nelle liste del PCI.

Dal 1981 al 1983 dirige la prestigiosa rivista Cervo Volante assieme ad Achille Bonito Oliva. In redazioni ha giovanissimi poeti di talento come Valerio Magrelli e Gian Ruggero Manzoni.

Numerosi sono i viaggi fatti in questo periodo sia in Europa che fuori dell'Europa (Unione Sovietica, Georgia e Uzbekistan, Tunisia, Cina, Stati Uniti, Canada, Messico, Colombia, Argentina, Perù, Giappone, India).

Nel 1996 viene nominato dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine di gran merito della Repubblica Italiana.

Sanguineti, che ha lasciato nel 2000 l'Università e ha ricevuto numerosi premi letterari tra i quali la Corona d'oro di Struga, è membro e fondatore della "Accadémie Européenne de poésie"] (Lussemburgo) e membro consulente del "Poetry International" (Rotterdam). Precedentemente Faraone poetico dell'Istituto Patafisico di Milano, dal 2001 è Satrapo Trascendentale, Gran Maestro O.G.G. (Parigi) e presidente dell'Oplepo.


Il 5 giugno 2006 al poeta è stato assegnato il Premio Librex Montale[6].

È diventato presidente onorario dell'associazione politica Unione a Sinistra[7] ed è stato candidato alle primarie dell'Unione per l'elezione del sindaco di Genova, tenutesi il 4 febbraio 2007, sostenuto da: Partito dei Comunisti Italiani, Partito della Rifondazione Comunista e Unione a Sinistra, ottenne il 14% dei voti. Le primarie sono state vinte da Marta Vincenzi, candidata de L'Ulivo (60%). Secondo è arrivato Stefano Zara.

Il 18 maggio 2010 Edoardo Sanguineti viene ricoverato d'urgenza a causa di un aneurisma che provocava da diversi giorni fitte all'addome. Alle 13:30 Sanguineti morì, all'età di 79 anni, ancora in sala operatoria. La procura ha aperto un'inchiesta per omicidio colposo a carico di ignoti.




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martedì 18 maggio 2010



LA MIA CASA,IL MIO GIARDINO E LA MIA BELLA ROTT,KORA

domenica 16 maggio 2010



LA MIA RECENSIONE DELLA SETTIMANA

Titolo. Il figlio più piccolo.
Luciano Baietti, un immobiliarista di Roma, sposa frettolosamente, in una chiesa un po’ appartata di Bologna, Fiamma, una donna molto bella ma con un temperamento fragile e sognante. Da lei ha avuto, oltre a due bei maschietti, Paolo e Baldo, anche due appartamenti in dote! La cerimonia si conclude velocemente, tra brindisi finti e piatti di carta e Luciano, con il riso augurale ancora tra i capelli, si allontana assieme al suo socio, dopo aver a malapena salutato i bambini. La sposa rimane sola sul sagrato, ma è già un’ immagine sfocata sia per lui, cinico e spietato uomo d’affari, che per Sergio Bollino, il socio, un diabolico stratega del male. Di Luciano e della sua ascesa economica, Fiamma e figli non ne sapranno più nulla, essi vivono alla meno peggio, con Paolo, il figlio più grande, che si arrabatta a lavorare in una tavola calda, Baldo che frequenta il “Dams”, inseguendo sogni di regia cinematografica e Fiamma, più svagata che mai che canta accompagnandosi con la chitarra e con l’amica Sheyla, in un patetico duo artistico dal sapore nostalgico, post figli dei fiori. Dal canto suo Luciano, con i soldi della moglie e i consigli fraudolenti del socio, vive in una villa lussuosissima della campagna romana e conduce la bella vita, essendo divenuto uomo immagine, per traffici illeciti e spudorate raccomandazioni, presidente della Baietti Interprise. Paolo, il più grande dei figli di Luciano ha covato un odio smisurato per quel padre che nemmeno ricorda e che li costringe a vivere nell’indigenza, inseguiti dai creditori, mentre Baldo, generoso, ingenuo, pingue e credulone ha sempre avuto nostalgia di quell’ inesistente figura paterna. Ed è proprio a quest’ultimo, che lo spietato padre si rivolgerà per trovare un prestanome, dal momento che i suoi affari sono in cattive acque. E Baldo…..
Commento
Un film, ma è un film “Il figlio più piccolo”, o la realtà rivisitata dei nostri giorni? Nella trama che appare crudelmente vera, si può scorgere la veloce ascesa economica del protagonista, tanto simile a quella dei “furbetti del quartierino”, primi attori della brutta cronaca degli ultimi tempi e capirne il sistema oltre che apprendere il metodo. Una pellicola amara, questa di Pupi Avati, che raccoglie i difetti di un’Italia volgare, cialtrona, infingarda. I personaggi si presentano al pubblico, che più non si meraviglia del loro stile di vita, con amorale disinvoltura, consapevoli di poterla fare franca comunque a spesa degli altri e come nel caso di Luciano Baietti, a danno, una volta in più, della moglie Fiamma e di Boldo, il figlio più piccolo. Un triste ritratto, un fosco scenario da un po’ in posa nel nostro paese, una pagina di cronaca per immagini, tratta dai tanti giornali letti, è ciò che sapientemente Pupi Avati ha voluto portare alla ribalta, per farci pensare, per farci riflettere, senza essere invasivo, tant’è che sceglie nella parte del protagonista, Christian De Sica. Un film, dunque, sul bel Paese, sugli affari loschi che producono ricchezza, sui finti ricchi opulenti e cafoni, sui legami che intercorrono tra loro per intrecciare affari e sul cinismo che li muove. Un film, che malgrado non abbia la forza incisiva della denuncia, non può non scuotere l’animo dello spettatore da quella preoccupante apatia nella quale è precipitato e con la quale giustifica ogni azione indecente.
Interpreti
Un plauso va a Christian De Sica, che ha saputo interpretare, in modo convincente, il cinico e meschino Luciano Baietti, allontanandosi dagli schemi impudenti, esagerati e volgari dei film natalizi. La sua è una prova non eccessiva, per la prima volta drammatica e nel finale finanche patetica. La faccia giusta di un imbroglione amorale e privo di scrupoli, quella di De Sica, che per mantenersi una vita dispendiosa e grassa non si fa scrupolo di sacrificare e compromettere per sempre il futuro del figliolo più piccolo. Anche Luca Zingaretti, ha dato una buona prova interpretativa, Sergio Bollino è il socio risolutivo, ipocondriaco, l’anima nera di Luciano, dall’intelligenza pronta ed arguta, applicata spavaldamente al crimine. Baffi e capelli riccioluti, nella prima parte del film, non cancellano del tutto l’immagine di “Montalbano”, per cui si compie uno sforzo immane a non consideralo dall’altra parte, cioè dalla parte di chi il crimine lo combatte, “Montalbano”, per l’ appunto, il commissario creato dalla fantasia di Andrea Camilleri. Laura Morante, Fiamma, l’inconsistente e svagata prima moglie di Luciano, caratterizza molto bene il personaggio, del resto è sempre puntuale e convincente ogni volta. Nel film, la donna, un po’ a sostegno e un po’come partner di canto, ha un’amica americana, Sheyla, in lei si stenta a riconoscere un’invecchiata (ci si augura per il trucco!) Sydne Rome, una pallida immagine di quella che fu la rampante testimonial del fitness degli anni ’80. Nicola Nocella, il figlio più piccolo, nella sua prova d’esordio, convince. Il giovane, somigliantissimo a John Belushi, classe 1981, nato a Terlizzi, in provincia di Bari, si è diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia ed è stato allievo di Giancarlo Giannini. Scelto per caso da Pupi Avati, il quale a due giorni dall’inizio del film non aveva ancora chi interpretasse Baldo, si è ricordato di aver visto Nocella, seduto su di una panchina del centro sperimentale e l’ha contattato.
Il regista
Pupi Avati, all’anagrafe Giuseppe Avati è nato a Bologna il 1938. All’inizio tenta la carriera nel jazz, infatti dal 1959 al 1962 fa parte della Doctor Dixie Jazz Band, ma rinuncia dopo l’ingresso nella band di Lucio Dalla. Per quattro anni lavora nella Findus, l’azienda dei surgelati, come dirigente, poi resta folgorato dalla visione del film Otto e Mezzo di Fellini e decide di passare alla regia. In questo film cerca di svezzare Christian De Sica, infossato da troppo tempo in film grossolani e ruoli burleschi, come ha già fatto con Ezio Greggio e Diego Abatantuono. “Il Figlio più piccolo”, è il film più pessimista di Avati, quello in cui descrive senza via d’ uscita l’odierna società, per la connessione stretta che la corruzione ha con il potere.

Spunti di riflessione
Non ci sono arricchimenti facili e vita esagerata e dispendiosa, se ogni giorno ci si alza per andare a lavorare. Per lavorare s’intende quel lavoro che fisicamente si vede sul lavoratore!

Regia: Pupi Avati

Cast: Christian De Sica, Laura Morante, Luca Zingaretti,Nicola Nocella, Massimo Bonetti, Sydne Rome

Musica: Riz Ortolani, classe 1931, cinque Davide di Donatello, di cui quattro ricevuti per colonne sonore, scritte per i film di Pupi Avati, oltre che una luminosa carriera.

Giudizio
Distinto

Maria Serritiello

Tratta da(www.lapilli.eu)





venerdì 14 maggio 2010



NEI GIORNI SCORSI E PRECISAMENTE L'OTTO MAGGIO,A TORRE DEL GRECO,NELL'AMBITO DELLA FESTA DELL'EUROPA,ORGANIZZATA DALL'ASSOCIAZIONE CULTURALE "PROMETEO", HO CONOSCIUTO PERSONALMENTE "ELIO VELTRI",CON IL QUALE HO AVUTO UNA PIACEVOLE CONVERSAZIONE.
CONFESSO,NON LO CONOSCEVO NE' SAPEVO NULLA DELLA SUA VITA PROFESSIONALE,MA LA SUA FISIONOMIA NON MI ERA DEL TUTTO NUOVA. A TORRE DEL GRECO, INSIEME AL MAGISTRATO ANTONIO LAUDATI, E DINANZI AD UN PUBBLICO GIOVANILE SILENZIOSO ED INTERSSATO HA PRESENTATO IL LIBRO, SCRITTO A QUATTRO MANI, APPUNTO, CON LAUDATI, "MAFIA PULITA".

PER COLMARE LA MIA LACUNA, POSTO LA BIOGRAFIA DI ELIO VELTRI E LA SUA PRODUZIONE LETTERARIA. Ah,NATURALMENTE, MI SONO COMPRATA IL LIBRO CHE LEGGERO'CON INTERESSE PER POI SCRIVERE UNA CURATA RECENSIONE.

Elio Veltri (vero nome Cornelio) (Longobardi, 8 maggio 1938) è un giornalista e politico italiano. Celebri sono le sue inchieste sulla legalità del sistema economico e politico italiano.

Carriera
Laureato in Medicina e chirurgia all'Università di Pavia, ha insegnato come libero docente nel suo ateneo. Dal 1973 al 1980 è stato sindaco di Pavia nelle liste del Partito Socialista Italiano.

Nel 1981, in aperta polemica sulla questione morale con Bettino Craxi (allora segretario del partito), fu espulso dal Comitato Centrale del PSI e dall'intero partito proprio per volere di Craxi, assieme all'ex deputato socialista Franco Bassanini, all'ex-vicesegretario del partito Tristano Codignola e ad altri esponenti che avevano firmato un manifesto critico nei confronti della segreteria.

Questi dirigenti costituirono poi la Lega dei Socialisti, ma dopo poco tempo si candidarono (non Tristano Codignola deceduto nello stesso 1981) -durante le elezioni politiche del 1983- nelle liste del Partito Comunista Italiano. Veltri però non fece lo stesso, e per 15 anni sparì dalla politica pubblica (tranne una breve parentesi in cui si candidò alle elezioni europee del 1989 con Democrazia Proletaria).

Si è interessato particolarmente alla giustizia nel periodo di Tangentopoli, durante il quale scrisse il saggio Milano degli scandali.

Alle elezioni del 1996 venne eletto alla Camera dei deputati nelle file dell'Ulivo -lista PDS-, dove si evidenziò come membro delle Commissioni Antimafia, Giustizia e Anticorruzione. Nel 1997 ha fondato l’associazione Democrazia e Legalità che pubblica l'omonimo giornale on-line uno dei più frequentati d'Italia. Nel 2001 insieme ad Enzo Marzo e Paolo Sylos Labini ha fondato Opposizione Civile. È stato fondatore dell’Italia dei Valori, la lista Di Pietro di cui divenne coordinatore nell'esecutivo. Si è in seguito allontanato dal partito, mostrandosi critico nei confronti di alcune condotte dell'ex magistrato, riportate anche nel libro "Italiopoli", scritto da Oliviero Beha.

Attualmente è membro della Presidenza Nazionale dell'associazione "Il Cantiere - per il bene comune" fondata nel 2004 da Achille Occhetto, Paolo Sylos Labini, Giulietto Chiesa, Diego Novelli, Antonello Falomi e lo stesso Veltri. Nel giugno 2007 fonda la Lista Civica dei Cittadini per la Repubblica (nota anche come Lista Civica Nazionale) di cui è promotore insieme a Oliviero Beha.

Opere di Elio Veltri

Milano degli scandali, (1991) con Gianni Barbacetto - Laterza
Da Craxi a Craxi, (1992) - Laterza
Manifesto per un Paese normale, (1995) Baldini & Castoldi
L'odore dei soldi, (2001) con Marco Travaglio - Editori Riuniti
Le toghe rosse, (2002) Baldini & Castoldi
La legge dell'impunità (2004) l'Unità
Il topino intrappolato, (2005) Editori Riuniti
Il governo dei conflitti, (2006); con Francesco Paola - Edizioni Longanesi





giovedì 13 maggio 2010




Con auto blu in Italia si definisce un automezzo utilizzato per funzioni di rappresentanza pubbliche.

L'accostamento deriva dal fatto che il colore usato usualmente per queste automobili era il blu.

Il veicolo può essere di proprietà, in leasing o in noleggio a Stato, Regioni, Province, Comuni, Municipalità, Asl, Comunità montane, Enti pubblici, Enti pubblici non economici e Società misto pubblico-private, Società per azioni a totale partecipazione pubblica.

In Italia girano attualmente 626.760 vetture a carico pubblico. Nel 2005 erano solo 198.596, maggio 2007 erano 574.215.

Classifica globale 2009
1.Italia 624.330
2.Stati Uniti d'America 70.000
3.Francia 63.000
4.Regno Unito 56.000
5.Germania 55.000
6.Turchia 51.000
7.Spagna 42.000
8.Giappone 30.000
9.Grecia 30.000
10.Portogallo 22.000
NON CI SONO PAROLE!!

venerdì 7 maggio 2010




Giorgio Napolitano a Salerno in autunno.


Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha indirizzato una cordiale lettera al Sindaco di Salerno Vincenzo De Luca che aveva invitato il Capo dello Stato a presenziare alla prima rappresentazione de “Il Barbiere di Siviglia” presso il Teatro Municipale Giuseppe Verdi di Salerno.
Nella lettera, il Presidente della Repubblica rinnova il suo apprezzamento per l’attività amministrativa del Comune di Salerno e conferma l’impegno a visitare la città nel prossimo autunno.


dalle ore 21:00 - Al Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Salerno, l'8, il 10 ed il 17 maggio, arriva "Il Barbiere di Siviglia", per la regia di Lorenzo Amato. E' un'opera buffa in due atti che il compositore pesarese Gioacchino Rossini, allora già conosciuto al grande pubblico per il successo dei lavori lirici "L'italiana in Algeri" (1813) e "Il turco in Italia" (1814), scrisse all'inizio del 1816, in poco meno di tre settimane, per le celebrazioni carnevalesche del teatro Argentina di Roma.

Il componimento, su libretto di Cesare Sterbini, mutua il proprio soggetto dalla commedia "Le barbier de Séville ou La précaution inutile" di Pierre-Augustin-Caron de Beaumarchais (Parigi, 1775), già oggetto di varie versioni musicali.

La vicenda è ambientata nella città di Siviglia, nel tardo Settecento. Qui il maturo don Bartolo tiene segregata in casa la pupilla Rosina, che egli desidererebbe sposare. Il barbiere Figaro, fantasioso e pieno di risorse, aiuta l'innamorato conte di Almaviva a conquistare la giovane, che ricambia i suoi sentimenti. Dopo arditi travestimenti, scambi di biglietti, colpi di scena e la corruzione di don Basilio, maestro di musica della fanciulla, Figaro e Almaviva riescono a compiere il loro progetto: i due giovani innamorati si sposano, don Bartolo riceve in dono la dote della ragazza e l'opera si chiude nell'allegria generale.

Nel cast vi saranno Francesco Meli nel ruolo del conte d'Almaviva, Bruno Praticò in quello di Bartolo, Elena Belfiore in quello di Rosina, Franco Vassallo in quello di Figaro, Lorenzo Regazzo in quello di Don Basilio; Francesca Franci sarà Berta e Armando Gabba sarà Fiorello. Sul palco anche l'Orchestra Filarmonica Salernitana "Giuseppe Verdi" ed il Coro del Teatro dell'Opera di Salerno.


giovedì 6 maggio 2010






La fisica dell’acqua

All’apparenza Alessandro, il protagonista del film, è un bambino come tanti della sua età. Ha otto anni, va a scuola, ha parecchi amichetti, tra cui Filippo in particolare, compie gli anni e la madre lo festeggia circondato dagli amici di classe. Vive solo con Giulia, questo il nome della madre, essendo morto il padre anni addietro, quando aveva appena un anno, in una villa abbastanza spaziosa, circondata dall’acqua di un lago. Il rapporto tra madre, un’insegnante di nuoto, e figlio sfila in modo perfetto, infatti tra di loro c’è sintonia, complicità, oltre che un grande attaccamento. Nel profondo incoscio del piccolo, però, si cela un agghiacciante segreto, legato alla morte del padre ma ancora non riesce ad affiorare alla sua memoria. Un giorno a rompere l’equilibrio tra i due, proprio mentre festeggia il suo ottavo compleanno, giunge inaspettato lo zio, il fratello del padre morto. Claudio, lo scavezzacollo della famiglia, in effetti è tornato per rivendicare e per vendere la parte della villa che gli spetta, dovendo realizzare fondi. Così si stabilisce, inopportuno nella casa, invadendo e la privacy dei due e gli spazi disponibili dell’abitazione, vecchio armadio compreso, usato dal piccolo come nascondiglio. Alessandro, da subito, ma soprattutto in seguito, non gradisce l’intrusione di lui nella tranquilla vita che conduce con la madre e comincia a sviluppare una profonda avversione, anche in virtù delle attenzioni troppo affettuose che lo zio riversa sulla propria madre. L’odio cresce in maniera incontrollata e nello stesso tempo nel bambino incominciano ad affiorare terribili incubi che hanno a che fare con l’acqua. I dispetti, di giorno in giorno aumentano e diventano sempre più pericolosi tanto che……

Commento

Il film, in uscita dal 30 aprile, è un thriller psicologico di buona fattura, orchestrato con tutti gli elementi che contraddistinguono il genere. Avvince, cattura l’attenzione e incuriosisce lo spettatore, il quale viene catapultato malamente nell’inconscio malato di un bimbo di otto anni. I terribili incubi di Alessandro sono al centro di una trama fitta e trascinante, sicché i ripetuti e dannosi tentativi di far fuori lo zio, sua vittima preferita, finiscono per travolgere sua madre e lui stesso. E’ evidente che il bambino ha bisogno di aiuto, per trarsi i fuori dalla congiura di silenzio, tramata dagli adulti intorno a lui e nel caso specifico da sua madre. Claudia, sebbene amorevole e attenta nei riguardi di suo figlio non è riuscita a valutare nella giusta misura il danno subito da lui nel passato. Dal canto suo Alessandro urge di conoscere la natura delle sue orrende e ormai insostenibili allucinazioni, per potere uscire dalla spirale di odio e di vendetta in cui è caduto circoscritto. Con una trovata sufficientemente originale e servendosi del feedback, il regista ci riesce ma l’argomento del film, sebbene abbia come spunto nuovo l’esplorazione dell’inconscio di un bambino, è stato un genere sufficientemente trattato e affrontato da molti registi, uno per tutti, Alfred Hitchcock. Il grande Maestro, in “Marnie”, infatti scandagliò in modo pregevole l’inconscio umano, regalandoci, così, un capolavoro, fissato per sempre nell’immaginario collettivo. Buona la fotografia, limpida e livida, adatta a colorare il terrore infantile.

Interpreti

Se la cava, Lorenzo Vavassori, il piccolo Alessandro del film, a sostenere fino in fondo, pur senza eccellenze particolari, il ruolo principale. La recitazione spontanea di Lorenzo, di cui il regista si è servito, per far presa oltre lo stucchevole, perde ogni tanto qualche battuta ma in compenso, dalle azioni che compie egli stesso, si riesce a capire ogni cosa. Tutto il film è scandito dalla sua voce narrante che a volte riflette, altre massimalizza e altre ancora si assolve. Buona la prova di Paola Cortellesi, nel film Claudia, la madre di Alessandro, dolcemente espressiva sia per il volto pulito che per il suo corpo morbido e voluttuosamente femminile. Claudio Amendola, invece, l’ambiguo zio Claudio, offre una prestazione al limite della sufficienza, giudizio non dettato dall’antipatia del personaggio interpretato ma dall’ immobilità espressiva e dalla fisicità statica, adatte altrove ad ogni ruolo ma qui, sia quando approccia con Paola Cortellesi, sia quando cerca di punire il bambino non comunica
alcuna emozione. Una qualche figura e per il fisico distinto che per il richiamo alla mente di immagini televisive, la fa il commissario, Stefano Dionisi, mentore-padre di Alessandro, colui che riesce a riportare all’indietro la mente del bambino. Anche il piccolo Lorenzo Pavanello, compagno di merenda di Alessandro, ha ben caratterizzato l’amico fidato e complice. Tenerissimo, oltre ad essere bravo di suo, nell’ incoscienza interpretativa, il piccino che ha impersonato Alessandro ad un anno di età. Il fanciullino, sostenuto da due gambine traballanti, che non gattonano più, svicola incerto, abbandonato a se stesso e dimenticato dai suoi, in una villa esageratamente in festa. Fa bene il regista ad attardarsi su di lui con la macchina da presa e ad inquadrare il suo limpido faccino.

Il regista

Felice Farina è nato nella capitale il 14 agosto nel 1954. La sua formazione è avvenuta a Roma negli anni ’70, quelli dell’avanguardia teatrale, che hanno inciso a renderlo un personaggio eclettico nella fotografia, nella scultura, nella musica e nell’arte in genere. Una curiosità che lo riguarda è che nel tempo libero ama costruire e progettare accessori per la macchina da presa, infatti da sé si è costruito un dolly e un carrello per la camera car.

Spunti di riflessione

Nessuno sfugge al proprio passato, neanche un piccolo di pochi mesi. Attenzione i bambini ci guardano!

Giudizio
Distinto

Regia: Felice Farina

Cast

Claudio Amendola, Paola Cortellesi, Lorenzo Vavassorri, Stefano Dionisi, Lorenzo Pavanello.

MARIA SERRITIELLO
da:www.lapilli.eu

domenica 2 maggio 2010





LA CATTEDRALE DI SAN PRISCO DI NOCERA INFERIORE (SALERNO)

La chiesa fu edificata presso un'abbazia benedettina (né della Congregazione cassinese né di quella verginiana, come invece da più parti si è sostenuto), nella quale si conservava il corpo di San Prisco, primo vescovo nocerino (prima venerato nella chiesa di San Filippo in macerie), cui l'edificio è dedicato.

La sede della diocesi nocerina, ripristinata nel 1386 dopo un’interruzione secolare, venne ubicata in una località fuori degli insediamenti urbani medievali delle due Nocera che prese il nome di Vescovado.

Tuttavia stando a Teodorico di Niem (presente a Nocera durante la cattività di papa Urbano VI):

« presso il Borgo, si scorge nei campi la chiesa di San Prisco, che fu un tempo cattedrale »
(Teodorico di Niem)

Quindi la chiesa sarebbe stata già cattedrale prima del 1386, quando fu ricostituita come tale.

Dal 1838 è dedicata a San Marco Evangelista.

L’attuale cattedrale risale agli inizi del Seicento e fu edificata a cura del vescovo senese Simone Lunadoro (1602 – 1610).

Progettata a tre navate sullo stile della chiesa metropolitana di Siena (come si può leggere nell'epigrafe posta sulla lapide murata nella navata centrale, sul lato destro della Cattedrale), si presenta oggi non dissimile, almeno nella struttura essenziale, da quella descritta dal Lunadoro (salvaguardando con cura l’altare che conteneva, secondo una tradizione secolare, le ossa del profeta biblico Giona). Nel 1724, si apportarono altre modifiche all'interno della Cattedrale: si restaurò e si decorò il tetto. Fu consacrata il 19 novembre di quello stesso anno, come ci tramanda anche la lapide murata sul pilastro dell'arco, a sinistra entrando nella Chiesa.

Nel 1764, il vescovo Gherardo Volpe diede luogo ad un profondo rinnovamento della basilica priscana, conferendo ai capomastri Andrea e Onofrio Salvo l'incarico di eseguire le rifattiones progettate dall'architetto partenopeo Pietro Cimafonte, coadiuvato dal fratello Salvatore.

I suddetti artefici avevano dato prova della loro valentia nel cantiere del seminario diocesano, riedificandolo dal 1760 al 1771 con l'intervento degli stuccatori Andrea Parascandolo e Salvatore Conforto, secondo un progetto steso nel 1757.

Nel 1715 fu ampliato il Cappellone del Santissimo Rosario nella cui cupola Angelo Solimena, nel 1671, aveva raffigurato la Gloria del Paradiso. L'affresco è caratterizzato dal concentrico rincorrersi dei corpi di angeli, di Santi e apostoli. Il gioco dei panneggi delle vesti crea contrasti di luce e di ombre. La presenza di una tavolozza ha indotto a ritenere che in uno dei personaggi ci sia il suo autoritratto. I colori sono chiari e la luce si diffonde dall’alto.

Della torre campanaria edificata dal vescovo Giuliano de Angrisanis nel 1433, situata probabilmente a sinistra del presbiterio, attualmente non restano che isolati brani murari, inglobati nelle strutture verticali della cattedrale.

Danneggiata dai due eventi sismici del 1688 e del 1694, l'ultimo dei quali "fu così violento che buttò giù la cima del campanile con gli ultimi due piani", fu sostenuta con l'ausilio di catene e nuova muratura per recuperare l'uso delle campane. Ma tre anni dopo "l'inclinarsi del campanile, che pende" costrinse il vescovo ad intervenire sulla facciata della cattedrale.

Finché, nel quarto decennio del XVIII secolo, a causa dell'estesa fatiscenza della fabbrica quattrocentesca, il vescovo Niccolò de Dominicis decise di riedificarla nel sito attuale. Finanziato anche dalla Confraternita del Rosario, che contribuì con ben 2050 ducati, il nuovo campanile fu realizzato "in conformità al modello di legname fattone fare dal R.D. Francesco Solimeno", conservato, a quel tempo, nell'oratorio della congrega.

L'opera costituisce una delle rare realizzazioni architettoniche di Francesco Solimena, che vi impresse il segno tangibile delle sue doti di progettista, testimoniate anche dalle imprese napoletane della chiesa di S. Nicola alla Carità, dal portale di S. Giuseppe dei Vecchi e dal suo palazzo a S. Potito.

Principiato nel 1730, le fondazioni del campanile nocerino furono terminate nel 1731, quando, vinta la concorrenza del piperniere Cesare Salvo di Roccapiemonte, la realizzazione del manufatto fu affidata al lapicida locale Leonardo Petrosino

Fu credenza comune che la cattedrale abbia ospitato le spoglie dei profeti Giona e Abacuc.

In occasione dei lavori di restauro della chiesa, il vescovo Lunadoro[1] racconta che:

« nell'età precedente a quella nostra fu veduto, aprendosi l'urna, il corpo santissimo del Beato Profeta Giona, vestito all'ebraica e conservato intero fino a que' tempi »
(Simone Lunadoro)

Le spoglie del profeta sarebbero state trasportate in città da Uguccione Dei Pagani nel 1105 al ritorno dalla prima crociata.

Teodorico di Niem ricorda, invece, la presenza in chiesa delle spoglie del profeta Abacuc:

« si scorge nei campi la chiesa di San Prisco, che fu un tempo cattedrale dove si conservano le reliquie del profeta Abacuc »
(Teodorico di Niem)

sabato 1 maggio 2010




OGGI E DOMANI, PER LA SECONDA SETTIMANA,A SALERNO SI SVOLGE LA FIERA DEL "CROCIFISSO RITROVATO" UNA TRADIZIONE CHE RICORDA LA LEGGENDA DEL MAGO BARLIARIO

Pietro Barliario (1055 – marzo 1148) , personaggio semi-leggendario, medico e alchimista italiano, studioso di testi di magia della tradizione araba.

Poche e scarne sono le notizie certe sulla sua vita, tanto che molti degli episodi noti sono, assai probabilmente, delle leggende raccolte dai posteri per esaltare o esecrare la sua figura; c'è chi addirittura sostiene che non sia mai esistito.

A volte la volgarizzazione del nome in in Bailardo o Baialardo, ha ingenerato confusioni con Pietro Bailardo o Pietro Abelardo.

Pietro nacque a Salerno da famiglia agiata ma non benestante, e sin dalla gioventù nutrì una gran predilezione per le arti magiche, quasi sicuramente accompagnate allo studio della medicina (erano gli anni in cui la Scuola Medica Salernitana era nel pieno del suo fulgore). Di lui si racconta che, in breve tempo e grazie ad un patto col diavolo, divenne un potente stregone, tanto da far innamorare di sè le donne più belle grazie a degli speciali filtri magici, di poter cambiare l'acqua in vino, e di far spuntare le corna sulla testa di chi gli era antipatico

Stando alla leggenda, l'opera più celebre di Barliario fu la costruzione, in una sola notte di tempesta e con l'aiuto dei demoni, dell' acquedotto medioevale tuttora esistente a Salerno; tale opera imponente, costruita su un dirupo ed facente per la prima volta uso dell'ogiva, dovette impressionare non poco il popolo salernitano, la cui fantasia ne attribuì la costruzione a una mano "diabolica". Tale superstizione perdurò almeno fino ai primi del Novecento, quando ancora si riteneva che andare sotto gli archi all'imbrunire avrebbe comportato l'incontro con gli spiriti maligni.

Secondo il racconto il Diavolo, amico di Barliario in tante malefatte, si vendicò di lui in maniera atroce. Un giorno in cui il mago era assente, due suoi nipoti (un'altra versione parla di figli), Fortunato e Secondino, rimasti soli nel laboratorio, vi rimasero a giocare per passare il tempo: ma, aperto un libro magico (o, più verosimilmente, toccando delle sostanze sicuramente tossiche) caddero morti, colpiti da sincope.

Pietro tornò a casa e scoprì i due corpicini, ne impazzì letteralmente per il dolore: nel giro di pochi giorni divenne spaventosamente più vecchio. Passava tutto il tempo a piangere e a fissare il vuoto, o il pavimento su cui aveva fatto la tragica scoperta finché, vinto dal dolore, si trascinò nella vicina Chiesa di San Benedetto, dove si gettò ai piedi del crocifisso dipinto che era sull'altare.

Scalzo e vestito di cenci, per tre giorni e tre notti il mago rimase a vegliare e pregare ai piedi della sacra immagine, piangendo e battendosi il petto con una pietra per penitenza, e chiedendo il perdono dei peccati. E, all'alba del terzo giorno, avvenne il miracolo: il volto del crocifisso alzò la testa ed aprì gli occhi, in segno di perdono. Da quel momento in poi, Pietro cambiò completamente la propria vita, diventando monaco ed entrando stabilmente in quello stesso Monastero di San Benedetto, ove visse il resto della sua lunghissima vita.

Questa leggenda, tramandata dapprima oralmente (solo nel XIX secolo ne vennero scritte poesie e drammi) divenne ben presto popolarissima. Il Miracolo di Barliario attirò in città moltissimi pellegrini, desiderosi di ammirare o pregare davanti all'immagine miracolosa di Cristo. L'afflusso di gente fu tale che, oltre ai fedeli stessi, confluirono in città anche molti artigiani e mercanti di vario genere: da qui nacque la Fiera del Crocifisso, che si svolge ancor oggi i quattro venerdì di Quaresima.

Una leggenda di ben diverso tenore vuole che sotto gli archi si siano incontrati i quattro mitici fondatori della Scuola Medica Salernitana, ma la leggenda sulla mano demoniaca di Barliario ebbe tanto effetto, che ancora oggi l'acquedotto è chiamato Ponti del Diavolo.

Dopo l'episodio miracoloso del Crocifisso, Pietro Barliario visse molti anni ancora nel Monastero di San Benedetto, morendo in età assai avanzata: la tradizione popolare vuole che sia morto a novantatré anni d'età nel marzo 1148, il venerdì santo. Venne sepolto insieme alla moglie nella stessa chiesa dov'era avvenuto il miracolo, ai piedi del Crocifisso miracoloso. Quest'ultimo, dopo aver subito gravi danni a causa di un incendio nel XVIII sec., è conservato nel locale Museo Diocesano. Purtroppo, le varie vicissitudini che la Chiesa di S.Benedetto ha dovuto subire durante i secoli non hanno risparmiato nemmeno Pietro Barliario: attualmente (2008) non v'è più traccia della sua sepoltura, né di quella della moglie.