Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso.....

Pablo Neruda





domenica 31 maggio 2009



SE SI E' SALERNITANO "DOC"ED IO LO SONO, NON SI PUO' NON TIFARE PER LA SQUADRA CITTADINA.E IERI SIAMO USCITI DALL'INCUBO. SIAMO SALVI.LA SERIE "B" E'ANCORA PER NOI, NEL PROSSIMO CAMPIONATO.

UN PO' DI STORIA

La Salernitana è la principale squadra di calcio di Salerno.

La società è stata rifondata nel 2005 con il nome di Salernitana Calcio 1919 in seguito all'esclusione della Salernitana Sport dai campionati professionistici. Attualmente milita in Serie B e gioca le sue partite in casa nello stadio Arechi.

La squadra vanta la seconda tifoseria della serie B, facendo registrare per la stagione 2008/09 una media di 11.441 sostenitori a partita. Tale media è seconda soltanto a quella del neopromosso Bari.

Nel corso della sua storia è stata 2 volte in serie A, nella stagione 1947/48 e nel campionato 1998/99.

La Salernitana non è mai retrocessa al di sotto del campionato di terzo livello, e pertanto non ha mai militato in serie C2 e in categorie dilettantistiche.

Colori sociali: Granata
Simboli: Ippocampo
Inno: Il potere deve essere granata
Sandro Scuoppo

La storia calcistica di Salerno ha origine nel febbraio del 1913, ossia quando nasce il Foot Ball Club Salerno grazie a Donato Vestuti (fondatore e presidente), che organizza la prima partita ufficiale nella città di Salerno: il 22 febbraio 1913 a Salerno, in piazza d'armi, si affrontano FBC Salerno e FBC Settembrini. Vincerà per 2 a 0 la squadra salernitana.


Il presidente Donato VestutiTra il 1913 ed il 1915 il calcio salernitano muove i primi passi attraverso i campionati provinciali, in cui si affrontano la FBC Salerno, le altre squadre cittadine (come lo Sport Club Audax Salerno, nato anch'esso nel 1913) e altri diversi club della provincia di Salerno. Dopo il 1915 l'attività calcistica ufficiale è sospesa a causa della prima guerra mondiale. Inoltre, la chiamata alle armi del presidente Vestuti e la sua scomparsa per cause belliche (nel 1918), sancisce lo scioglimento della FBC Salerno

Con la fine della Grande Guerra riprende l'attività agonistica a Salerno, ed il 19 giugno 1919, al n. 67 di Corso Umberto I a Salerno, si svolge l'assemblea della costituenda Unione Sportiva Salernitana, con presidente Adalgiso Onesti. La maglia ufficiale di questa squadra è a righe verticali bianche e celesti, ed è a partire da questa data che comincia la storia del calcio salernitano all'interno della FIGC.

Nello stesso anno si assiste inoltre ai primi derby contro "i rivali di sempre", quelli della Cavese, il club calcistico di Cava dei Tirreni in provincia di Salerno. La prima gara della storia, giocata in campo neutro a San Severino, vede vincere i cugini per 3-2, mentre qualche mese dopo a Salerno il derby termina 6 a 0 per la Salernitana e successivamente a Cava 4-1 sempre per la Salernitana (anche se la gara sarà poi sospesa dall'arbitro per oscurità), e poi, nuovamente a Salerno, nel campo di Piazza D'Armi, 3-1 per i salernitani. La Salernitana partecipa al suo primo campionato nell'inverno del 1920, iscrivendosi nella Seconda Categoria del Comitato Regionale Campano. Riesce ad arrivare in finale e affronta i napoletani del club chiamato "Brasiliano" dall'omonimo bar dove aveva sede la società partenopea. La gara di andata termina 5 a 0 per il Brasiliano, quella di ritorno 5 a 0 per la Salernitana: occorre dunque una terza finale, e si decide di giocarla sul campo neutro di Nocera Inferiore. I napoletani non si presentano, e nella piazza salernitana scoppia la festa: la Salernitana è ammessa nel campionato di Prima Categoria della Campania.

La Salernitana ricordata da Alfonso Gatto

«... Parlerò dei portieri. Il più vecchio che ho conosciuto era quello della squadretta del mio paese. Allora, in verità, era una squadra e il mio paese era una città che ad oriente aveva cinto con un muro una spianata per farne la Piazza d'Armi e il campo di calcio della domenica. Quel portiere si chiamava Finizio. La squadretta Salernitana. In quei tempi essa si manteneva in vita col fiato, raccoglieva giocatori locali e aveva per traguardi due vittorie, una con il Vomero e una col Savoia, l'undici di Torre. Alla domenica erano i portuali delle due città rivali a ritrovarsi sul rettangolo di gioco come nemici che avevano parecchie partite aperte da saldare e qualche ferito da mandare all'ospedale. Finizio era l'eroe. Basso piuttosto, ma agile come un gatto si dava e si sdava a far tutte difficili le sue parate, a tirar applausi, facendosi magari perdonare a furia di lavoro proprio quel gol, che rimandava sconfitta agli spogliatoi la sua squadra"



ECCOVI LE PIU' BELLE COREOGRAFIE DEI MAGNIFICI RAGAZZI DELLA CURVA SUD NEL VECCHIO STADIO "VESTUTI" E NEL NUOVO "ARECHI"





CHI NON E' SALERNITANO NON CONOSCE L'ANTICA RIVALITA' CON LA CITTADINA VICINA "CAVA DEI TIRRENI" IO VERAMENTE HO UN CONTO IN SOSPESO.......COMUNQUE E'ACQUA PASSATA, MA, SPAZIANDO SU YOUTUBE, HO TROVATO QUESTO SIMPATICO SFOTTO' E MI E' SEMBRATO CARINO,SENZA ACRIMONIA,POSTARLO.



venerdì 29 maggio 2009




COMINCIA LA BELLA STAGIONE,UN INVITO A CERCARE LUOGHI D'ARTE

Paestum è un'antica città della Magna Grecia sacra a Poseidone (Poseidonia) ma devotissima anche a Hera e Atena. Il suo territorio è ancora oggi cinto dalle mura greche, così come modificate in epoca lucana e romana poi.

Si trova in Campania, nel comune di Capaccio-Paestum, in provincia di Salerno, circa 40 chilometri a sud del capoluogo della provincia (92 a sud di Napoli).

È situata nella Piana del Sele, vicino al litorale, nel golfo di Salerno

La città fu fondata intorno all'inizio del VII secolo a.C. da coloni Greci provenienti da Sybaris con il nome di Poseidonia. La ricchezza della città è documentata dalla costruzione avvenuta tra il VI ed il V secolo a.C. di grandi templi le cui rovine si sono ben conservate fino ai giorni nostri.

In seguito all'invasione dei Sibariti, alcuni "esuli pestani" si rifugiarono nell'entroterra dando vita all'insediamento di Controne

Nel V secolo a.C. i Lucani, popolo italico di ceppo Sabellico, conquistarono la città e le diedero il nome di Paistom. Nel 273 a.C. divenne colonia romana di diritto latino con il nome di Paestum dopo che la città aveva parteggiato per il perdente, Pirro, nella guerra contro Roma agli inizi del III secolo a.

La città rimase sempre sotto il dominio romano, ma iniziò ad entrare in declino fra il quarto ed il VII secolo, probabilmente a causa dei cambiamenti nel drenaggio che portarono all'impaludamento e al contemporaneo arrivo in Europa della malaria. Dopo le distruzioni portate dai Saraceni nel IX secolo e dai Normanni nell'XI, il sito fu abbandonato durante il Medioevo, quando gli abitanti, allontanatisi, fondarono Capaccio

I templi
La Basilica
la sorgente Capo di FiumeParticolarmente importanti sono i tre grandi templi, due di ordine dorico, e uno di ordine dorico e ionico, che costituiscono alcuni dei migliori esemplari di questi stili.

il Tempio di Hera: chiamato la "basilica di Herathos" (ca. 540 a.C.), era uno dei più grandi templi greci costruito in pietra. Il più antico dei tre, reca i segni della sua arcaicità in alcune peculiarità strutturali, ad esempio nella peristasi enneastila (di 9 colonne) sui lati brevi.

Il Tempio di Athena (ca. 500 a.C.): in precedenza noto come tempio di Cerere, è più piccolo, e presentava colonne ioniche all'interno del pronao.

Il Tempio di Nettuno: ma in realtà anche questo dedicato ad Hera, mostra le forme mature del tempio di Zeus di Olimpia

l'Heraion alla foce del Sele, antico santuario extramurario dedicato alla dea Hera

Museo
Il museo mostra un' importante collezione di antichi oggetti greci dell'Italia meridionale. Sono esposti pezzi derivati dai ritrovamenti dei dintorni di Paestum, in primo luogo i corredi funebri provenienti dalle necropoli greche e lucane. Tra questi molti vasi, armi e dipinti.

I più importanti sono i dipinti provenienti dalla celebre Tomba del tuffatore (480-470 a.C.), unici esempi di pittura greca di età classica e della Magna Grecia, che interpretano la transizione dalla vita al regno dei morti, come un salto del tuffatore nell'acqua

Riscoperta

Dopo l'XI secolo Paestum cadde nel più completo oblio e fu riscoperta solo nel XVIII secolo, quasi contemporaneamente alle città romane di Pompei ed Herculaneum. La riscoperta ebbe al tempo grande attenzione. Una spedizione nella palude era tappa obbligata del Grand Tour, il programma di viaggi di formazione artistica.

(DE)
« Endlich, ungewiss, ob wir durch Felsen oder Trümmer führen, konnten wir einige große länglich-viereckige Massen, die wir in der Ferne schon bemerkt hatten, als überbliebene Tempel und Denkmale einer ehemals so prächtigen Stadt unterscheiden. » (IT)
« Finalmente, incerti, se camminavamo su rocce o su macerie, potemmo riconoscere alcuni massi oblunghi e squadrati, che avevamo già notato da distante, come templi sopravvissuti e memorie di una città una volta magnifica. »
(Goethe, Viaggio in Italia, 23 marzo 1787)



giovedì 28 maggio 2009



E ALLORA COME LA METTIAMO CARO MINISTRO???? FANNULLONI NOI????MA MI FACCIA IL PIACERE.........

SARA' MA NON RIESCO A PRENDERLO SUL SERIO .CROZZA HA FATTO DELLA SUA IMITAZIONE UN CAPOLAVORO ED IO ME LA RIDO,MA PROPRIO TANTO




mercoledì 27 maggio 2009




IL 27 Maggio 1840 a Nizza muore Niccolò Paganini violinista e compositore italiano.

E'considerato uno fra i maggiori violinisti dell'Ottocento, sia per la padronanza dello strumento, sia per le innovazioni apportate in particolare allo staccato e al pizzicato.

La sua attività di compositore fu legata a quella di esecutore, in quanto trovava innaturale eseguire musiche sulle quali non aveva un completo controllo

Nato a Genova nel 1782 da una modesta famiglia originaria di Carro (SP), il padre Antonio, faceva imballaggi al porto ed era appassionato di musica. Con la madre Teresa, abitavano in Vico Fosse del Colle, al Passo della Gatta Mora, un carugio di Genova

Fin dalla più giovane età, Niccolò apprese dal padre, le prime nozioni di musica sul mandolino e in seguito fu indirizzato dal padre allo studio del violino, non a torto il Paganini è considerato autodidatta, in quanto i suoi due maestri furono di scarso valore e non ricevette che una trentina di lezioni di composizione da Gaspare Ghiretti. Malgrado ciò, all'età di 12 anni, già si faceva ascoltare nelle Chiese di Genova e diede un concerto nel 1795 al teatro di San Agostino, eseguendo delle sue variazioni sull'aria piemontese "La Carmagnola", per chitarra e violino, andate perdute, finché il padre lo condusse a Parma nel 1796, all'età di 14 anni. A Parma, Niccolò si ammalò di polmonite che venne curata col salasso, che lo indeboliva e lo costrinse ad un periodo di riposo nella casa paterna di val Polcevera vicino a Sampierdarena. Qui arriva a studiare fino a 10-12 ore al giorno su un violino costruito dal Guarneri

Paganini imitava i suoni naturali, il canto degli uccelli, i versi degli animali, i timbri degli strumenti, come il flauto, la tromba e il corno. Dopo diede dei concerti nell'Italia Settentrionale e in Toscana. Raggiunta una portentosa abilità, andò di nuovo in Toscana, ove ottenne le più clamorose accoglienze.
Nel 1801, all'età di 19 anni, interruppe la propria attività di concertista, e si dedicò per qualche tempo all'agricoltura e allo studio della chitarra.
In breve tempo diventò virtuoso anche di chitarra e scrisse molte sonate, variazioni, e concerti.

"Paganini non ripete

Questo detto popolare ebbe origine nel febbraio del 1818 al Teatro Carignano di Torino, quando Carlo Felice, dopo aver assistito ad un concerto di Paganini, fece pregare il maestro di ripetere un brano. Paganini, che amava improvvisare molto di quello che suonava e alcune volte si lesionava i polpastrelli, gli fece rispondere «Paganini non ripete». Per questo motivo gli fu tolto il permesso di eseguire un terzo concerto in programma.

martedì 26 maggio 2009




Michael Nicholas Salvatore Bongiorno, più noto come Mike Bongiorno (New York, 26 maggio 1924), è un conduttore televisivo statunitense naturalizzato italiano.

Insieme a Pippo Baudo, Corrado, Enzo Tortora e Raimondo Vianello, è tra i più noti volti della televisione italiana fin dalla sua nascita.

Italoamericano, figlio di madre torinese. Il nonno paterno, Michelangelo Bongiorno, era emigrato da Campofelice di Fitalia a quel tempo frazione di Mezzojuso in Sicilia, dove aveva una bottega. Tornò, ancora piccolo, con la madre a Torino, dove frequentò il liceo classico. Durante la seconda guerra mondiale, abbandonò gli studi e, grazie alla sua conoscenza dell'inglese, fu impiegato come staffetta per le comunicazioni tra Alleati e gruppi partigiani. Fu catturato dalla Gestapo e messo al muro per essere fucilato, ma si salvò perché fu perquisito e gli agenti tedeschi gli trovarono i documenti americani. Allora essi lo portarono nel carcere di San Vittore a Milano, dove fu detenuto per 7 mesi, per poi venire deportato dapprima nel campo di transito di Bolzano (dove fu testimone delle atrocità commesse da Michael Seifert, alias "Misha"), poi nel campo di concentramento austriaco di Mauthausen. Fu liberato prima della fine del conflitto grazie ad uno scambio di prigionieri di guerra tra Stati Uniti e Germania.

Bongiorno è noto per i suoi numerosi strafalcioni. Giocando su questa propensione, Mike ha fatto delle gaffe una delle sue più riconoscibili caratteristiche di scena. Se agli inizi la diretta televisiva (RAI) impediva di evitare imprecisioni, con le registrazioni delle tv commerciali non vi sono dubbi circa l'uso mirato di questo modo di far spettacolo.

Una delle gaffes più note è in realtà - come riscontrabile presso gli archivi RAI[4] - una leggenda metropolitana che riferisce come, nella puntata del 16 luglio 1970 del telequiz Rischiatutto, la campionessa in carica Giuliana Longari sbagliò la risposta su una domanda di carattere ornitologico (secondo altre versioni, una domanda di Pittura su Paolo Uccello) ed il commento di Bongiorno fu: «Ahi! ahi! ahi! Signora Longari... Mi è caduta sull'uccello!».

La leggenda nasce probabilmente nel 1976 ad opera della trasmissione satirica L'altra domenica di Renzo Arbore, in cui il presunto incidente veniva usato nelle gag che ironizzavano sui quiz televisivi.

Le sue gaffe più popolari, probabilmente provocate anche dagli stessi autori e su cui lo stesso Mike gioca, derivano da facili doppi sensi, da storpiature di nomi propri, o da domande fuori luogo sulla vita privata dei concorrenti (tipico caso è il chiedere notizie sulla salute del marito ad una vedova).

Memorabile gaffe durante una puntata di Rischiatutto: in una domanda riguardante papa Paolo VI, lesse "Pio x" invece di "Pio Decimo", e stupito chiese: «Ma chi sarà questo signor Paolòvi, del quale non ho mai sentito parlare?».



lunedì 25 maggio 2009



San Pio da Pietrelcina, noto anche come Padre Pio da Pietrelcina, al secolo Francesco Forgione (Pietrelcina, 25 maggio 1887 – San Giovanni Rotondo, 23 settembre 1968), è stato un presbitero italiano.

Religioso dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, nel 2002 è stato proclamato santo da papa Giovanni Paolo II: la sua memoria liturgica viene celebrata il 23 settembre, anniversario della morte. È stato destinatario, ancora in vita, di una venerazione popolare di imponenti proporzioni, anche in seguito alla fama di taumaturgo da lui acquisita derivante da presunte capacità soprannaturali attribuitegli, ma è stato anche fatto oggetto di forti critiche e di sospetti in ambienti ecclesiastici e non.

Il frate scelse il nome religioso di Pio per onorare il santo martire venerato nell'attuale chiesa di Sant'Anna in Pietrelcina, anche se, in seguito, il suo onomastico sarà celebrato nella memoria di san Pio V.

Gli agiografi descrivono la personalità di Padre Pio come simpatica e ricca di umanità, anche se apparentemente burbera e scostante, di temperamento piuttosto sanguigno. Fra le caratteristiche che gli vengono riconosciute, oltre all'abitudine di burlarsi degli amici, vi è la tendenza a frequenti e repentini cambi di umore. Amava intrattenere rapporti epistolari, arrivando a scrivere migliaia di lettere, raccolte dopo la sua morte in numerosi e spessi volumi

Francesco Forgione nacque il 25 maggio 1887 a Pietrelcina, un piccolo comune alle porte di Benevento. Fu battezzato il giorno successivo nella chiesa di Sant'Anna. Gli venne dato il nome Francesco per desiderio della madre, devota a San Francesco d'Assisi

Nell'agosto del 1918 fra Pio affermò di avere le prime visioni di un personaggio che lo trafiggeva con una lancia, lasciandogli una ferita costantemente aperta (vedi transverberazione). Poco tempo dopo, in seguito ad una ulteriore visione, fra Pio affermò di aver ricevuto delle stigmate. Tali lesioni vennero variamente interpretate: come segno di una particolare santità, o come una patologia della cute (per es. piaghe da psoriasi), o come auto-inflitte.

L'inizio del manifestarsi delle stigmate risale al 1910, quando per la sua malattia il religioso aveva avuto il permesso di lasciare il convento e di vivere nella sua casa natale a Pietrelcina. Non distante dal paese, tutti i giorni dopo aver celebrato la messa, si recava in una località detta Piana Romana, dove il fratello Michele aveva costruito per lui una capanna e dove aveva la possibilità di pregare e meditare all'aria aperta, che giovava molto ai suoi polmoni malati.Il fenomeno delle stigmate, come poi rivelò al suo confessore cominciò a manifestarsi proprio in quel luogo, nel pomeriggio del 7 settembre 1910, e si manifestò con maggior intensità un anno dopo nel settembre 1911, allora il frate scrisse al suo direttore spirituale:

« In mezzo al palmo delle mani è apparso un po' di rosso, grande quanto la forma di un centesimo, accompagnato da un forte ed acuto dolore. Questo dolore è più sensibile alla mano sinistra. Anche sotto i piedi avverto un po' di dolore. »


Nello stesso periodo cominciarono a circolare voci secondo le quali [9] la sua persona aveva cominciato ad emanare un inspiegabile profumo di gelsomino.

La notizia della comparsa delle stigmate fece il giro del mondo e repentinamente San Giovanni Rotondo fu meta di pellegrinaggio da parte di persone che speravano di ottenere grazie. Il merito di alcune conversioni e guarigioni inaspettate fu attribuito dai pellegrini all'intercessione del frate presso Dio. La popolarità di padre Pio e di San Giovanni Rotondo crebbe ancora grazie al passa-parola e la località dovette cominciare ad attrezzarsi per l'accoglienza di un numero di visitatori sempre maggiore.


domenica 24 maggio 2009






VOGLIO DARVI ATTRAVERSO LE IMMAGINI IL PERCORSO CHE HO FATTO OGGI.VENITE CON ME!





sabato 23 maggio 2009



ECCO LE ULTIME 6 PUNTATE. MA CHE BRAVIIIIIIIIIIIII










venerdì 22 maggio 2009




LA BUONA TELEVISIONE DI UN TEMPO !! DIVERTIVA E INFORMAVA SENZA APPESANTIRE NESSUNO.QUANTO SE NE SENTE LA MANCANZA!! E LA BRAVURA DEGLI ATTORIE DEI CANTANTI? ECCO ALTRE 6 PUNTATE













DOMANI LE ULTIME 6 PUNTATE E POI IL CAPOLAVORO DI DUMAS PADRE SARA' COMPLETATO.

giovedì 21 maggio 2009




I tre moschettieri (Les trois mousquetaires) è un romanzo d'appendice scritto dal francese Alexandre Dumas (padre) nel 1844 e pubblicato originariamente a puntate sul giornale Le Siècle. È uno dei romanzi più famosi e tradotti della letteratura francese e ha dato inizio ad una trilogia, che comprende Vent'anni dopo (1845) e Il visconte di Bragelonne (1850).

I tre moschettieri del titolo sono Athos, Porthos e Aramis.

Trama
Francia, 1625: lo squattrinato ed intraprendente guascone D’Artagnan si reca a Parigi per mettersi al servizio di re Luigi XIII portando con sé una lettera di presentazione indirizzata al signore di Tréville, capitano del corpo dei moschettieri.

Proprio nel palazzo di Tréville, D’Artagnan fa la rocambolesca conoscenza di Athos, Porthos e Aramis, i più celebri moschettieri del re. In pochi minuti i tre, l’uno all’insaputa dell’altro, sfidano a duello il giovane guascone. Mentre D’Artagnan sta per battersi a turno con Athos, Porthos e Aramis, intervengono le guardie del cardinale Richelieu, le quali dichiarano in arresto i contendenti in quanto i duelli sono stati proibiti. I moschettieri ed il coraggioso guascone si avventano sulle guardie a spada sguainata ed escono vittoriosi dal sanguinoso scontro. Poco tempo dopo il signore di Tréville e i suoi moschettieri vengono convocati a corte di Luigi XIII, il quale anziché rimproverarli per aver disobbedito alle leggi, si complimenta con loro.

Nella politica francese il primo ministro, cardinale Richelieu, è schierato -anche se solo formalmente- con il Re, mentre non ama per nulla la Regina Anna d'Austria, perché imparentata con famiglie che rappresentano un pericolo per la Francia. Di lei si è innamorato il duca di Buckingham: il suo è un amore folle, che non può essere apertamente ricambiato senza destare scandalo. Per convincere Buckingham a tornare in Inghilterra, la Regina gli regala dodici puntali di diamanti, ricevuti in dono dal marito. Ma Richelieu trama nell’ombra e propone a Luigi XIII di organizzare un gran ballo di corte. “Quale occasione migliore perché la Regina possa sfoggiare i puntali di diamante che le avete regalato, maestà?” chiede il cardinale, sicuro di mettere in difficoltà la sovrana. Il Re accetta la proposta e per la Regina è assolutamente necessario recuperare in tempi brevi il dono fatto al duca di Buckingham.

Contattato da Costanza Bonacieux, la guardarobiera della regina di cui è innamorato, D’Artagnan accetta l’incarico di raggiungere il duca di Buckingham in Inghilterra per farsi consegnare i dodici puntali di diamanti. Il guascone si mette in viaggio, accompagnato da Athos, Porthos e Aramis, ma la delazione del marito di Costanza mette sulle loro tracce gli uomini del cardinale, incaricati di far fallire la missione.

Alla prima sosta presso una locanda, i moschettieri sono provocati da uno sconosciuto che inneggia a Richelieu e costringe Porthos al duello. Temendo una trappola, gli altri tre ripartono e, subito fuori della cittadina di Beauvais, incontrano una decina di uomini intenti a lavorare lungo una strada dissestata: in realtà è una trappola. Aramis, ferito, viene affidato alle cure di un locandiere, mentre Athos e D’Artagnan proseguono il viaggio sino ad Amiens, dove vengono ingiustamente accusati di essere dei falsari di monete. Athos viene bloccato, ma D’Artagnan riesce a raggiungere Calais, dove, seppur ferito, s’imbarca sul traghetto per l’Inghilterra.

Raggiunta Londra, D’Artagnan si presenta al duca di Buckingham, che gli consegna i puntali di diamanti. Ne mancano però due, trafugati da Milady de Winter, una spia del cardinale. Il duca ne fa realizzare una coppia perfettamente identica all’originale dal gioielliere del Re. La missione è compiuta e D’Artagnan ritorna a Parigi, giusto in tempo per consegnare i puntali e salvare l’onore della Regina.

La vendetta del cardinale colpisce Costanza, che viene rapita da Milady, mentre D’Artagnan parte, su ordine di Tréville, alla ricerca dei tre amici moschettieri. Per primo recupera Porthos, rimasto in attesa nella locanda; poi è il turno di Aramis, ritiratosi a Crevecoeur a meditare; infine, D’Artagnan ritrova Athos, barricato nella dispensa della locanda dove era stato accusato di essere un falsario. Nel frattempo è scoppiata la guerra contro l’Inghilterra e i moschettieri vengono inviati a combattere a La Rochelle, l’ultimo possedimento degli inglesi in Francia. Per vincere la guerra, Richelieu manda Milady in Inghilterra con lo scopo di far assassinare il duca di Buckingham. Intanto D’Artagnan apprende che Costanza è stata liberata e si trova nel convento delle carmelitane di Le Bethune, ma vi giunge troppo tardi: Costanza è morente, avvelenata dalla perfida Milady.

La morte di Costanza getta nello sconforto D’Artagnan, che vuole a tutti i costi consegnare alla giustizia Milady. Insieme con i tre moschettieri e un misterioso uomo dal mantello rosso, si mette all’inseguimento della diabolica nemica, la raggiunge e l’accusa dei suoi tremendi delitti. Milady respinge ogni addebito, ed è a questo punto che avanza il misterioso uomo avvolto nel mantello rosso che si rivela essere il boia di Lilla. Anni prima Milady era stata la diretta responsabile del suicidio del fratello del boia. Ora è giunto il momento della vendetta: Milady viene condannata a morte e decapitata la notte stessa.

Anziché combattere i suoi avversari, Richelieu, uomo privo di scrupoli che ha però sempre agito per il bene della Francia, riconosce i servizi resi al paese da D’Artagnan e dai suoi tre amici, concedendo al guascone la nomina a luogotenente dei moschettieri. Un sogno si è avverato: D’Artagnan è festeggiato da Athos, Porthos e Aramis, non più solo amici, ma ora anche colleghi.


Personaggio principale

D'Artagnan — Tutto il racconto gira attorno a questo personaggio e al suo gruppo di amici. D'Artagnan è un giovane "guascone" (nato in Guascogna, antica provincia francese), che proviene da una famiglia dalle modeste possibilità economiche, dell'età di 18 anni, che parte alla volta di Parigi per arruolarsi nei Moschettieri.

Pare che D'Artagnan sia un personaggio realmente esistito, che effettivamente, come narrato nell'ultimo romanzo della trilogia di Dumas, fu nominato maresciallo di Francia, e che scrisse le "Memorie di D'Artagnan" da cui lo scrittore prese spunto.

IL FILM PIU' CELEBRE E' DEL 1948

Titolo originale: The Three Musketeers
Lingua originale: {{{linguaoriginale}}}
Paese: USA
Anno: 1948
Durata: 125'
Colore: colore
Audio: sonoro
Genere: azione / avventura
Regia: George Sidney
Soggetto: Alexandre Dumas (padre)
Sceneggiatura: Robert Ardrey
Interpreti e personaggi
Lana Turner: Lady Carlotta de Winter (Milady)
Gene Kelly: D'Artagnan
June Allyson: Constance
Van Heflin: Athos
Angela Lansbury: Queen Anne
Frank Morgan: King Louis XIII
Vincent Price: Richelieu
Keenan Wynn: Planchet
John Sutton: The Duke of Buckingham
Gig Young: Porthos
Robert Coote: Aramis
Reginald Owen: Treville
Ian Keith: Rochefort
Patricia Medina: Kitty
Richard Wyler: Albert
Kirk Alyn: Amico di Aramis
Gregg Barton:
Charles Bates: Fratello di D'Artagnan
Wilson Benge: Valet
David Blair: Fratello di D'Artagnan
Gordon Clark:
Fred Coby:
Dickie Dubins: Fratello di D'Artagnan
William Edmunds:
Byron Foulger:
Sol Gorss: Jussac
Frank Hagney:
Jean Heremans: Guardia del cardinale
Arthur Hohl:
John Holland:
Burt Kennedy:
Michael Kostrick:
Norman Leavitt: Mousqueton
Paul Maxey: Major Domo
Francis McDonald:
Alberto Morin: Bazin
Leonard Penn: Musketeer
Gil Perkins: Felton
William 'Bill' Phillips: Grimaud
Ruth Robinson: Madre di D'Artagnan
Carl Saxe: Guardia
Irene Seidner:
Reginald Sheffield: Subalterno
Dick Simmons: Conte di Wardes
Mickey Simpson:
David Thursby:
Tom Tyler:
Robert Warwick:
Harry Wilson:
Marie Windsor:

Doppiatori originali:
Doppiatori italiani:
Rosetta Calavetta: Lana Turner
Adolfo Geri: Gene Kelly
Miranda Bonansea: June Allison
Gualtiero De Angelis: Van Heflin
Olinto Cristina: Frank Morgan
Clelia Bernacchi: Angela Lamsbury
Sandro Ruffini: Vincent Price
Stefano Sibaldi: Keenan Wynn
Emilio Cigoli: John Sutton
Mario Pisu: Gig Young
Mario Ferrari: Ian Keith











LE ALTRE PUNTATE NEI GIORNI SEGUENTI. MA CHE BRAVI TUTTI E IL MITICO QUARTETTO CETRA!!!

mercoledì 20 maggio 2009




Le foto dei papaveri le ho scattate io.Il prossimo anno, in questo campo, non nasceranno di nuovo.


QUALCHE POESIA PER ALLEGGERIRE LA GIORNATA

Come in un abbraccio

Il pitosforo in fiore
come ornato velo
ovunque cespuglia
e tra gli spazi io vedo
l’azzurro unico del mare,
le rose colorate,carta d’Amalfi,
le pergole oscure dei limoni
e i riflessi cinerei
dei glicini appesi.
Un cespo di ginestre
e due papaveri rossi
sulla via,
che intorno s’avvita
come in un abbraccio.

Maria Serritiello

20-4-2007 da una passeggiata a Ravello(19-4 2007)

Stelle

Non ho,
da altro cielo,
stelle da rimpiangere
qui,
a stazionar sul mio capo,
ci sono tutte.
Insieme,
il mare
prudente e vicino,
le riflette.
Il tuo sorriso,
balenio
nella notte,
che priva s’alza,
spolvera
il passato….

Maria Serritiello

Cantieri navali Soriente 1-8-2008

RETROSPETTIVA

E mi portasti per mano
all’imbrunire d’agosto,
per le antiche vie della mia città,
tra freschi vicoli
d’ombra ammuffita.
In angoli bui
tu
srotoli la memoria,
io tornata bambina
lecco il gelato.
Cala la sera lungo la via del porto
e ancora inseguo un bacio
non dato.

Maria Serritiello



martedì 19 maggio 2009




Riti Arborei Lucani.
I riti arborei rappresentano un notevole patrimonio culturale della Regione lucana che bisogna valorizzare e tutelare senza essere tentati di trasformarli in fenomeno da baraccone turistico di massa.


Vediamo più da vicino alcuni riti.

Accettura.

Da tempo immemorabile, la sagra del Maggio"dedicata al patrono San Giuliano, è celebrata ad Accettura in occasione della Pentecoste, essendo però inglobata in un arco temporale ben più ampio.
La scelta del "Maggio" e della "Cima", infatti, avviene rispettivamente la prima e la seconda domenica dopo Pasqua, mentre il taglio del "Maggio" avviene il giorno dell'Ascensione.
La festa di Accettura si presenta nulla più complessa dell'unione tra due piante, una di alto fusto, simbolicamente di sesso maschile, e l'altra di agrifoglio, altrettanto simbolicamente di sesso femminile abbattute la prima nel bosco di Montepiano e trasportata in paese con l'ausilio di oltre 50 coppie di buoi di razza podolica, allevati dai contadini accetturesi esclusivamente per la festa, la seconda nella foresta di Gallipoli Cognato trasportata a spalle per 15 chilometri da ragazzi, l'uno e l'altro corteo accompagnati da cortei processionali con la ritmica di suoni e canti.
Durante la sosta dei rispettivi cortei gli accetturesi tirano fuori da capienti sacche tutto il meglio della tradizione culinaria del posto, da salsicce a sopressate a fumanti ricotte, caciocavalli e tanto ma tanto buon vino. Fino all'arrivo in paese nel tardo pomeriggio, quando i due cortei festosi si incontrano e inizia la vera festa di popolo con il compimento del matrimonio.
Nei giorni successivi seguono le operazioni culminanti dell'innesto, dell'erezione e della scalata del "Maggio", secondo uno schema classico che contraddistingue la festa dalle altre feste degli altri paesi.

Castelmezzano.

Una delle tradizioni più belle di Castelmezzano, durante la festa di Sant'Antonio, è il "MAGGIO". La Domenica prima del 13 Settembre c'è il taglio dell'Albero della Cuccagna.
Ci si riunisce nel bosco per scegliere la pianta destinata alla festa e con una grande sega si taglia come facevano i boscaioli una volta. Poi si sceglie la cima da mettere sull'albero e nel bosco si attrezza una grande tavolata con prodotti tipici di Castelmezzano e si festeggia fino a sera con canti e balli. Il 12 Settembre si traina con i buoi il "Maggio" al Paese durante il percorso, accompagnati dalla banda musicale e dai cittadini, si allestiscono dei tavoli con prodotti tipici di Castelmezzano.Nel pomeriggio durante la processione al quartiere Santa Croce si innalza l'Albero della Cuccagna. La mattina del 13 Settembre, dopo la SS Messa si svolge la Processione per le vie del Paese. Nel pomeriggio si tenta la scalata del "Maggio" chi riesce a salire fino alla cima si porta a casa tutti i premi che sono stati offerti durante la festa. La sera tutti in piazza a far festa con complessi musicali e fuochi pirotecnici.



Pietrapertosa.

Nella notte di Giugno, al chiaro di luna, i buoi e i massari si portano nel bosco dove giace, disteso, quello che fu un cerro, illuminato dai tenui bagliori dei fuochi.
Alle prime luci dell'alba la cima di agrifoglio e il tronco si avviano, festosi, nella lunga marcia.
Il sole splende molto in alto e sulle cime ventose delle Piccole Dolomiti Lucane il pero selvatico raccoglie intorno a sè uomini affaticati che si ristorano con pane, vino e salsiccia. Timidamente i buoi osservano musicanti, ragazzi e turisti che li accompagnano nella piccola marcia. Il corteo man mano si ingrossa, i colpi scuri, le voci, i suoni, i muggiti si fondono in un'unica sinfonia sulla ... VIA DEL MAGGIO.
La cima e il tronco arrivano, in trionfo, alle porte di Pietrapertosa. Centinaia di mani, decine di zampe, insieme, si sforzano per posizionare il tronco, mentre il sole, al tramonto, si schiaccia sui monti. Il tronco riposa nella notte mentre si scava la buca; la cima aspetta il mattino per congiungersi ad esso nel giorno dedicato a Sant'Antonio da Padova. Lisciato, inghirlandato, l'albero è pronto; mani forti afferrano poderosi funi che si tendono ... pochi minuti e l'albero punta dritto verso il sole; il rito è compiuto. Il Maggio è lì, ponte ideale tra la storia e la cronaca, tra la natura e l'uomo.

Viggianello.

I riti arborei di Viggianello rappresentano un unicum nel ventaglio delle tradizioni del Mezzogiorno d'Italia. Nei boschi, ogni anno - per ben tre volte - vengono abbattuti gli alberi di faggio, 'Pitu’ e ‘Cuccagna’, destinati al trasporto con i buoi in paese. Un terzo albero viene abbattuto, la 'Rocca', un abete, che andrà a unirsi alla 'Cuccagna' o alla 'Pitu', a esprimere la fusione della forza virile e della fecondità femminile e a simboleggiare la fecondità della terra.
Prima del trasporto, gli animali ('paricchi') e i bovari ('gualani') vengono benedetti sul sagrato della chiesa, in ossequio alla sacralità dei gesti che si consumano durante l'intero rito, che è di origine pagana.
A Viggianello si può assistere a questo rituale in tre periodi diversi dell'anno: la prima settimana dopo Pasqua, l'ultima domenica d'agosto e la seconda domenica di settembre.

Rotonda.

La Sagra dell’Abete di Rotonda è senza alcun dubbio quella che più rispetta i riti e i gesti di una tradizione atavica che ci rimanda ai mitici riti celtici. Infatti, in Svezia, si soleva portare nei villaggi un enorme pino, quello più bello, che, dopo essere stato ornato, si ergeva in piedi e il popolo vi danzava intorno con grande allegria. L’albero restava nel villaggio l’intero anno per essere poi, sostituito con uno fresco l’anno successivo. Il rituale rispecchia appieno ciò che accade a Rotonda. Trovate le origini, è facile intuire come a Rotonda il matrimonio arboreo venne introdotto durante il dominio normanno (Federico II di Svevia costruiva la sua ultima dimora in terra di Lucania, il castello di Lagopesole, nel 1241) e, in ogni caso, venne dedicata a S. Antonio non prima di 800 anni or sono, quando i riti pagani con elementi orgiastici vennero “purgati” dalla Chiesa, che per renderli più accettabili, sovente li sposò a questo o a quel Santo. In una atmosfera di incanto, di intensi profumi e variopinti colori, si rinnova, così, l’appassionante ed inimitabile “Sagra dell’Abete”, in onore di S. Antonio da Padova che, tra storia e leggenda, si narra passò per Rotonda nel XIII sec., fece sosta nei boschi del Pollino, trascorrendo una notte sotto un abete in località Marolo. Anni dopo, nello stesso punto, un bovaro inciampando precipitò in un burrone, invocò disperatamente il nome del Santo che gli apparve in tutto il suo splendore, salvandolo. Il miracolato raccontò l’accaduto a valle ed annualmente si recò con i suoi per abbattere un abete ed offrirlo in onore del Santo protettore. Da allora, niente è cambiato, la Sagra ha mantenuto intatto il suo fascino, le sue usanze proponendo sempre gli stessi riti.





lunedì 18 maggio 2009




NELL'APPROSSIMARSI DELLE VOTAZIONI,UN RIPASSO SULLE PROPRIE IDEEE POLTICHE, CON IL MITICO "GIORGIO GABER"E' UTULE PER TUTTI......



MA DOPO AVER RIFLETTUTO .................ANCORA CON "GABER"SCEGLIAMO........LA LIBERTA'








MA CHI ERA GIORGIO GABER??

Giorgio Gaber al secolo Giorgio Gaberscik (Milano, 25 gennaio 1939 – Montemagno di Camaiore, 1º gennaio 2003) è stato un cantautore, attore e commediografo italiano.

Nato a Milano in una famiglia piccolo-borghese di origini slovene goriziane, Giorgio Gaberscik iniziò a suonare a causa di un infortunio alla mano che imponeva un'attività costante e non pericolosa ai fini della rieducazione motoria. Considerato che lo stato generale di salute del bimbo non era tra i migliori e che il fratello maggiore Marcello suonava la chitarra, si pensò di avviarlo allo strumento. L'idea diede buoni risultati, sia sotto il profilo medico che sotto quello artistico e a 14 anni Gaber viene scritturato per un veglione di capodanno, riscuotendo il primo cachet di 1.000 lire


La sua carriera artistica inizia come chitarrista nel gruppo Ghigo e gli arrabbiati, band che si origina all'Hot Club di Milano; l'esordio del gruppo arriva al festival jazz di Milano nel 1954. Dopo due anni di serate, Nel 1958 scrive insieme a Luigi Tenco la canzone "Ciao ti dirò", che verrà portata al successo da Adriano Celentano, che però gli preferisce la chitarra di Ricky Gianco. Gaber inizia un nuovo sodalizio con Enzo Jannacci. La canzone, incisa dallo stesso Gaber, gli frutterà la prima apparizione televisiva alla trasmissione Il Musichiere; visto che sia Tenco che Gaber non erano ancora iscritti alla SIAE, richiesero il deposito della canzone Ciao ti dirò (ispirata a "Jailhouse Rock" di Elvis Presley), che risulta firmata da Giorgio Calabrese e Gian Piero Reverberi, anche se composta dai due. I due composero poi altri brani insieme sviluppando parallelamente anche un'intensa amicizia.

Nel 1958 Gaber e Tenco parteciparono, insieme a Adriano Celentano, Enzo Jannacci, Paolo Tomelleri e Gianfranco Reverberi, ad una tournée in Germania dai molti risvolti curiosi (vedi sito esterno).

Con Enzo Jannacci formò un duo, I due corsari, che debuttò alla fine del 1958 con due flexy-disc, Comme facette mammeta (un classico della canzone umoristica napoletana) e Non occupatemi il telefono, allegati alla rivista "Il musichiere" e proseguì l'anno successivo con alcuni 45 giri, incisi per la Dischi Ricordi; tutte queste canzoni sono state raccolte in un album pubblicato dalla Family, sottoetichetta della Ricordi, ed intitolato Giorgio Gaber - Enzo Jannacci (in nessuno dei 45 giri era invece riportato il loro nome), album pubblicato probabilmente nei primi anni sessanta (ma non è possibile stabilire una data certa perché non è stampata né nel vinile né sull'etichetta).

Dopo un sodalizio sentimentale-artistico con la cantante e attrice Maria Monti, nel 1965 Gaber sposa Ombretta Colli, allora studentessa di lingue orientali (cinese e russo) all'Università Statale di Milano. Nel 1966 nasce la loro unica figlia, Dalia
Partecipò a quattro edizioni di Sanremo.

Gaber, entrato grazie alla conduzione di alcuni programmi televisivi Rai nelle case di tutta Italia, si impone come giovane cantautore dai testi intelligenti e garbati. L'azienda televisiva puntava su di lui per un pubblico giovane, appassionato di musica d'importazione statunitense. Ma, sul finire degli anni '60, Gaber comincia a maturare uno stile più aggressivo, impegnato politicamente. La sua immagine di cantastorie garbato e mai sopra le corde, non lo soddisfa più. Nel 1969 lancia uno dei suoi successi più noti, "Com'è bella la città", esempio di inserimento di tematiche sociali nella canzone.

Ma il disagio di Gaber è meglio espresso nella canzone che segna il passaggio dal primo al secondo Gaber: "Suona chitarra", dove rivendica il diritto di esprimere le problematiche dell'uomo senza dover per forza divertire e distrarre il pubblico con la sua chitarra. Nel 1970, al Piccolo teatro di Milano, si presenta con la prima felice edizione de "Il Signor G", un recital che avrebbe portato in molte piazze italiane nelle numerose ripetute edizioni.

Questo è il momento di svolta nella sua carriera: Gaber rinuncia all'enorme successo televisivo e porta la "canzone a teatro" (creando il genere del teatro canzone). In teatro, Gaber si sente più libero. I testi (quasi interamente scritti con il suo amico pittore Sandro Luporini) si caratterizzano per l'intelligenza dello sviluppo di molte tematiche sociali e politiche, spesso controcorrente. Gaber si fa più aggressivo e arrabbiato e, in nome di un personalissimo spessore artistico, si scaglia contro le ipocrisie della destra e della sinistra italiana






In realtà, qualsiasi definizione va stretta ad un personaggio simile, affettuosamente chiamato "il Signor G" dai suoi estimatori. È stato anche un chitarrista di vaglia, interprete della prima canzone rock in italiano (nell'anno 1958, Ciao ti dirò).

Molto apprezzate sono state anche le sue performance come autore ed attore teatrale; è stato iniziatore assieme a Sandro Luporini del 'genere' denominato teatro canzone.

A Giorgio Gaber è dedicato il rinnovato auditorium sotterraneo del Grattacielo Pirelli, a Milano


GIORGIO GABER ALL'INIZIO DELLA SUA CARRIERA ....COME LO RICORDO IO........ E COME MI E'RESTATO NELLA MENTE....

domenica 17 maggio 2009




Il 17 maggio del 1510 muore a Firenze Sandro Botticelli

Sandro Botticelli, vero nome Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi (Firenze, 1 marzo 1445 – Firenze, 17 maggio 1510), è stato un pittore italiano.

Sandro Botticelli nacque in Borgo Ognissanti, ultimo di quattro figli maschi e crebbe in una famiglia modesta ma non povera, mantenuta dal padre, Mariano di Vanni Filipepi, che faceva il conciatore di pelli ed aveva una sua bottega nel vicino quartiere di Santo Spirito.

Il fratello Antonio era un orefice di professione, per cui è molto probabile che l'artista abbia ricevuto una prima educazione presso la sua bottega, mentre sarebbe da scartare l'ipotesi di un suo tirocinio avvenuto nella bottega di un amico del padre, un certo maestro Botticello, come riferisce il Vasari nelle Vite, dal momento che ancora oggi non esiste alcuna prova documentaria che confermi l'esistenza di questo artigiano attivo in città in quegli anni.

Il nomignolo pare invece che fosse stato inizialmente attribuito al fratello Giovanni, che di mestiere faceva il sensale e che nella portata al catasto del 1458 (la dichiarazione dei redditi dell'epoca), veniva chiamato vochato Botticello, poi esteso a tutti i membri maschi della famiglia e dunque adottato anche dal pittore.



Il suo vero e proprio apprendistato si svolse nella bottega di Filippo Lippi dal 1464 al 1467 circa; risalgono infatti a questo periodo tutta una serie di Madonne che rivelano la diretta influenza del maestro sul giovane allievo

Risultarono però determinanti nel progressivo processo di maturazione del suo linguaggio pittorico anche le influenze ricevute da Antonio del Pollaiolo e Andrea del Verrocchio.

La Primavera

Il dipinto è stato composto per l’omonimo cugino o nipote di Lorenzo il magnifico. Questa opera, che va analizzata stranamente da destra verso sinistra, rappresenta il vero e proprio trionfo dell’allegoria: tecnicamente l’analisi di questa opera si presenta molto semplice e lineare; viene data molta rilevanza alla linea e al ritmo che, insieme all’ intreccio complicato ma quasi unitario tra alberi e piante, tendono a far risaltare i corpi dinamici e danzanti. Da un punto di vista invece più profondo, l’analisi risulta parecchio più complicata e addirittura comprensibile solo ai filosofi: Botticelli, essendo dunque particolarmente interessato ai concetti neoplatonici, accetta quindi anche da Platone la sua idea, intendendola come qualcosa che va al di là sia della natura(quindi dello spazio) sia della storia(quindi del tempo); quindi chi si ferma ad osservare la bellezza dei corpi e dei visi e la delicatezza dei colori, cosa a cui mirava la pittura umanistica quattrocentesca come quella di Piero della Francesca, non può comprendere come questi splendidi arazzi servano soltanto a far capire l’idea della natura eterna, perfetta e metafisica

La Nascita di Venere

L'opera si ritiene essere stata realizzata in un periodo compreso tra il 1482 ed il 1484. Questa opera è l’esaltazione più alta del modo in cui Botticelli concepiva l’idea eterna: questo lavoro però non deve essere inteso come un dipinto pagano che esalta soltanto la bellezza muliebre, ma, essendo che per i filosofi e i letterati di quella cerchia il cristianesimo preesisteva, come idea, già anche prima della venuta di Cristo anche nelle altre comunità come nei Romani e che di conseguenza il paganesimo non esisteva, dato che ogni religione partecipa alla sua idea, uno dei significati impliciti, che trova corrispondenza nel mito della nascita di Venere dall’acqua marina, può essere proprio quello cristiano della nascita dell’anima, unico “elemento” che può conoscere la vera essenza delle cose, dall’acqua del battesimo. Inoltre la nudità di Venere serve per dare quelle caratteristiche proprie dell’anima modello: purezza, semplicità, mancanza di ornamenti. Nel dipinto infine notiamo altre due figure, quella del Vento rappresentato da Zefiro e Bora, e quella dell’ancella che accorre col manto fiorito(allusione alla veste d’erbe e di fiori della natura), che insieme a Venere fanno nascere, arrivare al massimo dell’intensità e spegnere il ritmo, che viene dominato solo dal demone platonico, dal furor malinconicus di Ficino, e che rappresenta qualcosa che nasce, vive e muore, proprio come il corpo e che viene dunque governato e superato dall’anima eterna, che però fa vedere questa vita come qualcosa di nostalgica che poi andrà perduta.

sabato 16 maggio 2009




I premi"OSCAR" vennero consegnati per la prima volta nella Blossom Room dell' Hollywood Roosevelt Hotel di Los Angeles

Il 16 maggio 1929

Il nome ufficiale della statuetta dorata è Academy Award of Merit, mentre vi sono varie versioni su come venne coniato il nomignolo Oscar : secondo la più accreditata, esso originò da un'esclamazione di Margaret Herrick, impiegata all'Academy of Motion Picture Arts and Sciences, la quale, vedendo la statuetta sopra un tavolo, esclamò: «Assomiglia proprio a mio zio Oscar!»

I film che hanno ricevuto più Oscar sono:

Ben-Hur del 1959 diretto da William Wyler - 11 Oscar su 12 nomination
Titanic del 1997 diretto da James Cameron - 11 Oscar su 14 nomination
Il Signore degli Anelli: Il ritorno del Re del 2003 diretto da Peter Jackson - 11 Oscar su 11 nomination
I film che hanno ricevuto più nomination sono:

Eva contro Eva del 1950 diretto da Joseph L. Mankiewicz - 14 nomination agli Oscar di cui 6 vinti
Titanic del 1997 diretto da James Cameron - 14 nomination agli Oscar di cui 11 vinti
Gli attori che hanno vinto più Oscar sono:

Katharine Houghton Hepburn - 4 Oscar su 12 nomination, vinti tutti come Migliore attrice protagonista per La gloria del mattino del 1933, Indovina chi viene a cena? del 1967, Il leone d'inverno del 1968 e Sul lago dorato del 1981
John Joseph Nicholson, Jr. in arte Jack Nicholson - 3 Oscar su 12 nomination, di cui 2 vinti come Miglior attore protagonista per Qualcuno volò sul nido del cuculo del 1975 e Qualcosa è cambiato del 1997 e 1 vinto come Miglior attore non protagonista per Voglia di tenerezza del 1983
Walter Andrew Brennan - 3 Oscar su 4 nomination, vinti tutti come Miglior attore non protagonista per Ambizione del 1936, Kentucky del 1938 e L'uomo del West del 1940
Gli attori che hanno ricevuto più nomination sono:

Mary Louise Streep - 15 nomination agli Oscar di cui 1 vinto come Migliore attrice non protagonista per Kramer contro Kramer del 1979 e 1 vinto come Migliore attrice protagonista per La scelta di Sophie del 1982







venerdì 15 maggio 2009



15 Maggio 1989 Piazza Tien An Men

Con protesta di piazza Tian'anmen (nota anche come incidente di Piazza Tian'anmen in cinese 天安门事故, pinyin: Tiānānmén shìgù) si intendono una serie di dimostrazioni guidate da studenti, intellettuali, operai nella Repubblica Popolare Cinese tra il 15 aprile ed il 4 giugno 1989. Simbolo della rivolta è considerato il rivoltoso sconosciuto che in totale solitudine e completamente disarmato affronta una colonna di carri armati: le fotografie che lo ritraggono sono popolari nel mondo intero e sono per molti un simbolo di lotta contro la tirannide



giovedì 14 maggio 2009



Erri De Luca (Napoli, 20 maggio 1950) è uno scrittore e traduttore italiano

Valore

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finche' dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si e' risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varra' piu' niente e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordare di che .
Considero valore sapere in una stanza dov'e' il nord, qual e' il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l'uso del verbo amare e l'ipotesi che esista un creatore.

Molti di questi valori non ho conosciuto.


Elogio dei piedi”:

Perché reggono l'intero peso.
Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.
Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.
Perché portano via.
Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.
Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali.
Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.
Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.
Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.
Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.
Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.
Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.
Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.
Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.
Perché non sanno accusare e non impugnano armi.
Perché sono stati crocefissi.
Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l'appoggio.
Perché, come le capre, amano il sale.
Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.



mercoledì 13 maggio 2009





IL GIRO D'ITALIA COMPIE CENTO ANNI



La prima edizione della corsa a tappe italiana risale al 1909: partita il 13 maggio, alle ore 2.53, da Milano, si concluse ancora a Milano dopo 8 tappe per complessivi 2.448 chilometri, con la vittoria di Luigi Ganna.

Nell'organizzazione del Giro, La Gazzetta dello Sport anticipò di poco il Corriere della Sera che stava per lanciare l'iniziativa.

Il leader della classifica generale indossa ogni giorno la maglia rosa, lo stesso colore del quotidiano che organizza la corsa, La Gazzetta dello Sport; il miglior scalatore indossa una maglia verde, mentre il primo nella classifica a punti indossa una maglia ciclamino. Oltre a queste casacche, nel corso degli anni sono state messe in palio una casacca che di volta in volta ha contraddistinto l'ultimo in classifica (maglia nera), una per il miglior giovane (maglia bianca), oppure, come è accaduto negli ultimi anni, la maglia azzurra, la cosiddetta maglia dell'intergiro, traguardo volante posto di solito a metà tappa, (espediente con il quale gli organizzatori hanno pensato di rendere più movimentata la corsa dalle prime battute). Dal 2007 è tornata la maglia per il miglior giovane, considerata da ciclisti e addetti ai lavori molto significativa.

Il record di vittorie è condiviso da 3 ciclisti, ognuno con 5 vittorie, gli italiani Alfredo Binda, vincitore tra il 1925 e il 1933, Fausto Coppi, vincitore tra il 1940 e il 1953 e il belga Eddy Merckx, che vinse tra il 1968 e il 1974. Per quel che riguarda le vittorie di tappa, il record appartiene al velocista toscano Mario Cipollini, che nell'edizione del 2003 riuscì a superare il record di 41 vittorie che dagli anni '30 apparteneva ad Alfredo Binda; a quest'ultimo rimangono i record di vittorie di tappa in una stessa edizione, 12 tappe su 15 nel 1927, e di vittorie di tappa consecutive, ben 8 nel 1929







martedì 12 maggio 2009




Luigi Vanvitelli nato Lodewijk van Wittel (Napoli, 12 maggio 1700 – Caserta, 1 marzo 1773) è stato un pittore e architetto italiano.

Nato da una famiglia di artisti originaria di Amersfoort (Olanda), il suo cognome originario (van Wittel) fu italianizzato in Vanvitelli dal padre Gaspar (Gaspare Vanvitelli), che, emigrato a Roma nel 1674, vi svolse attività di pittore fino al 1736, divenendo l'iniziatore del vedutismo.

Luigi Vanvitelli iniziò la propria attività come pittore, seguendo l'esempio del padre, per poi dedicarsi all'architettura e divenire uno dei più importanti architetti italiani del periodo fra il Barocco e il Neoclassicismo. Allievo del poco noto Antonio Valeri, Vanvitelli si ispirò all'opera di alcuni grandi architetti del Barocco, come Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini, Carlo Fontana, Filippo Juvarra e studiò a fondo i trattati e le opere degli architetti dell'antichità e del Rinascimento. Negli anni della formazione strinse una duratura amicizia e collaborazione con Nicola Salvi e si affiliò all'Accademia dell'Arcadia

Nel 1750 il re di Napoli Carlo di Borbone richiese al Vanvitelli il progetto di una nuova reggia che aveva pensato per la città di Caserta, facilmente raggiungibile dalla capitale, ma discosta da essa, come lo era Versailles da Parigi. La reggia, che avrebbe dovuto sorgere nei pressi di una nuova città (che fu poi realizzata in tempi successivi, in modo caotico e senza tener conto delle idee di Vanvitelli), fu rifornita d'acqua dal monumentale Acquedotto Carolino, progettato da Vanvitelli sul modello delle opere idrauliche dell'antica Roma.

La Reggia di Caserta,definita come l'ultima grande realizzazione del Barocco italiano, [1], è sicuramente la sua opera più importante. Curatissima nei dettagli ed articolata su quattro monumentali cortili, la costruzione è fronteggiata da uno scenografico parco, che sfrutta la pendenza naturale del terreno per articolarsi in una gigantesca cascata artificiale, scandita da una serie di fontane con statue marmoree. Le parti più scenografiche sono l'insieme dell'atrio e del monumentale scalone d'onore e la cappella. Notevole è il teatro di corte, la cui sala a ferro di cavallo piuttosto arrotondato è resa solenne dall'ordine gigante di colonne, che dissimula la tipica gracile struttura lignea a palchetti. Privo delle quattro torri angolari e della cupola centrale, che avrebbero dovuto movimentarne la mole, il palazzo è una sorta di sintesi originalissima tra Reggia di Versailles e l'Escorial.