Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso.....

Pablo Neruda





domenica 31 gennaio 2010




UNA NOTIZIA CHE SCALDA IL DUORE

SEMPRE PIU' CONSIDERATI CON LEGAME PARENTALE,I NOSTRI ANIMALI DOMESTICI,ALL'OSPEDALE SAN MARTINO DI GENOVA, POSSONO FAR VISITA AI PARDRONI.

QUESTA SI CHE E' UNA BELLA NOTIZIA!
CHE LA MALATTIA SIA SOLLEVATA DALL'AMORE PROFONDO E INCONDIZIONATO DI QUESTE CREATURE MANSUETE,MESSE, DAL BUON DIO, A FIANCO DELL'UOMO

venerdì 29 gennaio 2010




Jerome David Salinger (New York, 1º gennaio 1919 – Cornish, 27 gennaio 2010) è stato uno scrittore statunitense.

È divenuto celebre per Il giovane Holden (The Catcher in the Rye), un classico romanzo di formazione che ha conosciuto una enorme popolarità fin dalla sua pubblicazione nel 1951.

I temi principali nei lavori di Salinger sono la descrizione dei pensieri e delle azioni di giovani disadattati, la capacità di redenzione che i bambini hanno su questi, e il disgusto per la società borghese e convenzionale.

Dal 1953 si è spostato da New York andando a vivere a Cornish, New Hampshire riducendo progressivamente i contatti umani fino a vivere praticamente da recluso

Salinger è conosciuto per la sua natura schiva e riservata; negli ultimi cinquant'anni ha rilasciato pochissime interviste. Nel 1953 ad una studentessa per la pagina scolastica The Daily Eagle di Cornish, nel 1974 a The New York Times. Non ha mai effettuato apparizioni pubbliche, né pubblicato nulla di nuovo dal 1965, anno in cui apparve sul "New Yorker" un ultimo racconto

Jerome David Salinger nacque a Manhattan, figlio di Sol Salinger, un ebreo di origini polacche che operava nel commercio di carni, e di Marie Jillich, di origini metà scozzesi e metà irlandesi.[1]. Quando si sposarono, la madre di Salinger cambiò il proprio nome in Miriam e si convertì all'Ebraismo; J. D. non seppe che sua madre era convertita fino al giorno del suo bar mitzvah ***(.è un termine per indicare il momento in cui un bambino ebreo raggiunge l'età della maturità (12 anni e un giorno per le femmine, 13 anni e un giorno per i maschi) e diventa responsabile per se stesso nei confronti della Halakhah, la legge ebraica.
Prima del raggiungimento di questa età, la responsabilità per il comportamento dei bambini ricade, religiosamente parlando, sui genitori. Dopo essere diventati figli del precetto, i ragazzi sono ammessi a partecipare all'intera vita della comunità al pari degli adulti e diventano personalmente responsabili della ritualità, dell'osservanza dei precetti, della tradizione e dell'etica ebraica.) Jerome David fu il secondo figlio della coppia, dopo la primogenita Doris, nata nel 1911.

UN PARTICOLARE CURIOSO, MARK CHAPMAN L'ATTENTATORE DI JONN LENNON,TRA LE MANI AL MOMENTO DELL'OMICIDIO,AVEVA IL LIBRO DI J.SALINGER "IL GOVANE HOLDEN"











giovedì 28 gennaio 2010






Dino Buzzati Traverso (San Pellegrino di Belluno, 16 ottobre 1906 – Milano, 28 gennaio 1972) è stato uno scrittore, giornalista e pittore italiano

Buzzati nasce nella villa di famiglia di San Pellegrino, alle porte della città di Belluno. Il padre Giulio Cesare, che morì nel 1920, è un famoso giurista di nobile stirpe bellunese, mentre la madre, Alba Mantovani era imparentata con una famiglia del patriziato veneziano (i Badoer). Terzo di quattro figli, Augusto (1903-?), Angelina (1904-2004) e Adriano (1913-1983), noto genetista, la famiglia Buzzati trascorreva le estati nella villa a Belluno e l'inverno a Milano, dove il padre — docente di diritto internazionale — lavorava alla neonata università Luigi Bocconi, dividendosi tra questa e l'insegnamento alla più antica università di Pavia.

La villa di famiglia e la biblioteca, fondamentali nella formazione dello scrittore, meriterebbero una storia a parte. Nei primi anni della sua infanzia lo scrittore presentò una grande attenzione e sensibilità per le arti figurative e per la musica, imparando a suonare a dodici anni pianoforte e violino, abbandonando però in seguito gli studi. Connaturata alla crescita di Buzzati è anche l'amore per la montagna che lo porterà a scalare e a sognare le montagne per tutta la vita. Dopo i primi anni, e dopo la morte del padre, a quattordici anni, Buzzati si iscrive al più rinomato liceo di Milano, il Parini, dove conoscerà Arturo Brambilla, che in seguito diventerà il suo migliore amico; i due si cimentarono anche in duelli di scrittura, da cui uscirà la prima produzione letteraria dell'autore bellunese. Con lui inizierà una fitta corrispondenza che continuerà sino alla prematura morte di Brambilla, lasciando un vuoto incolmabile nella vita dello scrittore[senza fonte].

In questi anni Buzzati scopre l'interesse per la cultura egizia (nelle lettere con Brambilla si firmerà a lungo Dinubis) e per Arthur Rackham. Terminati gli studi superiori Buzzati inizia a mostrare le prime velleità letterarie iniziando a pensare di scrivere un romanzo, e si iscrive a giurisprudenza per assecondare le volontà della famiglia e per proseguire la tradizione (i due fratelli infatti avevano intrapreso strade diverse iscrivendosi l'uno a ingegneria e l'altro a biologia).

Nel 1928, poco prima di terminare gli studi universitari, entra come praticante al Corriere della Sera del quale diverrà in seguito redattore, ed infine inviato. Sempre nello stesso anno si laurea in giurisprudenza con una tesi dal titolo La natura giuridica del Concordato.

Nel 1933 uscì il suo primo romanzo, Bàrnabo delle montagne, al quale seguì dopo due anni Il segreto del Bosco Vecchio. Da entrambe le opere furono tratti film ad opera di registi italiani: il primo girato da Mario Brenta nel 1994, il secondo da Ermanno Olmi nel 1993.

Fra il 1935 e il 1936 si occupò del supplemento mensile La Lettura.

È del 1939 il suo più grande successo: Il deserto dei Tartari, che verrà edito l'anno seguente (il titolo originale doveva essere La fortezza, poi cambiato per evitare il richiamo al conflitto mondiale ormai alle porte), dal quale nel 1976 Valerio Zurlini trasse il film omonimo. In quegli anni Buzzati cominciava a dedicarsi ai suoi fortunati racconti brevi, talvolta pubblicati anche sulle pagine del Corriere. Accanto all'attività narrativa, Buzzati continuò la sua attività di giornalista. Una scelta di suoi articoli trova spazio nella raccolta Cronache terrestri.

Nel 1949 fu inviato al seguito del Giro d'Italia, all'epoca la manifestazione sportiva più seguita nella penisola.

Con un tono narrativo fiabesco, Buzzati affrontava temi e sentimenti quali l'angoscia, la paura della morte, la magia e il mistero, la ricerca dell'assoluto e del trascendente, la disperata attesa di un'occasione di riscatto da un'esistenza mediocre (Le mura di Anagoor, Il cantiniere dell'Aga Khan, Il deserto dei Tartari), l'ineluttabilità del destino (I sette messaggeri) spesso accompagnata dall'illusione (L'uomo che voleva guarire). Il grande protagonista dell'opera buzzatiana è proprio il destino, onnipotente e imperscrutabile, spesso beffardo (come ne Il deserto dei Tartari). Perfino i rapporti amorosi sono letti con quest'ottica di imperscrutabilità (Un amore). La letteratura di Buzzati appartiene al genere fantastico, anche se talvolta presenta vicinanze al genere horror.

Fra i suoi ultimi scritti rientra I miracoli di Val Morel, pubblicato nel 1971 e non più ristampato. Il libro è una raccolta di finti miracoli, che nell'invenzione dell'autore sarebbero stati attribuiti a Santa Rita dalla tradizione popolare, e ispirati alla località di Valmorel di Limana.

Accanto all'attività di scrittore e giornalista, Buzzati si dedicava la pittura (terrà con successo anche alcune mostre) e al teatro, dando vita a un sodalizio con il musicista e direttore di orchestra Luciano Chailly, curando personalmente anche le scenografie delle sue rappresentazioni. Interessanti le esperienze come sceneggiatore, che lo videro collaborare con Federico Fellini alla stesura de Il Viaggio di G. Mastorna, il progetto che il regista inseguì tutta la vita, e che non ebbe mai luce. Sempre per il cinema, e probabilmente per lo stesso Fellini, realizzò anche il racconto e trattamento "Se sono grasso che male c'è", andato purtroppo disperso.

Fu, da un certo punto di vista, un autore molto realistico che affrontava la gente con i temi della solitudine e dell'angoscia. Uno dei pochi in Italia a promuovere i canoni della letteratura fantastica.

Morì di tumore al pancreas (male che già causò il decesso del padre nel 1920) alla clinica "La Madonnina" di Milano il 28 gennaio 1972.

A Buzzati sono stati dedicati il sentiero che collega Valmorel a Limana (provincia di Belluno) e un sentiero attrezzato che porta alla cima del monte Cimerlo nel Gruppo delle Pale di San Martino (Trento).

Lo scrittore sudafricano J. M. Coetzee, premio Nobel nel 2003, si è ispirato alla trama de Il deserto dei Tartari per scrivere uno dei suoi capolavori, Aspettando i barbari, pubblicato nel 1980. Ancora oggi, grazie a un numero elevatissimo di traduzioni Buzzati è forse più famoso all'estero che in Italia.

UN AMORE
Nella cornice di una Milano grigia, caliginosa e triste, fra salotti di case d'appuntamento e strade impregnate degli odori dei «camini, sfiatatoi delle caldaie a nafta, ciminiere delle raffinerie Coloradi, camion ruggenti e fogne», si sviluppa la vicenda dell'architetto Antonio Dorigo, 49 anni, che nell'inverno del 1960 incontra una giovanissima squillo, sedicente ballerina del teatro alla Scala di Milano. Così la maîtresse di una casa d'appuntamenti, la signora Ermelina, introduce al protagonista la sua ultima rivelazione: «... che bambina, vedrà (abbassò ancora di più la voce)... Mi raccomando sa, è minorenne... una ballerina»..........



Dorigo è dipendente dal rapporto di prostituzione; le ventimila lire sborsate per una marchetta gli consentono di varcare un universo proibito, attraverso il quale accostarsi a quella «creatura straniera che è la donna [...] creatura di un altro mondo vagamente superiore e indecifrabile». Dopo il primo incontro con l'avvenente ballerina — «c'era qualcosa di fresco, di popolaresco ma non volgare



Dorigo inizierà a coltivare una passione lacerante, accompagnata da un sentimento d'amore sempre più grande, che lo condurrà a un lento e inesorabile precipitare nell'intimo, poiché i suoi sentimenti non troveranno mai una sincera corrispondenza da parte di lei. L'architetto, incapace di uscire dal ruolo del cliente innamorato, sopporterà mortificanti umiliazioni pur di continuare a godere della compagnia della ragazza: reciterà negli alberghi la parte d'un improbabile zio e pretenderà di credere in buona fede alla relazione d'amicizia con il cugino Marcello



Laide, viziata e capricciosa opportunista, continuerà a farsi mantenere da Antonio ed a ingannarlo, a proposito della propria vita e dei propri impegni, concedendosi a lui con sempre minore desiderio e trasporto










IL ROMANZO E' DATATO 1963.IL FILM E' DEL 1965.LA REGIA E' DI GIANNI VERNUCCIO

Gianni Vernuccio
91 anni, 30 Maggio 1918 Il Cairo (Egitto)

Diplomato al Centro sperimentale di cinematografia, ha esordito come documentarista durante la seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra è passato al film a soggetto, con risultati artistici modesti. Tra i suoi film va segnalato, per una certa cura ambientale e un buon approfondimento psicologico dei personaggi, Un amore

mercoledì 27 gennaio 2010





«Quando non si riesce a dimenticare, si prova a perdonare>>

Primo Levi (Torino, 31 luglio 1919 – Torino, 11 aprile 1987) è stato uno scrittore italiano autore di racconti, memorie, poesie e romanzi.

Nel 1944 venne deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Il suo romanzo Se questo è un uomo, che racconta le sue esperienze nel lager nazista, è considerato un classico della letteratura mondiale.

Primo Levi venne trovato morto nell'aprile 1987 alla base della tromba delle scale di casa sua, dando adito a sospetti di suicidio


Scritto da Primo Levi fra il dicembre del 1945 e il gennaio del 1947, dopo il suo ritorno dal campo di concentramento di Auschwitz, dove l’autore era stato rinchiuso dalla fine del 1943 e pubblicato per la prima volta nel 1947, Se questo è un uomo non ottenne un successo immediato. Nel 1956 la casa editrice Einaudi, la stessa che ne aveva rifiutato la pubblicazione nove anni prima, lo accolse fra i "Saggi". Da allora Se questo è un uomo é divenuto un successo editoriale pubblicato e ristampato in tutto il mondo.



Nel libro viene descritto il periodo di prigionia compreso fra due terribili inverni nord europei, inverni durante i quali il narratore vede numerosi suoi compagni morire di stenti a causa delle proibitive condizioni ambientali, del precario stato igienico-sanitario del campo, del lavoro massacrante. Levi si trova dinnanzi a un sistema, il lager, organizzato e finalizzato all’annientamento della dignità umana. Dentro questo folle progetto di distruzione, l’uomo non riesce più a provare pietà, non conosce più l’amicizia, la ribellione, la speranza: si cura solo, assurdamente, di non morire e per questo lotta; combatte per mantenere in piedi quel mucchietto di ossa, senza altro scopo che non sia quello di aggiungere sofferenza alla propria condizione.

In una pagina straordinaria, eppure terribile, che sembra quasi voler ammonire il lettore, Levi narra la pubblica esecuzione di un prigioniero responsabile di una tentata ribellione; rientrato nella baracca l’uomo non riesce a guardare in faccia il suo compagno: «Quell’uomo doveva essere duro, doveva essere di un altro metallo del nostro, se questa condizione, da cui noi siamo rotti, non ha potuto piegarlo. Perché anche noi siamo stati rotti, vinti: anche se abbiamo saputo adattarci, anche se abbiamo finalmente imparato a trovare il nostro cibo e reggere alla fatica e al freddo, anche se ritorneremo. Abbiamo issato la menaschka sulla cuccetta, abbiamo fatto la ripartizione, abbiamo soddisfatto la rabbia quotidiana della fame, e ora ci opprime la vergogna». I più fortunati riescono a migliorare le proprie condizioni, i più deboli cadono sempre più in basso: ma che giovamento traggono i primi dal sopravvivere sulle spalle dei secondi, che vita sorge dallo spettacolo quotidiano dell’annientamento dei propri simili?



Il tramonto di Fossoli

Io so cosa vuol dire non tornare
A traverso il filo spinato
ho visto il sole scendere e morire;
ho sentito lacerarmi la carne
le parole del vecchio poeta:
"Possono i soli cadere e tornare:
a noi, quando la breve luce è spenta,
una notte infinita è da dormire"

Primo Levi
7 febbraio 1946

Fossoli è un piccolo paesino alle porte di Carpi, poco sopra Modena e fu l'anticamera del lager.Quello di Fossoli fu un campo di concentramento,che a differenza di un lager, non aveva camere a gas, non si era condannati ai lavori forzati e non era la morte sul posto, l'obiettivo della sua costruzione.
Il campo di Fossoli serviva a radunare persone: dapprima prigionieri alleati in una tendopoli piuttosto ampia che sorge sul retro del campo che si può visitare, successivamente fu adibito a campo di raccolta per oppositori politici e successivamente, alla fine del 1943 con l'avvento della Repubblica Sociale con la costruzione delle parti in muratura, diventò campo di concentramento per ebrei e detenuti politici. Ai primi del 1944 la gestione passò direttamente alle SS che trovarono comoda la sua posizione per far partire i convogli verso i lager in Germania. Perché le autorità italiane avessero deciso di collocare proprio lì un campo di prigionia resta un mistero indecifrabile.

Da Fossoli partirono almeno 5.000 prigionieri verso l'inferno. Fra loro anche Primo Levi.
Successivamente, alla fine della guerra le abitazioni vennero occupate da sfollati, dal '47 al '52 dalla comunità cattolica di Nomadelfia ed infine dai profughi giuliani e dalmati. Negli anni '70 si aprì il museo del deportato che indusse il Comune di Carpi a richiedere l'acquisto del territorio dall'intendenza di finanza che nel 1984 venne ceduto a titolo gratuito in base ad una legge speciale.







27 GENNAIO GIORNATA DELLA MEMORIA PER NON DIMENTICARE

martedì 26 gennaio 2010




Duo Arteteca (Monica Lima, Enzo Iuppariello) *
Dopo aver seguito dei corsi di formazione ed aver maturato varie esperienze teatrali, nel 2005 nasce un gruppo teatrale chiamato “Lazzari felici” formato da Monica Lima, Enzo Iuppariello ed altri due giovanissimi attori:Claudio Greco e Francesco Iacono. Nell’anno 2005 i Lazzari felici vincono il premio nazionale “premio Totò alla comicità” ed entrano nella stagione di alcuni teatri a Napoli, come il “Centro Teatro Spazio”, il “Caffè cabaret” e il teatro “Troisi”. Nell’anno 2006, vengono riconfermati nelle stagioni teatrali del 2005, e rientrano anche in quella del teatro “Palcoscenico” di Napoli. Il 7 Luglio 2007, nasce il duo di cabaret “Gli Artétéca”, formato da Monica Lima ed Enzo Iuppariello. Nello stesso mese il duo vince il premio nazionale “Festival del cabaret di Manciano” - Grosseto. In Agosto sono finalisti ai premi: “Ridiamoci su” di Vico Equense – Napoli “Valsugana Ridens” di Levico Terme – Trento “Avanti il prossimo” di San Giovanni Teatino - Chieti. Ad Ottobre vincono il premio “Ridi che ti passa” di Afragola - Napoli In questi mesi partecipano a varie trasmissioni televisive, tra le quali “Buona Domenica” e “Seven Show”. A Dicembre partecipano al prestigioso premio di cabaret “Bravo Grazie” in onda su Rai due.

Gli Arteteca sono ,passerasolitaria80 e superdotato78. un duo di cabaret uomo-donna anche se non si capisce ancora chi è l'uomo e chi è la donna...


SONO STATA A VEDERLI DOMENICA AL TEATRO "RIDOTTO"DI SALERNO E MI SONO DIVERTITA

lunedì 25 gennaio 2010


www.Cartoline.it



VOGLIA DI POESIA
PABLO MERUDA








sabato 23 gennaio 2010




23 gennaio 1988 dopo 30 anni di censura viene pubblicato il capolavoro di Boris Pasternak " IL DOTTOR ZIVAGO"

TRAMA

Russia, 1914-Anni Trenta. Jurij Zhivago, dottore in medicina, sposa Tonja, figlia dei coniugi che l'hanno adottato da bambino. Durante una visita medica ha conosciuto Lara, giovane figlia di un sarto, da cui si sente attratto. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale Jurij e Lara si incontrano al fronte, dove lei lavora come infermiera. Scoppia la rivoluzione bolscevica e Jurij è sospettato per le poesie che scrive. Per questo si rifugia con la famiglia nella tenuta di campagna, poco lontano dal villaggio nel quale vive Lara, che intanto ha sposato Pasa, diventato il leggendario capo rivoluzionario Strelnikov. Tra Jurij e Lara inizia una relazione e, quando la famiglia del primo fugge in Francia, essi vanno a vivere nella tenuta di campagna di Zhivago. Ma gli eventi incalzano: Jurij ha disertato dall'esercito dei rivoluzionari ed è ricercato, mentre Lara aspetta un figlio. I due sono costretti a lasciarsi e non si rivedranno mai più. Anni dopo, quando entrambi sono morti, il fratellastro di Jurij racconta alla loro giovane figlia la storia dei suoi genitori.


Dal libro fu tratto un film
Un Grande kolossal hollywoodiano che tradusse sullo schermo il romanzo del premio Nobel Boris Pasternak (scrittore dissidente sovietico), Il dottor Zivago è stato uno dei più grandi successi di pubblico della storia del Cinema (vinse cinque Oscar) e ha rappresentato il tentativo dell'industria americana di aggiornare in chiave contemporanea il repertorio tematico delle superproduzioni, che per anni aveva attinto esclusivamente dalla Storia antica e dalla Bibbia.

Poco amato dalla critica del tempo, che lo accusò di aver trasformato la complessità del romanzo di Pasternak in una melensa e sdolcinata storia d'amore (venne definito un film per signore) segnata da abusati stereotipi romantico-melodrammatici, riconoscendo al più la capacità registica di garantire al racconto una fastosa e spettacolare messinscena, il film è stato in parte rivalutato negli ultimi tempi

Nel 1958, Il dottor Živago frutterà a Pasternak l'assegnazione del Premio Nobel per la letteratura. Proprio l'assegnazione del premio scatenò una vicenda singolare che vide il coinvolgimento dei servizi segreti occidentali. Infatti il regolamento dell'Accademia Svedese, ente designato a scegliere il vincitore del Premio Nobel per la letteratura, prevede che per ottenere il riconoscimento, l'opera in questione debba essere stata pubblicata nella lingua materna dell'autore, requisito di cui Il dottor Živago ovviamente difettava. Pertanto, a pochi giorni dal momento in cui l'assegnazione avrebbe dovuto essere resa nota, un gruppo di agenti della Cia e dell'intelligence britannica riuscì ad intercettare la presenza di un manoscritto in lingua russa a bordo di un aereo in volo verso Malta. Obbligarono così l'aereo a deviare, per entrare in possesso momentaneamente del manoscritto che, fotografato pagina per pagina, fu precipitosamente pubblicato su carta con intestazione russa e con le tecniche tipografiche tipiche delle edizioni russe. Questo lo stratagemma per consegnare il capolavoro perseguitato alla verità e al merito del Premio Nobel. Il resto della storia è meno avvincente e più conosciuto. Dapprima Pasternak inviò un telegramma a Stoccolma esprimendo la sua gratitudine attraverso parole di sorpresa e incredulità. Alcuni giorni più tardi, in seguito a pressanti minacce e avvertimenti da parte del KGB circa la sua definitiva espulsione dalla Russia e la confisca delle sue già limitatissime proprietà, lo scrittore con rammarico comunica all'organizzazione del prestigioso premio la sua rinuncia per motivi di ostilità del suo Paese. Pasternak rifiuta così la fama e il riconoscimento che avrebbe trovato all'estero per non vedersi negata la possibilità di rientrare in patria. Da allora trascorrerà il resto dei suoi giorni senza aver ritirato il premio e comunque perseguitato, morirà due anni più tardi in povertà a Peredelkino, nei dintorni moscoviti nel 1960. Da questo capolavoro della narrativa novecentesca sarà tratto il film omonimo di successo (1965) con Omar Sharif e Julie Christie. Il romanzo fu pubblicato legalmente in Russia solo nel 1988, nel periodo di riforma dell'Unione Sovietica promosso da Gorbačëv, e sarà nel 1989 che il figlio dell'autore Evgenij si recherà in Svezia per ritirare il premio spettante al padre 31 anni prima







venerdì 22 gennaio 2010



Una bella storia di fedeltà.

DA BAMBINA AVEVO, TRA I TANTI LIBRI DI FAVOLE,LA STORIA DI FLOP. ERA FLOP UN BARBONCINO NERO CHE,PER DISAVVENTURE SI PERDE E PER RITROVARE I SUOI PADRONI, PERCORRE KILOMETRI E KILOMETRI PROPRIO COME HA FATTO ROCHY. QUESTO RACCONTO L'HO LETTO E RILETTO,MI PIACEVA PENSARE CHE UN CANE AVESSE TANTO AMORE PER IL SUO PADRONE.FLOP PER ME,ORMAI, ERA VERO,USCIVA DALLE PAGINE DEL LIBRO E SI ACCOVACCIAVA ACCANTO A ME,MENTRE STUDIAVO.NON HO MAI CONSIDERATO UNA FAVOLA I SENTIMENTI DI FLOP VERSO IL SUO PADRONE. LOLITA PRIMA E KORA ADESSO MI CONFERMANO, DA ADULTA,CIO' CHE PENSAVO ALLORA(Maria Serritiello)

Salerno, 600 km per ritornare dal padrone il cane Rocky commuove l'Italia

FIRENZE (22 gennaio) - Ha percorso oltre 600 chilometri a quattro zampe per tornare dal suo padrone, da Salerno a Pisa. È arrivato arruffato, stanco e con i polpastrelli laceri e sanguinanti. È la storia di Rocky, 5 anni, un pastore tedesco preso quando era cucciolo, al canile, da Ibrahim Fwal, un siriano che vive da tempo a Carrara. I due, come racconta oggi La Nazione, erano inseparabili e durante l'estate il padrone portava Rocky alla spiaggia, in motorino e con casco da bambini agganciato sotto il muso.

Fu proprio in una di quelle gite, 3 anni fa, che, mentre Ibrahim faceva il bagno, un gruppo di zingari lo portò via. Da allora, il siriano non ha mai smesso di cercarlo, mettendo annunci sui giornali e affiggendo volantini. Nel frattempo, Rocky, forse abbandonato dai nomadi, era stato adottato da una famiglia di Salerno che, vista la propensione del cane a fuggire, gli aveva attaccato una targhetta al collare con nome e numero telefonico di riferimento.


Nei giorni scorsi, Rocky è stato trovato a Pisa da alcuni volontari: dopo aver chiamato la famiglia salernitana e aver ottenuto conferma del fatto che il cane era fuggito due mesi prima, si sono accorti del tatuaggio risalendo così al suo vero padrone. A Rocky sono stati così risparmiati gli ultimi 100 chilometri di strada.






Il cane mi domanda
e non rispondo.
Salta, corre pei campi e mi domanda
senza parlare
e i suoi occhi
sono due richieste umide, due fiamme
liquide che interrogano
e io non rispondo,
non rispondo perche'
non so, non posso dir nulla.

In campo aperto andiamo
uomo e cane.

Brillano le foglie come
se qualcuno
le avesse baciate
a una a una,
sorgono dal suolo
tutte le arance
a collocare
piccoli planetari
su alberi rotondi
come la notte, e verdi,
e noi, uomo e cane, andiamo
a fiutare il mondo, a scuotere il trifoglio,
nella campagna cilena,
fra le limpide dita di settembre.

Il cane si ferma,
insegue le api,
salta l'acqua trepida,
ascolta lontanissimi
latrati,
orina sopra un sasso,
e mi porta la punta del suo muso,
a me, come un regalo.
È la sua freschezza affettuosa,
la comunicazione del suo affetto,
e proprio li' mi chiese
con i suoi due occhi,
perch è è giorno, perch è verra' la notte,
perch è la primavera
non porto' nella sua canestra
nulla
per i cani randagi,
tranne inutili fiori,
fiori, fiori e fiori.
E cosi' m'interroga
il cane
e io non rispondo.

Andiamo
uomo e cane uniti
dal mattino verde,
dall'incitante solitudine vuota nella quale solo noi
esistiamo,
questa unita' fra cane con rugiada
e il poeta del bosco,
perch è non esiste l'uccello nascosto,
n è il fiore segreto,
ma solo trilli e profumi
per i due compagni:
un mondo inumidito
dalle distillazioni della notte,
una galleria verde e poi
un gran prato,
una raffica di vento aranciato,
il sussurro delle radici,
la vita che procede,
e l'antica amicizia,
la felicita'
d'essere cane e d'essere uomo
trasformata
in un solo animale
che cammina muovendo
sei zampe
e una coda
con rugiada.
Pablo Neruda

giovedì 21 gennaio 2010




Sara' ma questa musichina mi mette un 'allegria e mi carica di energia non so se me la lasciano nel blog, ma suggerisco di ascoltarla su you tube e mi darete ragione
MIKA RAIN

ODDIO SE SI LEGGE IL TESTO TRADOTTO C'E' DA RICREDERSI. IO ADORO NON CONOSCERE L'INGLESE,NON HO IL DOVERE DI CANTARE O DIEVRTIRMI CON PEZZI CHE SE CAPITA DI TRADURLI.........

HO CEDUTO ALLA TENTAZIONE ED ECCO LA TRADUZIONE......
UNA BOIATA PAZZESCA....... MA IO ASCOLTO LA MUSICA, LE PAROLE NON MI SERVONO,
NE INVENTO QUANTO NE VOGLIO


Traduzione della canzone:

E ‘davvero necessario
Ogni singolo giorno
Mi rendi sempre più ordinario
In ogni modo possibile
Questa mente ordinaria è rotto
L’hai fatto e non lo sai nemmeno
Mi lasci con le parole non dette
Faresti meglio a tornare, perché io sono pronto per

Più di questo
Qualunque esso sia
Baby, io odio giorni come questo

Catturato in una trappola
Non riesco a guardare indietro
Baby Io odio giorni come questo

Quando piove e piove
E piove e piove
Quando piove e piove
E piove e piove

Quando piove e piove
E piove e piove
Quando piove e piove
E piove e piove

Più di questo
Baby Io odio giorni come questo

E ‘davvero necessario
Ogni singolo giorno
Mi rendi sempre più ordinario
In ogni modo possibile
Questa mente ordinaria è rotto
L’hai fatto e non lo sai nemmeno
Mi lasci con le parole non dette
Faresti meglio a tornare, perché io sono pronto per

Più di questo
Qualunque esso sia
Baby, io odio giorni come questo

Catturato in una trappola
Non riesco a guardare indietro
Baby Io odio giorni come questo

Quando piove e piove
E piove e piove
Quando piove e piove
E piove e piove

Quando piove e piove
E piove e piove
Quando piove e piove
E piove e piove

Quando piove e piove
E piove e piove
Quando piove e piove
E piove e piove

Quando piove e piove
E piove e piove
Quando piove e piove
E piove e piove

Più di questo
Baby Io odio giorni come questo
Più di questo
Baby Io odio giornate come





«Amare è non dover mai dire mi spiace»
Addio a Erich Segal, padre di Love story

Il suo nome rimarrà legato al best seller del '70
che ha commosso il mondo intero

Si è spento domenica per un attacco di cuore a 72 anni a Oxford Erich Segal. Nato a New York, il 16 giugno 1937, era figlio di un rabbino di Brooklyn, dove frequentò la Midwood High School. Laureato in letteratura latina nel 1958 a Harvard, insegnò la sua materia anche a Yale e Princeton, prima di trasferirsi in Inghilterra e insegnare a Oxford, e dopo aver lavorato per un master e aver ottenuto nel 1965 un dottorato in letteratura comparata. Nel 1975 sposò Karen Marianne James, da cui ebbe due figlie.

Oltre che autore di saggi e volumi di letteratura greca, in particolare sulla Tragedia, e latina, in particolare sulla Commedia da Plauto a Terenzio, Segal scrisse vari altri romanzi e sceneggiature, incluso il sequel di Love Story nel 1977, Oliver's Story, che non ebbe però eguale successo. Più fortunati furono altri suoi titoli, da The class, saga di una leva di studenti, quella del 1958, a Harvard, a quello che può esserne visto come un seguito, Doctors, che segue alcuni medici dopo la laurea in quella medesima università. Anche Prizes del 1995 ebbe un certo seguito, sempre d'ambientazione medica.

La sua storia rimane comunque intrecciata a Love Story, il film di cui scrisse la sceneggiatura negli anni Sessanta e da cui trasse un romanzo che fu un best seller internazionale nel 1970, tradotto in 33 lingue. Vicenda sentimentale e dolorosa, vede come protagonisti sono Oliver Barrett IV, rampollo di una ricca famiglia che studia ad Harvard e Jenny Cavilleri, amante della musica e di povera famiglia di immigrati d'origine italiana. I due si ameranno e supereranno tutti gli impedimenti messi loro davanti dalla differenza di status, dalle famiglie, supportati da una profonda comprensione l'uno dell'altro. Una storia perfetta dal tragico finale, un amore eteno suggellato dalla morte.



mercoledì 20 gennaio 2010





"È bello anche morire per le proprie idee... chi ha il coraggio di sostenere i propri valori muore una volta sola, chi ha paura muore ogni giorno" Paolo Borsellino

Paolo Emanuele Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940 – Palermo, 19 luglio 1992) è stato un magistrato italiano, vittima della mafia.

È considerato un eroe italiano, come Giovanni Falcone, di cui fu amico e collega

« Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo. »
(Lirio Abbate, Peter Gomez)


Nell'introduzione del libro L'agenda rossa di Paolo Borsellino Marco Travaglio scrive:

« Oggi, quindici anni dopo, non è cambiato nulla. L’impressione è che, ai piani alti del potere, quelle verità indicibili le conoscano in tanti, ma siano d’accordo nel tenerle coperte da una spessa coltre di omissis. Per sempre. L’agenda rossa è la scatola nera della Seconda Repubblica. Grazie a questo libro cominciamo a capire qualcosa anche noi »
(Marco Travaglio)


Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, parla esplicitamente di "strage di Stato":

« Perché quello che è stato fatto è proprio cercare di fare passare l’assassinio di Paolo e di quei ragazzi che sono morti in via D’Amelio come una strage di mafia. [...] Hanno messo in galera un po’ di persone - tra l’altro condannate per altri motivi e per altre stragi - e in questa maniera ritengono di avere messo una pietra tombale sull’argomento. Devo dire che purtroppo una buona parte dell’opinione pubblica, cioè quella parte che assume le proprie informazioni semplicemente dai canali di massa - televisione e giornali - è caduta in questa chiamiamola “trappola” [...] Quello che noi invece cerchiamo in tutti i modi di far capire alla gente [...] è che questa è una strage di stato, nient’altro che una strage di stato. E vogliamo far capire anche che esiste un disegno ben preciso che non fa andare avanti certe indagini, non fa andare avanti questi processi, che mira a coprire di oblio agli occhi dell’opinione pubblica questa verità, una verità tragica perché mina i fondamenti di questa nostra repubblica. Oggi questa nostra seconda repubblica è una diretta conseguenza delle stragi del ‘92 »
(Salvatore Borsellino)

« Io accetto la... ho sempre accettato il... più che il rischio, la... condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall'inizio che dovevo correre questi pericoli.
Il... la sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, in... in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me.
E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare... dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro. »
(Paolo Borsellino, intervista a Sposini, inizio luglio 1992)

La figura di Paolo Borsellino, come quella di Giovanni Falcone, ha lasciato un grande esempio nella società civile e nelle istituzioni.













PER NON DIMENTICAREEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE

martedì 19 gennaio 2010


www.Cartoline.it



..........IN QUEL TRISTE MESE DI OTTOBRE A CUI FAI CENNO,ERO PROSTRATA DALLA SOFFERENZA PER UN ALTRO UOMO.FRA TANTI,ANCHE PIU' ADATTI ,AVEVO SCELTO TE PER TROVARE LA FORZA DI DIMENTICARE DI TORNARE A RIDERE.TI PREGAVO DI ASCOLTARMI MENTRE PARLAVO DI LUI;LO RIMPIANGEVO DAVANTI AI TUOI OCCHI,QUASI ME LA PRENDEVO CON TE PERCHE' NON ERI LUI.IL TUO AMORE DISCRETO TENACE,DISINTERESSATO E FORSE PERSINO EROICO,FINI' PER VINCERE SULLA MIA OSSESSIONE.VISTO CHE TU MI AMAVI NON POTEVO PIU' DIRE STUPIDAMENTE CHE ERO SENZA SPERANZA.......
DA "LASCIAMI SOLA"
DI MARCELLE SAUVAGEOT

lunedì 18 gennaio 2010






E TORNATO LIBERO ALI AGCA, L'ATTENTATORE DI PAPA WOJTYLA.

Mehmet Ali Ağca (pronuncia IPA: mehmet ali aɣʤa; Yesiltepe, 9 gennaio 1958) è un terrorista turco, condannato per l'assassinio di Abdi Ipekci, un giornalista liberale, e per il tentato omicidio di papa Giovanni Paolo II.


Militante nell’organizzazione terroristica di estrema destra, denominata "Lupi grigi", il 1 febbraio 1979, Mehmet Ali Ağca uccide Abdi Ipekci, giornalista e direttore del quotidiano liberale Milliyet. Il 25 novembre 1979 riesce ad evadere dal carcere di massima sicurezza di Kartal Maltepe. Dopo l’evasione partono le sue prime minacce di attentato al Papa Giovanni Paolo II, probabilmente lo scopo è quello di eliminare i sospetti di un complotto nella successiva azione terroristica.

Il 13 maggio 1981, pochi minuti dopo l'ingresso di Wojtyla in Piazza San Pietro per l'udienza generale, Ağca gli spara due colpi di pistola. Cerca di raggiungere il colonnato per uscire dalla piazza, ma viene costretto a fermarsi per tenere a bada alcuni astanti. Si gira rapidamente per riprendere la corsa, ma nel movimento il braccio con cui tiene la pistola sbatte contro la schiena di un frate, e la pistola gli sfugge di mano. Riprende la corsa ma ormai è disarmato, e nel colonnato viene infine bloccato ed arrestato.

Il 22 luglio 1981, dopo tre giorni di processo per direttissima, i giudici della corte di Assise, condannano Mehmet Ali Ağca all’ergastolo. Ali Ağca rinuncia a presentare appello contro la sentenza di condanna che motivava la pena, esplicitando che l’attentato "non fu opera di un maniaco, ma venne preparato da un’organizzazione eversiva rimasta nell’ombra". La difesa sostenne, invece, che Ağca aveva agito da solo, in preda ad una schizofrenia paranoica, mossa dal desiderio di diventare un eroe del mondo musulmano. Il 12 marzo 1982 il Consiglio nazionale di sicurezza turco conferma la condanna a morte di Ağca per l’uccisione del giornalista. Una successiva amnistia commuta la pena in dieci anni di detenzione. Nel 1982 Ağca cambia versione ed inizia a parlare di una pista bulgara che collegherebbe l’attentato del Papa ai servizi segreti della Bulgaria. Viene anche individuato un presunto complice, Oral Celik, che sarebbe intervenuto in caso di fallimento di Ağca. La sentenza del 29 marzo 1986 non riesce però a dimostrare la tesi del complotto. Il 20 febbraio 1987 il Papa riceve la mamma ed il fratello di Ağca che gli chiedono di intercedere per la grazia. La buona condotta in carcere diminuirà ulteriormente la pena: il 25 maggio 1989 il Tribunale di sorveglianza di Ancona concede una riduzione di 720 giorni di reclusione; il 9 gennaio 1994 la riduzione è di altri 405 giorni; il 18 dicembre 1995 è di 180 giorni. Tali provvedimenti consentono di abbreviare il termine di 26 anni di reclusione, scontati i quali un ergastolano può chiedere la libertà condizionata


Ağca, nel settembre del 1996, presenta nuovamente la domanda di grazia o in subordine l’espiazione della pena in Turchia. Il 13 giugno 2000, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi concede la grazia dopo che la Santa Sede si era dichiarata "non contraria" al provvedimento. In questo modo, il giorno successivo Ali Ağca viene estradato dall’Italia e giunge ad Istanbul. In Turchia, nel carcere di massima sicurezza di Kartal, Ali Ağca dovrà scontare 3.492 giorni, cioè i dieci anni per l'assassinio del giornalista Abdi Ipekci. Il 18 luglio 2001 un provvedimento del Tribunale costituzionale turco predispone un allargamento dei reati beneficiari di amnistia. L’avvocato di Ağca, Şevket Can Ozbay, ritiene che in base al provvedimento è possibile scontare completamente la pena dei dieci anni di detenzione per l’omicidio del giornalista. Se tale interpretazione risulterà valida ad Ali Ağca non restano che altri cinque anni di prigione, avendo già scontato due anni e due mesi.

Il 12 gennaio 2006 viene scarcerato dal carcere di Kartal a Istanbul e per un breve periodo se ne perdono le tracce poiché non si presenta in questura come avrebbe dovuto, asserendo in seguito di voler evitare la calca dei giornalisti. Dopo soli nove giorni di libertà la Corte suprema turca ordina che Ağca venga nuovamente imprigionato per un errato computo nella diminuzione della pena. L'ordinanza di carcerazione è eseguita il 20 gennaio 2006

Dopo 29 anni di carcere Ağca è stato scarcerato,oggi,18 gennaio 2010, dall'istituto di pena di Sincan, alla periferia di Ankara. All'atto della scarcerazione ha dichiarato di essere Gesù Cristo e ha preannunciato la fine del mondo











domenica 17 gennaio 2010





17 gennaio 1985 la British Telecom annuncia il ritiro delle cabine rosse del telefono britanniche

British Telecom ha pensato di dismettere completamente le proprie cabine pubbliche, simbolo di un Regno Unito vittoriano e di un'epoca ormai passata. Le tipiche cabine telefoniche inglesi, con il loro colore rosso accesso e le vetrate in stile vittoriano, hanno segnato la crescita e la caduta dell'Impero Britannico, simbolo stesso di quell'Inghilterra che un tempo dominava un enorme impero coloniale

Dove c'era una cabina telefonica rossa, voleva dire che era territorio inglese, che fosse l'Australia, l'India, il Sud Africa o i Caraibi. Adesso British Telecom, da cui dipende la divisione che si occupa delle cabine pubbliche, sta pensando di eliminare le ultime rimaste, ormai sottoutilizzate o del tutto inutilizzate. L'avvento dell'era della comunicazione mobile di massa ha fatto si che fosse più conveniente acquistare ed utilizzare un telefonino piuttosto che le cabine pubbliche. BT ha tentato di rinnovare l'utilizzo delle cabine dotandone un gran numero, ed altre sono destinate ad arrivare,di monitor e tastiere per collegarsi ad Internet, ma finora il loro uso è stato molto modesto.



Molte vecchie cabine,ormai,sono passate nelle mani di ricchi collezionisti di varie parti del mondo, soprattutto americani, con prezzi che variano da 3500 a 5000 Euro ognuna. Il destino delle Red Phonebox sembra ormai segnato nei salotti di qualche amante californiano o nelle hall degli Hotel di Las Vegas.




venerdì 15 gennaio 2010




VOGLIA DI POESIA

Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all'orecchio degli amanti....
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

Alda Merini


M E M O R I E

Folate
soffiate sul cuore….
memorie.
Lampi accesi
e spenti repentini…
gli occhi.
L’abbraccio che
l’amplesso incomincia
profondo graffia
e sanguino stille
e muoio incapace.

31-10-2003 Maria Serritiello

giovedì 14 gennaio 2010





IL 13 GENNAIO 2010 UN DEVASTANTE TERREMOTO SPAZZA VIA HAITI, UN TERRITORIO POVERISSIMO DEI CARAIBI.SI STIMANO PIU' DI 500 MILA MORTI,TRA CUI ANCHE ITALIANI.UN'ECATOMBE,ALTRA ECATOMBE DI POVERI!!!.






Haiti è una nazione dell'America situata nel Mar dei Caraibi. Un tempo colonia francese, è stata - dopo gli Stati Uniti - una delle prime nazioni delle Americhe a dichiarare la propria indipendenza. Il territorio haitiano copre la parte occidentale dell'isola di Hispaniola e confina a est con la Repubblica Dominicana. Haiti è il paese più povero delle Americhe

L'indipendenza dalla Francia è stata dichiarata il 1º gennaio 1804. Venne riconosciuta nel 1825 dalla Francia e nel 1863 dagli Stati Uniti.

Dall'inizio del 2004 Haiti è al centro di una rivolta popolare che ha causato disordini e violenza ed ha portato il 29 febbraio alla partenza dall'isola del dimissionario presidente Jean-Bertrand Aristide. Il governo è stato retto ad interim dal presidente della Corte di cassazione, Boniface Alexandre, fino alle elezioni presidenziali tenutesi il 7 febbraio 2006 da cui, pur tra molte proteste ed accuse di broglio da parte dei suoi avversari, è uscito eletto Réné Préval.

L'isola è stata colpita nell'estate 2004 dall'uragano Jeanne.



mercoledì 13 gennaio 2010





QUANDO PARLO DI CULTURA NON LO FACCIO PER SNOBBISMO MA PERCHE' TUTTI ABBIAMO DIRITTO AD AVERE LA GIUSTA VISIONE DELLA REALTA'NELLA QUALE VIVIAMO E LA PROPRIA STORIA, PER POTER CERCARE, PRIMA E CREARE, POI UN FUTURO MIGLIORE E PIU' GIUSTO.

gelminiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii lo capirai mai tu e chi ti sta intorno???

CONTINUIAMO A VEDERE I FILMATI DI "PANE AMARE"












IN FB STAMATTINA HO RICEVUTO QUESTO MESSAGGIO CHE QUI POSTO PER INTERO PERCHE' POSSIAMO INSIEME RIFLETTERE E NON CERCARE I BUONI E I CATTIVI A TUTTI I COSTI MA SOLO "L'UOMO" DI QUALUNQUE COLORE ABBIA LA PELLE. FARE IN MODO CHE I DISAGIATI, I DISEREDATI,SENZA PATRIA E CODICE DELLA CONVIVENZA CIVILE ABBIANO LA NOSTRA MANO TESA. TUTTI NOI ABBIAMO BISOGNO DEGLI ALTRI,SE DIVENTIAMO TRISTI E SOLE MONADI NON CI SARà FUTURO PER I NOSTRI FIGLI.

GELMINIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII INVESTI NELLA SCUOLA PERCHE'E': PIU' SCUOLA PIU' CULTURA PIU', L'UMANITA' DIVENTA RICCA DI VALORI,QUELLI CHE ABBIAMO SMARRITO TUTTI!!!.
Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali". "Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purchè le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione".

Da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912.

Non ci andava meglio in Svizzera, negli anni ’70 con i leader che scrivevano: “Le mogli e i bambini degli immigrati? Sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che minacciano nello spettro d’una congiuntura lo stesso benessere dei cittadini. Dobbiamo liberarci del fardello». «Dobbiamo respingere dalla nostra comunità quegli immigrati che abbiamo chiamato per i lavori più umili e che nel giro di pochi anni, o di una generazione, dopo il primo smarrimento, si guardano attorno e migliorano la loro posizione sociale. Scalano i posti più comodi, studiano, s’ingegnano: mettono addirittura in crisi la tranquillità dell’operaio svizzero medio, che resta inchiodato al suo sgabello con davanti, magari in poltrona, l’ex guitto italiano».

In quegli anni – ieri rispetto alla Storia - in Svizzera c’erano circa 30.000 bambini italiani clandestini, portati di nascosto dai genitori siciliani e veneti, calabresi e lombardi, a dispetto delle rigorose leggi elvetiche contro i ricongiungimenti familiari, genitori terrorizzati dalle denunce dei vicini che raccomandavano perciò ai loro bambini: non fare rumore, non ridere, non giocare, non piangere.

Prima degli anni ’50 gli italiani andavano a Bucarest per lavorare nelle fabbriche e nelle miniere e alla scadenza del permesso di soggiorno restavano in Romania, clandestini. Nel 1942 il Ministro dell’Interno fu costretto ad inviare a tutti i Questori una circolare con la quale li si invitava a non far espatriare gli italiani in Romania.

In India, nel 1893, il console italiano scriveva a Roma per dire che in quella città tutti quelli che sfruttavano la prostituzione venivano chiamati “italiani”.

Tra la prima e la seconda guerra mondiale molti italiani andavano in America con passaporti falsi o biglietti inviati da pseudo parenti italo americani. In realtà una volta sbarcati li attendevano turni di lavoro massacranti perché ripagassero, senza stipendio, il costo di quel viaggio della speranza.

Non sono aneddoti. E’ storia, tratta dalla Mostra “Tracce dell’emigrazione parmense e italiana fra il XVI e XX secolo” (Parma, 15 aprile 2009).

Gian Antonio Stella, nel suo bellissimo libro “Quando gli albanesi eravamo noi”, ci ricorda che “….Quando si parla d’immigrazione italiana si pensa solo agli ’zii d’America’, arricchiti e vincenti, ma nessuno vuole sapere che la percentuale di analfabeti tra gli italiani immigrati nel 1910 negli USA era del 71% o che gli italiani costituivano la maggioranza degli stranieri arrestati per omicidio” o ancora che il primo attentato nella storia con un’auto imbottita di esplosivo è stato fatto a New York, non da terroristi ma da criminali italiani contro una banda avversaria.

Forse ci ricordano che la nostra Terra gira, gira velocemente nello spazio e nel tempo creando nuovi ricchi ed ammassando nuovi poveri. I ruoli si invertono ma i clandestini restano anche se hanno un colore diverso. Fuggono da Paesi in cui l’unica prospettiva è morire per fame o morire per guerre volute da altri. Ed allora questa gente può solo correre, correre, correre impazzita verso il nord, verso il mediterraneo, verso quelli che credono essere orizzonti migliori.