Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso.....

Pablo Neruda





sabato 20 marzo 2010




« Io non avrei il coraggio di difendere costumi disonesti e di impugnare armi ingannatrici in difesa delle mie colpe. Anzi, confesso, se confessare i peccati può in qualche modo giovare; ma ora, dopo la confessione, ricado come un insensato nelle mie colpe »
(Amores, Libro Secondo)

« Presi un pugno di sabbia e glielo porsi, scioccamente chiedendo un anno di vita per ogni granello; mi scordai di chiedere che fossero anni di giovinezza. »
(Le Metamorfosi )


Publio Ovidio Nasone, più semplicemente Ovidio (in latino: Publius Ovidius Naso; Sulmona, 20 marzo 43 a.C. – Tomi, 18), fu un celebre poeta romano tra i maggiori elegiaci.


Nato il 20 marzo del 43 a.C. a Sulmona da una famiglia facoltosa, appartenente alla classe equestre. A 12 anni si reca a Roma con il fratello Lucio, poi morto prematuramente, per completare gli studi. Frequenta le lezioni di grammatica e retorica dei più insigni maestri della capitale, in particolare Marco Arellio Fusco e Marco Porcio Latrone. Il padre lo vorrebbe oratore, ma Ovidio si sente già più portato per la poesia. Seneca il Vecchio ricorda che Ovidio declamava raramente, per lo più suasorie. Più tardi Ovidio si recò, com'era costume ormai da un secolo, in Atene, visitando durante il viaggio di ritorno le città dell'Asia minore; fu anche in Egitto e per un anno soggiornò in Sicilia

Tornato a Roma, Ovidio intraprende la carriera pubblica, senza distinguersi per zelo o importanza di honores. È uno dei decemviri stilibus iudicandis e dei tresviri, i funzionari, forse, di polizia giudiziaria. Non aspira poi al Senato romano, pago della propria dignità equestre; contrariamente al fratello e contro la volontà di suo padre si dedica agli studi letterari. Inizialmente ha contatti con il circolo di Messalla Corvino (filoaugusteo), che lo stimola a dedicarsi alle lettere; più tardi invece entra nel circolo di Mecenate (filorepubblicano), conoscendo i più importanti poeti del tempo: Orazio, Properzio, Tibullo e, per poco tempo, Virgilio. Tale ambiente aiuta Ovidio, che in questi anni ritrova la serenità e l'incentivo necessario per esprimersi e produrre.
Siamo nel periodo storico della pax augustea e i costumi di Roma tendono a rilassarsi, c'è una concezione più libera e rilassata della morale che arriva dall'influenza ellenistica.

Ovidio è il più giovane dei poeti elegiaci e si differenzia in gran parte da loro. Se essi rifiutavano il mos maiorum (le tradizioni degli avi) ma ne desideravano i benefici, Ovidio rifiuta questa contraddizione e il mos in toto. Si può parlare anche di relativismo, poiché rifiuta i valori fissi e rigidi della vecchia società romana per aprirsi alle mode del tempo, cercando di assecondare il gusto volubile del pubblico.
Ovidio propone nei suoi testi un'etica sessuale molto libera, come si può capire già dal titolo degli Amores, ovvero gli amori. Non c'è una sola donna al centro della narrazione e dirà egli stesso che una donna non gli basta, pur ammettendo che non sarebbe giusto. Non rimprovera né critica chi segue la morale tradizionale; semplicemente, lui agisce diversamente. L'amore non è l'unico tema dei suoi scritti, come l'elegìa non è l'unico genere letterario che usa.

Ovidio si sposa per tre volte: ma se, nei primi due casi, divorzia presto, il terzo è invece il più significativo. Delle prime due mogli non si sa nulla, tranne che da una di loro nasce Ovidia, a sua volta scrittrice colta. Il terzo matrimonio avviene con Fabia, fedele consorte nella gioia e nel dolore, della quale il poeta, nelle sue opere, conserva un ricordo commosso.
Gli affetti familiari non impediscono però che Ovidio si dedichi alla vita romana del tempo, mondana e salottiera. Lo scrittore ne diventa uno dei protagonisti, oltre che il "poeta ufficiale"; comincia a scrivere le sue prime opere giovanili e, soltanto ventenne, il suo nome è già celebrato negli ambienti della mondanità. Ad aiutare il poeta contribuiscono la sua sensibilità, lo spirito aperto e la signorilità, che facilitano la sua presenza negli ambienti salottieri.


Nell'8 d.C., caduto in disgrazia presso Augusto, Ovidio viene relegato nella lontana Tomi, (oggi Costanza un piccolo centro sul mar Nero, nell'attuale Romania. Nei Tristia, scrisse:

(LA)
« Perdiderint cum me duo crimina, carmen et error
alterius facti culpa silenda mihi » (IT)
« Due crimini mi hanno perduto, un carme e un errore:
di questo debbo tacere quale è stata la colpa »
(Tristia 2, 1, v.207 sg.)

Il poeta dunque attribuisce l'esilio ad un carmen et error, ma tale vaga espressione ha favorito il proliferare di interpretazioni diverse, alcune probabili, altre più fantasiose, riguardo al possibile error:

Ovidio avrebbe avuto illecite relazioni con l'imperatrice Livia Drusilla, cantata negli Amores con lo pseudonimo di Corinna;
sarebbe stato sospettato di favoreggiamento e forse di correità nelle relazioni di Giulia iunior, nipote di Augusto e moglie di Lucio Emilio Paolo, col giovane patrizio Decimo Bruto Silano;
avrebbe scoperto illeciti rapporti di Augusto a corte o avrebbe curiosato imprudentemente sulla condotta privata e sulle abitudini intime dell'imperatrice Livia;
avrebbe assistito a qualcuno degli sfoghi di ira a cui era soggetto Augusto, specialmente dopo il disastro di Publio Quintilio Varo;
avrebbe partecipato alla congiura di Agrippa Pòstumo, pretendente al trono, contro Tiberio, sostenuto dalla madre Livia, o avrebbe difeso Germanico contro Augusto.
Il termine carmen farebbe invece riferimento alle opere di Ovidio, in contrasto con i princìpi della restaurazione augustea (specialmente l'Ars amatoria). Alla base della condanna c'è sicuramente un fatto personale molto grave, tale da giustificare l'improvvisa decisione e da impedire il ritorno in patria del poeta, nonostante le suppliche sue e degli amici. Ovidio infatti non fa più ritorno nella capitale e muore tra il 17 e il 18 d.C. (più probabilmente nel 18), dopo un decennio di relegazione in una terra selvaggia, a lui del tutto estranea





giovedì 18 marzo 2010


Il 19 marzo del 1958 Boris Paternak fu insignito del Premio Nobel per la letteratura

« Vivere significa sempre lanciarsi in avanti, verso qualcosa di superiore, verso la perfezione, lanciarsi e cercare di arrivarci. »
(Boris Pasternak)


Boris Leonidovič Pasternak (in russo: Борис Леонидович Пастернак[?]; Mosca, 10 febbraio 1890 – Peredelkino, 30 maggio 1960) è stato uno scrittore russo. La data di nascita è il 29 gennaio secondo il calendario giuliano in vigore all'epoca. Trascorse l'infanzia in un ambiente intellettuale ed artistico. Suo padre Leonid era artista e professore alla Scuola moscovita di pittura, sua madre, Rosa Kaufmann, era pianista.

Tra le personalità della cultura – musicisti, artisti e scrittori – Pasternak ebbe modo di incontrare a casa dei genitori anche Lev Tolstoj, per il quale suo padre Leonid illustrò i libri.


Fin dall'incontro col compositore russo Skrjabin sognava di diventare pianista e compositore e si dedicava al piano, alla teoria di musica e la composizione. Compiuti gli studi al liceo tedesco di Mosca nel 1908, però, si iscrisse alla Facoltà di filosofia all'università di quella città e dopo i viaggi in Svizzera ed in Italia, maturò la sua decisione di dedicarsi alla poesia.

In quegli anni scrisse le sue prime poesie, che uscirono nell'almanacco Lirika (Лирика) e mostrano l'influenza del simbolismo e del futurismo. Nel 1914 pubblicò la sua prima raccolta di poesie nel libro Il gemello delle nuvole (Близнец в тучах), seguito da Oltre le barriere (Поверх барьеров, 1917), che gli portò un riconoscimento ampio negli ambienti letterari. Dal 1914 fu membro del gruppo di poeti simbolistici Centrifuga (Центрифуга).

Nel 1922 Pasternak sposò Evgenija Vladimirovna Lourie da cui ebbe un figlio. Divorziarono nel 1931. Seguì un secondo matrimonio nel 1934 con Zinaida Nikolaevna Neuhaus; la famiglia si trasferì nel sobborgo moscovita di Peredelkino nel 1936.

Dopo la seconda guerra mondiale Pasternak mise mano al primo e unico romanzo, Il dottor Živago (Доктор Живаго). Il romanzo venne rifiutato dall'Unione degli Scrittori che ai tempi del regime comunista non poteva pemettere la pubblicazione di un libro che, fortemente autobiografico, raccontava i lati più oscuri della Rivoluzione d'ottobre.


La stesura dell'opera, che fu bandita dal governo, fu causa per l'autore di persecuzioni intellettuali da parte del regime e dei servizi segreti che lo costrinsero negli ultimi anni della sua vita alla povertà e all'isolamento. Ad ogni modo il manoscritto riuscì a superare i confini sovietici e il libro, nel 1957, venne pubblicato per la prima volta in Italia, tra molte difficoltà, dalla casa editrice Feltrinelli in una edizione diventata poi storica.

Nel 1958, Il dottor Živago frutterà a Pasternak l'assegnazione del Premio Nobel per la letteratura. Proprio l'assegnazione del premio scatenò una vicenda singolare che vide il coinvolgimento dei servizi segreti occidentali.

Infatti il regolamento dell'Accademia Svedese, ente designato a scegliere il vincitore del Premio Nobel per la letteratura, prevede che per ottenere il riconoscimento, l'opera in questione debba essere stata pubblicata nella lingua materna dell'autore, requisito di cui Il dottor Živago ovviamente difettava. Pertanto, a pochi giorni dal momento in cui l'assegnazione avrebbe dovuto essere resa nota, un gruppo di agenti della Cia e dell'intelligence britannica riuscì ad intercettare la presenza di un manoscritto in lingua russa a bordo di un aereo in volo verso Malta. Obbligarono così l'aereo a deviare, per entrare in possesso momentaneamente del manoscritto che, fotografato pagina per pagina, fu precipitosamente pubblicato su carta con intestazione russa e con le tecniche tipografiche tipiche delle edizioni russe. Questo lo stratagemma per consegnare il capolavoro perseguitato alla verità e al merito del Premio Nobel

Dapprima Pasternak inviò un telegramma a Stoccolma esprimendo la sua gratitudine attraverso parole di sorpresa e incredulità. Alcuni giorni più tardi, in seguito a pressanti minacce e avvertimenti da parte del KGB circa la sua definitiva espulsione dalla Russia e la confisca delle sue già limitatissime proprietà, lo scrittore con rammarico comunica all'organizzazione del prestigioso premio la sua rinuncia per motivi di ostilità del suo Paese. Pasternak rifiuta così la fama e il riconoscimento che avrebbe trovato all'estero per non vedersi negata la possibilità di rientrare in patria. Da allora trascorrerà il resto dei suoi giorni senza aver ritirato il premio e comunque perseguitato, morirà due anni più tardi in povertà a Peredelkino, nei dintorni moscoviti nel 1960.











lunedì 15 marzo 2010


Cesare Bonesana, marchese di Beccaria (Milano, 15 marzo 1738 – Milano, 28 novembre 1794) è stato un giurista, filosofo, economista, letterato italiano, figura di spicco dell'Illuminismo, legato agli ambienti intellettuali milanesi.

Di nobile e ricca famiglia nacque a Milano figlio di Giovanni Saverio di Francesco, e di Maria Visconti di Saliceto, il 15 marzo 1738, studiò a Parma, poi a Pavia dove si laureò nel 1758. Si sposò contro la volontà del padre nel 1760, con l'allora sedicenne Teresa Blasco (originariamente De Blasio)nata a Rho nel 1734 e morta il 14 marzo 1774, dalla quale ebbe quattro figli: Giulia Beccaria (1762-1841), Maria Beccaria (1766 - 1788 ), Giovanni Annibale nato e morto nel 1767 e Margherita anch'essa nata e morta nel 1772. Dopo appena 82 giorni di vedovanza sposò in seconde nozze suscitando grande scalpore, Anna dei Conti Barnaba Barabò, dalla quale ebbe un altro figlio, Giulio

Beccaria. Il suo avvicinamento all'Illuminismo avvenne dopo la lettura delle Lettere persiane di Montesquieu.[1] Fece parte del cenacolo dei fratelli Pietro ed Alessandro Verri, collaborò alla rivista Il Caffè e contribuì a creare l'Accademia dei Pugni nel 1762, fondata secondo un suo concetto della educazione dei giovani mirante a rispettare i suoi concetti di legalità. Cesare Beccaria pensava che l'uomo acculturato fosse meno incline a commettere delitti. Dalle discussioni con gli amici Verri gli venne l'impulso di scrivere un libro che spingesse a una riforma in favore dell'umanità più sofferente

Fu stimolato in particolare da Alessandro Verri, protettore dei carcerati, ad interessarsi alla situazione della giustizia.


Dopo la pubblicazione di alcuni articoli di economia, diede alle stampe (inizialmente anonimo) nel 1764 Dei delitti e delle pene, breve scritto che ebbe enorme fortuna in tutta Europa ed in particolare in Francia, dove incontrò l'apprezzamento entusiastico dei filosofi dell'Encyclopédie e di Voltaire e dei philosophes più prestigiosi che lo tradussero (la versione francese è opera dell'abate filosofo André Morellet, con le note di Denis Diderot) e lo considerarono come un vero e proprio capolavoro.[4] L'opera venne messa all'Indice dei libri proibiti nel 1767, a causa della distinzione tra peccato e reato

Morì a Milano il 28 novembre 1794 a causa di un ictus, all'età di 56 anni, e fu sepolto nel cimitero di San Gregorio. Pietro Verri deplorò il fatto che i fogli cittadini non avessero inserito nemmeno una riga di encomio in occasione della sua morte.

La figlia Giulia fu la madre di Alessandro Manzoni.

Secondo alcuni Cesare Beccaria era affiliato alla massoneria


Beccaria sosteneva quindi l'abolizione della pena di morte, che non impedisce i crimini e non è efficace come deterrente, nonché della tortura, che è una punizione preventiva ingiusta e crudele, e non serve a scoprire nulla, giacché fornisce dubbie confessioni; si occupò della prevenzione dei delitti, favorita a suo avviso dalla certezza piuttosto che dalla severità della pena (principio elaborato per la prima volta dall'inglese Robert Peel). Beccaria sosteneva che per un qualunque criminale, una vita da trascorrere in carcere con l'ergastolo privativo della libertà, è peggiore di una condanna a morte, mentre l'esecuzione non vale come monito e deterrente al crimine in quanto le persone tendono a dimenticare e rimuovere completamente un fatto traumatico e pieno di sangue, anche perché nella memoria collettiva l'esecuzione non è collegata ad un ricordo di colpevolezza (non essendo stato seguito il processo). Il vero freno della criminalità non è la crudeltà delle pene, ma la sicurezza che il colpevole sarà punito, anche con una pena più mite, ma certa ed inevitabile. Beccaria era inoltre contrario alla consuetudine di portare armi da parte dei ceti abbienti per autodifesa.









domenica 14 marzo 2010




Il 9 marzo scorso è scomparso Tonino Carino, giornalista sportivo

Tonino Carino (Offida, 31 luglio 1944 – Ancona, 8 marzo 2010) è stato un giornalista e personaggio televisivo italiano, noto per la sua partecipazione a popolari programmi televisivi di genere sportivo

Ha iniziato a scrivere per il Resto del Carlino nel 1969, per poi passare nel 1971 al Corriere Adriatico. Dal 1976 lavorava per la sede regionale della RAI di Ancona.

A partire dal campionato di Serie A 1975-1976 iniziò a collaborare con 90º minuto, entrando così a far parte di quel gruppo di cronisti di provincia resi celebri dalle imprese calcistiche delle squadre locali: Emanuele Giacoia da Catanzaro, Italo Kuhne e Luigi Necco che si alternavano tra Napoli e Avellino, Antonio Capitta e Luigi Coppola da Cagliari, Ferruccio Gard da Verona, Lamberto Sposini da Perugia, Puccio Corona da Catania, Maurizio Calligaris da Udine, Giorgio Bubba da Genova.[1] Per quella trasmissione commentò le partite dell'Ascoli (da qui il da Ascoli che usava mettere subito dopo la sua presentazione in una pronuncia quasi tutta d'un fiato)[2][3] e saltuariamente di altre squadre, fino a divenire uno dei volti più popolari della trasmissione anche a causa delle sue difficoltà nel pronunciare i nomi dei calciatori stranieri.

Dalla fine degli anni novanta ha partecipato ad alcune edizioni di Quelli che il calcio, facendo ritorno nel 2005. Nel 2002, in veste di inviato, ha seguito il Giro d'Italia.

Dal 2002 al 2003 è stato, insieme alla giornalista Milena Minutoli, inviato della trasmissione pomeridiana Casa Raiuno, condotta da Massimo Giletti con Cristiano Malgioglio e Antonella Mosetti.

La sua ultima apparizione risale al 2008, nel programma di FX "80º minuto".

Si è spento in casa sua, ad Ancona all'età di 65 anni, a causa di un tumore al colon che gli era stato diagnosticato nel 2009.

Nel 2000 l'attore Diego Abatantuono ha impersonato il giornalista, nei panni di Tonino Tonnato. Nel suo nuovo ruolo di giornalista - umorista, Tonino Carino non sopportava questo strano personaggio e si arrabbiò con Abatantuono, dicendo che non doveva accompagnare la mitica sigla di 90° minuto facendo i versi con la bocca.

Quando era corrispondente a "90° minuto", il Trio Solenghi - Lopez - Marchesini gli dedicò una filastrocca. Il testo era: "Sono Tonino, sono Carino, sono la gioia di mammà e papà. Se mi sporco il vestitino, il papà mi fa cià cià!".

Celebre fu il tormentone di Ezio Greggio a Drive In: "È lui, o non è lui? Cerrrrrrrto che è lui! Tonino Carino da Ascoli".



mercoledì 10 marzo 2010





Addio a Van Wood, muore l'ultimo «pezzo» del trio Carosone(L'Aia, 19 settembre 1927 – Roma, 10 marzo 2010)

È morto a 83 anni, Peter Van Wood, astrologo e chitarrista. Prima autore, cantante, poi esperto di stelle. Con Gegè Di Giacomo aveva accompagnato Renato Carosone

Comincia a suonare la chitarra a quattordici anni, studiando al conservatorio; contemporaneamente ascolta i grandi chitarristi jazz ed inizia a suonare in piccole formazioni in Olanda e all'estero, esibendosi anche al Palladium di Londra nel 1946.

Sulla chitarra elettrica è tra i primi in quegli anni in Europa a usare effetti speciali come l'eco e il riverbero, e tra il 1947 e il 1948 si esibisce in tutto il mondo, con concerti anche all'Olympia di Parigi e alla Carnegie Hall di New York.

Nel 1949 si stabilisce in Italia: dopo una serie di spettacoli a Napoli, viene contattato per formare un trio da Renato Carosone e Gegè Di Giacomo, e incide con loro vari dischi per la Pathé.

Nel 1954 decide di darsi alla carriera solista: forma un suo quartetto, firma per la Fonit ed incide molti dischi di successo.

Della sua carriera musicale si ricordano canzoni quali: Butta la chiave, rimasta molto celebre anche in seguito per via del dialogo tra Van Wood e la chitarra (a cui fa interpretare le risposte di una ragazza che non vuole farlo entrare in casa), Via Montenapoleone, Tre numeri al lotto, Carolina e Capriccio.

Dagli anni sessanta decise di dedicarsi in pieno all'astrologia, formulando oroscopi per conto di giornali e riviste, pur continuando ad incidere dischi; apre anche un locale a Milano (la città dove si stabilisce trasferendosi da Napoli), l'Amsterdam 19, in Galleria Passarella, dove spesso si esibisce come cantante chitarrista.

Continua ad incidere e, nel 1974, realizza un album interamente strumentale per la Vedette -Phase 6, in cui mette in evidenza le sue doti di chitarrista, Guitar magic.

Nel 1982 ha inciso la sigla del programma televisivo La Domenica Sportiva.

È tornato alla ribalta nel mondo televisivo italiano con la partecipazione alla trasmissione Quelli che il calcio, condotta all'epoca da Fabio Fazio. Sulla falsariga del suo cognome, in senso ironico, venne creata una squadra calcistica chiamata Atletico Van Goof.

Nell'ottobre 2007 chiede un milione di euro di risarcimento al gruppo dei Coldplay, sostenendo che la canzone Clocks sia plagiata dalla sua Caviar and Champagne.

È deceduto all'alba del 10 marzo 2010 al Policlinico Gemelli di Roma dopo una lunga malattia












mercoledì 3 marzo 2010



Il flash mob del giorno arriva dalla stazione di Roma Termini al binario 16. Tutto comincia con una coppia che inizia a ballare sulle note della canzone “Stay Just a little bit longer” di Dirty Dancing.
Si aggiungono altri ragazzi ed alle 13 la stazione Termini si è fermata. All’altezza del binario 16, adolescenti, quarantenni, ballerini professionisti e dilettanti hanno dato vita al “flash mob” dal titolo “Tutti possono ballare”, organizzato dal dipartimento Urban Art Project del Lanificio Factory, lo spazio polivalente a via di Pietralata a Roma. Appena è partita la musica hanno eseguito la coreografia di 3 minuti. Dopo i passi di valzer sulle note de La Traviata di Giuseppe Verdi, si sono scatenati con il twist di Chuck Berry e sulle note elettroniche dei Daft Punk con “Around the World”, e per concludere con il testo degli Wham, “Wake me up before you go-go” e poi disperdersi in mezzo alla folla. Tutto questo davanti agli occhi dei viaggiatori meravigliati che si trovavano in stazione

Lanificio Factory nasce come luogo destinato
alla produzione, promozione e valorizzazione
della creatività in genere, con particolare
attenzione alla creatività giovanile

Lanificio Factory si configura come una
struttura aperta per progetti e produzioni,
in grado di fornire una concreta risposta
alle esigenze del mercato.

Lanificio Factory è aperto a tutte le
collaborazioni nazionali ed internazionali,
facendosi promotore dello scambio interculturale

L’idea nasce dalla volontà di realizzare uno spazio che si affranchi dagli standard formativi già conosciuti finora nel
territorio nazionale, per istituire un centro innovativo e sperimentale aperto ad affluenze culturali di ogni genere e
quindi in grado di generare una effettiva risonanza a livello europeo

Obiettivo primario è quello di creare un habitat culturale, all’interno del quale possano convergere diverse forme e stili
della danza, intesa non come linguaggio isolato e unilaterale, ma come forma espressiva trasversale, aperta al
confronto e alla collaborazione con linguaggi diversi, ma ad essa attinenti come la musica, il teatro, l’audiovisivo, complementi necessari per garantire una preparazione ampia ed eterogenea a coloro che vengono ospitati all’interno
di questa struttura.

L’intento è quello di strutturare un centro polifunzionale, aperto sia a coloro che vogliano usufruire delle diverse
discipline a livello amatoriale e puramente ricreativo, sia a coloro che verranno coinvolti all’interno dei vari percorsi
didattici per scopi formativi e di avviamento professionale stimolando la creatività di ognuno, indicando la direzione
verso quella che potrebbe essere una opportunità professionale reale.