Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso.....

Pablo Neruda





martedì 31 marzo 2009




Il 31 marzo 1855 muore a Haworth,Yorkshire la scrittrice inglese Charlotte Bronte

Charlotte Brontë (21 aprile 1816 - 31 marzo 1855) fu una romanziera inglese, la più vecchia tra le tre sorelle Brontë, i romanzi delle quali sono diventati dei classici della letteratura inglese. La Brontë nacque a Thornton, nello Yorkshire, Inghilterra, terza di sei figli, da Patrick Brontë, un sacerdote irlandese, e dalla moglie, Maria Branwell. Quest'ultima muore nel 1821 e i bambini saranno accuditi da una zia, Elisabeth, e da una governante, Tabita Aykroyd. Nel 1825 le due sorelle maggiori di Charlotte muoiono. Nel 1831 Charlotte viene iscritta alla scuola di Roe Head dove ottiene ottimi risultati e qui otterrà un posto come insegnante nel 1835. In seguito, per alcuni anni, Charlotte svolgerà la professione di govenante presso alcune famiglie, ma nel 1842, insieme alla sorella minore Emily, si reca a Bruxelles per studiare francese. Tornata in Inghilterra nel 1844 comincia a cullare il progetto di scrivere, insieme alle sorelle, alcuni romanzi. Nel 1847 tutte e tre le sorelle pubblicano il loro romanzo: Charlotte propone dapprlima "Il professore" che viene rifiutato, poi "Jane Eyre", subito accettato e dato alle stampe con lo preudonimo di Currer Bell. Seguirà la pubblicazione di altri romanzi, Nel 1854 dopo tensioni con il padre, Charlotte sposa il reverendo Nicholls. LA felicità conquistata durerà poco poiché Charlott si spegnerà l'anno seguente, in attesa di un figlio



lunedì 30 marzo 2009





« se mala signoria che sempre accora
i popoli suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar "mora! mora!" »
(Citazione dei Vespri dalla Divina Commedia di Dante )

Il 30 marzo 1282 ebbero inizio i "Vespri siciliani"

Tutto ebbe inizio all'ora del vespro del 30 marzo 1282, lunedì dopo la Pasqua, sul sagrato della Chiesa dello Spirito Santo, a Palermo. L'insurrezione dilagò immediatamente in tutta la Sicilia. A generare l'episodio fu - secondo la ricostruzione storica - la reazione al gesto di un soldato dell'esercito francese, tale Drouet, che si era rivolto in maniera irriguardosa ad una giovane nobildonna accompagnata dal consorte con la scusa di ricercarle armi nascoste sotto le vesti. La reazione dello sposo, a difesa della nobildonna, fu appunto la scintilla che dette inizio alla rivolta. Nel corso della serata e della notte che ne seguì i palermitani si abbandonarono ad una vera e propria "caccia ai francesi", presto trasformatasi in una autentica carneficina.

Si racconta che i siciliani, per individuare i francesi che si camuffavano fra i popolani, facessero ricorso ad uno shibboleth.Il termine shibboleth indica una parola o espressione che, per le sue difficoltà di pronuncia è impiegata da una comunità linguistica come contrassegno per distinguersi dai parlanti di altre comunità,che abbiano un'altra lingua o un altro dialetto. La catena di suoni è particolarmente difficile da articolare, ma solo per gli stranieri: infatti, uno shibboleth si distingue da uno scioglilingua, la cui pronuncia è difficile per chiunque.I siciliani, per individuare i francesi,mostrarono loro dei ceci e chiedendo di pronunziarne il nome; appena i francesi dicevano "siseró", anziché "ciciru", venivano uccisi.

La rivoluzione del Vespro fu possibile perché vi furono alcuni uomini forti che organizzarono la rivolta in segreto. Fra essi si devono menzionare:

Giovanni da Procida, della famosa Scuola Medica Salernitana, medico di Federico II;
Alaimo di Lentini, Signore di Lentini;
Gualtiero di Caltagirone, Barone, Signore di Caltagirone;
Palmiero Abate, Signore di Trapani e Conte di Butera.



domenica 29 marzo 2009




29 marzo 1886 fu brevettata la "COCA COLA "

La Coca-Cola (anche nota come Coke soprattutto negli Stati Uniti o semplicemente come Coca in Italia) è una bibita industriale analcolica, alla quale il caramello che vi è contenuto conferisce un colore scuro.

La bibita, che è la più venduta al mondo,deve il suo nome al fatto che nella sua ricetta sono tutt'ora impiegati, tra le altre sostanze, estratti provenienti dalle noci di cola ed estratti dalle foglie della pianta di coca, privati delle sostanze (alcaloidi) psicotrope.

La Coca-Cola fu inventata dal farmacista statunitense John Stith Pemberton l'8 maggio 1886 ad Atlanta, inizialmente come rimedio per il mal di testa. Il primo nome che venne dato alla bevanda fu "Pemberton's French Wine Coca". Quella di Pemberton era una variazione del cosiddetto "vino di coca" (o Vin Mariani), una miscela di vino e foglie di coca che aveva avuto largo successo in Europa quando era stata creata dal farmacista còrso Angelo Mariani. All'alcol venne sostituito un estratto delle noci di cola, una pianta tropicale reputata non dannosa per la salute. Dall'uso combinato dei due ingredienti principali, la coca e la cola, la bibita acquisì il nome attuale. Quando anche la coca venne bandita (dalla pianta si estrae infatti la cocaina), venne scartato l'alcaloide dagli estratti dalle foglie di coca, mentre la cola (in noci) continuò a essere utilizzata come fonte di caffeina.

Nonostante la scoperta, Pemberton accumulò forti debiti e per appena 550 dollari vendette formula e diritti della Coca-Cola ad Asa Candler, uomo d'affari che aveva intuito il potenziale della bevanda e compreso l'importanza della pubblicità per diffonderla e per sbaragliare la concorrenza
Nel 1927 la Coca-Cola viene importata anche in Italia. Nel 1960 comparve la prima Coca-Cola in lattina, mentre nel 1980 quella in bottiglia PET.

La bibita è disponibile nella maggioranza dei luoghi di ristorazione del mondo, ed è la bevanda per eccellenza nei fast-food.


sabato 28 marzo 2009



Giancarlo Siani (Napoli, 19 settembre 1959 – Napoli, 23 settembre 1985) è stato un giornalista italiano, assassinato dalla camorra.


Giancarlo Siani.Nato in una famiglia della borghesia napoletana del quartiere del Vomero, frequentò il Liceo Vico partecipando ai movimenti studenteschi del 1977.

Iscrittosi all'università, iniziò a collaborare con alcuni periodici napoletani mostrando particolare interesse per le problematiche dell'emarginazione: proprio all'interno delle fasce sociali più disagiate si annidava, infatti, il principale serbatoio di manovalanza della criminalità organizzata

Scrisse i suoi primi articoli per il periodico "Osservatorio sulla camorra", diretto da Amato Lamberti, appassionandosi ai rapporti ed alle gerarchie delle famiglie camorristiche che controllavano Torre Annunziata e dintorni. Poi iniziò a lavorare come corrispondente da Torre Annunziata per il quotidiano Il Mattino: dipendeva dalla redazione distaccata di Castellammare di Stabia. Pur lavorando come corrispondente, il giornalista frequentava stabilmente la redazione del comune stabiese, preparando il terreno per la stabile assunzione come giornalista praticante

Lavorando per Il Mattino Siani compì le sue importanti indagini sui boss locali, ed in particolare su Valentino Gionta, che aveva costruito un business basato sul contrabbando di sigarette.

Le vigorose denunce del giovane giornalista lo condussero ad essere regolarizzato nella posizione di corrispondente (articolo 12 del contratto di lavoro giornalistico) dal quotidiano nell'arco di un anno. Le sue inchieste scavavano sempre più in profondità, tanto da arrivare a scoprire la moneta con cui i boss mafiosi facevano affari. Siani con un suo articolo accusò il clan Nuvoletta, alleato dei Corleonesi di Totò Riina, e il clan Bardellino, esponenti della "Nuova Famiglia", di voler spodestare e vendere alla polizia il boss Valentino Gionta, divenuto pericoloso, scomodo e prepotente, per porre fine alla guerra tra famiglie. Ma le rivelazioni, ottenute da Giancarlo grazie ad un suo amico carabiniere e pubblicate il 10 giugno 1985, indussero la camorra a sbarazzarsi di questo scomodo giornalista

LA SERA DELL'UCCISIONE GIANCARLO SAREBBE ANDATO CON LA FIDANZATA,TERMINATO IL LAVORO,AL CONCERTO DI VASCO ROSSI.!!!ED ECCOLO LA',NELLA SUA ROVER GIALLA,RIVERSATO IN UNA POZZA DI SANGUE,PER AMORE DELLA VERITA', MENTRE INTORNO A LUI TUTTO CONTINUA AD ESSERE GIOVANE,ALLEGRO,AMOROSO.....






Già nel 2003, Maurizio Fiume(1961) regista napoletano, scrisse e diresse il film, "Io ti seguo",ispirato all' uccisione di Giancarlo Siano,giornalista del mattino, ad opera della camorra a solo 26 anni. Ad interpretare Giancarlo fu un mio concittadino ,il bravo attore salernitano Yari Gugliucci.







E' di questi giorni l'uscita del film diretto da Marco Risi "Fortapasc" he fa conoscere al grande pubblico la storia di Giancarlo Siani. L'attore Libero De Rienzo interpreta il giornalista ucciso.

venerdì 27 marzo 2009




FINALMENTE UNA TV CIVILE CHE SCONFIGGE LA TELEVOLGARITA'.A CHE TEMPO CHE FA, DI FABIO FAZIO ,ROBERTO SAVIANO,MERCOLEDI' SERA, TRATTIENE INCOLLATI, PER TRE ORE, 5 MILIONI DI TELESPETTATORI.

Roberto Saviano è nato a Napoli nel 1979. Si è laureato in Filosofia all'Università degli Studi di Napoli "Federico II". In Italia collabora con “L’espresso” e “la Repubblica”, negli Stati Uniti con il “Washington Post” e il “Time”, in Spagna con “El pais”, in Germania con “Die Zeit” e “Der Spiegel”.

Il suo primo libro Gomorra (Mondadori) è un bestseller che ha venduto 1.700.000 copie ed è stato tradotto in 50 paesi. È presente nelle classifiche di best seller in Germania, Olanda, Belgio, Spagna, Francia, Svezia, Finlandia. La letteratura e il reportage sono gli strumenti che Roberto Saviano usa per raccontare la realtà.

Dal 13 ottobre 2006, in seguito al successo del romanzo Gomorra, fortemente accusatorio nei con fronti delle attività camorristiche, ha ricevuto numerose minacce da parte della camorra e vive sotto scorta. Attualmente, per motivi di sicurezza, è costretto a cambiare continuamente dimora.

Da Gomorra sono stati tratti uno spettacolo teatrale, che è valso a Saviano gli Olimpici del Teatro 2008 come miglior autore di novità italiana, e l’omonimo film candidato al premio Oscar come miglior film straniero e premiato a Cannes nel 2008 con il Gran Prix du Jury.








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CHE DIO TI PROTEGGA E TI SALVI.CARO,CARISSIMO ROBERTO SE TUTTI AVESSIMO IL TUO STESSO CORAGGIO!!!

giovedì 26 marzo 2009



AVANTI SEI ALLA META

LA LUCE,ORA TI RISPLENDE
E A NOI IL BUIO LASCI.
DI GIORNI AVVIATI UGUALI,
MARATONETA FOSTI E SENZA AFFANNO.
LA VECCHIA TUA RADICE
MUTATO HA IL SUO POSTO,
MA E'QUI CHE PER SEMPRE RESTA,
IL FRUTTO DEL RICORDO.
NON PIU' SOLO,
AVANTI SEI ALLA META!

MARIA SERRITIELLO(26-3-2004)



mercoledì 25 marzo 2009



Il 25 marzo il 1867 nasce a Parma il direttore di orchestra Arturo Toscanini

Arturo Toscanini (Parma, 25 marzo 1867 – New York, 16 gennaio 1957)
fu considerato da molti suoi contemporanei - critici, musicisti e pubblico - come il più grande direttore d'orchestra della sua epoca. Era celebre per la sua genialità, il suo perfezionismo instancabile, il suo orecchio fenomenale per il dettaglio e la sonorità orchestrale, e la sua memoria fotografica che gli permetteva di correggere errori nelle parti orchestrali che i suoi colleghi non avevano notato per anni

Toscanini vinse una borsa di studio al conservatorio, dove studiò violoncello e composizione. Si unì all'orchestra di una compagnia operistica, con la quale girò il Sud America. In Brasile il direttore Leopoldo Miguez abbandonò l'orchestra e dichiarò ai giornali che la sua decisione era stata causata dal comportamento degli orchestrali italiani. Il suo sostituto, Carlo Superti, doveva dirigere l'Aida a Rio de Janeiro nel 1886, ma fu pesantemente contestato dal pubblico e non riuscì neanche a dare l'attacco all'orchestra. Toscanini, su proposta di alcuni cantanti, prese la bacchetta al suo posto, ottenendo un grande successo e iniziando la sua carriera a solo 19 anni.

Toscanini divenne direttore del Teatro alla Scala di Milano, nel 1898, rimanendoci fino al 1908 e ritornandoci negli anni venti. Il 14 maggio 1931, al teatro Comunale di Bologna - dove doveva dirigere un concerto in memoria di Giuseppe Martucci - si rifiutò di eseguire Giovinezza e l'Inno reale al cospetto di Ciano e Arpinati e venne perciò aggredito e schiaffeggiato da una camicia nera nei pressi di un ingresso laterale del teatro. L'aggressione subita fu alla base della sua rinuncia al concerto e, in seguito, della decisione di emigrare negli Stati Uniti.

Alla Scala dirigerà per l'ultima volta nel 1946, al rientro in Italia dopo la fine della guerra, un memorabile concerto dedicato in gran parte all'opera italiana. Diresse anche al Metropolitan Opera di New York (1908-1915) e Bayreuth (1930-1931; fu il primo direttore non tedesco) come pure con la New York Philharmonic (1926-1936) e al Festival di Salisburgo (1934-1937). Nel 1936, diresse il concerto inaugurale della Palestine Symphony Orchestra (ora Israel Philharmonic Orchestra) a Tel Aviv.

Dopo il famoso episodio dello schiaffo, divenne un forte oppositore del fascismo italiano (che pure inizialmente aveva visto con simpatia) e del nazismo tedesco, lasciò l'Europa per gli Stati Uniti, dove fu fondata la NBC Symphony Orchestra perché lui la dirigesse, e con la quale lavorò regolarmente fino al 1954 su radio e televisioni nazionali; fu quindi il primo direttore d'orchestra a diventare una stella dei moderni mass media. Durante la Seconda Guerra Mondiale, diresse concerti di beneficenza come raccolte fondi per le forze armate statunitensi impegnate contro l'Asse e modificò L'inno delle Nazioni di Giuseppe Verdi, modificando in chiave antifascista i passi tratti dall'Inno di Garibaldi e inserendovi l'inno nazionale statunitense e l'Internazionale comunista

Tornò in Italia nel dopoguerra per la ripresa alla Scala di Milano della sua attività musicale, ma seguitò a vivere negli Usa con sua moglie. Si ritirò quando aveva 87 anni. Il suo ultimo concerto (interamente dedicato a Richard Wagner) fu con la NBC Symphony Orchestra, il 4 aprile 1954. Alla sua morte nel 1957, fu sepolto al Cimitero Monumentale di Milano

Tornò in Italia nel dopoguerra per la ripresa alla Scala di Milano della sua attività musicale, ma seguitò a vivere negli Usa con sua moglie. Si ritirò quando aveva 87 anni. Il suo ultimo concerto (interamente dedicato a Richard Wagner) fu con la NBC Symphony Orchestra, il 4 aprile 1954. Alla sua morte nel 1957, fu sepolto al Cimitero Monumentale di Milano







martedì 24 marzo 2009



24 marzo 1944-I tedeschi fucilarono e seppelliscono 335 ostaggi italiani alle Fosse Ardeatine

L'eccidio delle Fosse Ardeatine è il massacro compiuto a Roma dalle truppe di occupazione della Germania nazista il 24 marzo 1944, ai danni di 335 civili e militari italiani, come atto di rappresaglia in seguito a un attacco partigiano contro le truppe germaniche avvenuto il giorno prima in via Rasella. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime, e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, è diventato l'evento simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell'occupazione.

Le "Fosse Ardeatine", antiche cave di pozzolana site nei pressi della via Ardeatina, scelte quali luogo dell'esecuzione e per occultare i cadaveri degli uccisi, sono diventate un monumento a ricordo dei fatti e sono oggi visitabili

Il 23 marzo 1944 ebbe luogo l'attacco contro l'11a compagnia del III battaglione dell'SS Polizei Regiment Bozen in via Rasella, ad opera di partigiani dei GAP Gruppi d'Azione Patriottica delle brigate Garibaldi, che dipendevano ufficialmente dalla Giunta militare che era emanazione del Comitato di Liberazione Nazionale. Quanto all'appartenenza del Polizeiregiment Bozen alle SS esistono versioni discordanti in quanto la denominazione, pur solo formale, del reparto in SS-Polizeiregimenter avvenne all'incirca un mese dopo l'attentato.A onor del vero va anche ricordato che tale reparto fu scelto a caso dagli attentatori, non per eventuali responsabilità dei soldati che vi appartenevano.

L'attacco venne compiuto da 12 partigiani.Fu utilizzata una bomba a miccia ad alto potenziale collocata in un carrettino per la spazzatura urbana, confezionata con 18 chilogrammi di esplosivo frammisto a spezzoni di ferro e dopo l'esplosione furono lanciate alcune bombe a mano. Vennero uccisi 32 militari dell'11 Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment Bozen e un altro soldato morì il giorno successivo (altri nove sarebbero deceduti in seguito. L'esplosione uccise anche due passanti italiani, Antonio Chiaretti ed il tredicenne Pietro Zuccheretti.

Alla notizia dell'attentato, il generale Kurt Mälzer comandante della piazza di Roma, accorso sul posto, parlò stravolto di una rappresaglia molto grave e dello stesso parere fu inizialmente Hitler.

Successivamente vari ragionamenti condussero a quantizzare la rappresaglia, e la decisione del comando nazista fu la conta di 10 ostaggi fucilati per ogni tedesco ucciso. La fucilazione di 10 ostaggi per ogni tedesco ucciso fu ordinata personalmente da Adolf Hitler, dopo aver vagheggiato apocalittiche proporzioni di 50 ad 1, la distruzione dell'intero quartiere (che comprende il Quirinale) e la deportazione da Roma di 1000 uomini per ogni tedesco ucciso. La convenzione dell'Aia del 1907 non fa un esplicito riferimento alla rappresaglia, mentre la Convenzione di Ginevra del 1929, relativa al Trattamento dei prigionieri di guerra, fa esplicito divieto di atti di rappresaglia nei confronti dei prigionieri di guerra nell'Articolo 2.Dal punto di vista internazionale l'argomento rappresaglia era contemplato nei codici di diritto bellico nazionali, in cui si faceva riferimento al criterio della proporzionalità rispetto all'entità dell'offesa subita, nella selezione degli ostaggi (non indiscriminata) e nella salvaguardia delle popolazioni civili. Alcuni di questi aspetti furono violati: nella selezione degli ostaggi poiché si procedette alla fucilazione anche di personale sanitario, infermi e malati ed inoltre poiché non risulta che venne eseguita da parte tedesca alcuna seria indagine per appurare l'identità dei responsabili dell'attacco, nè si attesero le 24 ore di consuetudine affinché gli stessi si consegnassero spontaneamente, condizioni necessarie per la legittimità dell'azione di rappresaglia. Com'è noto, infatti, non venne neppure affisso il consueto bando nelle pubbliche piazze, limitando l'affissione, secondo la testimonianza dell'ambasciatore Roberto Caracciolo, ai soli uffici tedeschi.

Nella scelta delle vittime, furono privilegiati criteri di connessione con la resistenza militare monarchica e i partigiani, e di appartenenza alla religione ebraica, e se in un primo tempo si tendette ad escludere persone rastrellate al momento e/o detenuti comuni, successivamente, per raggiungere il numero di vittime volute, un certo numero di ostaggi fu poi costituito da reclusi condannati (o in attesa di processo) per delitti di natura non politica. Costoro furono prelevati, insieme a militari, membri attivi della resistenza e ad altri antifascisti, dal carcere romano di Regina Coeli, dove erano tenuti prigionieri. Nella consegna degli ostaggi, le autorità carcerarie romane frapposero ostacoli di ordine burocratico, nella speranza che gli autori dell'attentato si consegnassero entro le 24 ore, sospettando che i tedeschi avrebbero potuto vendicarsi ugualmente. La strage iniziò infatti nemmeno 23 ore dopo l'agguato partigiano.

Delle salme identificate (322 su 335) si ricava che circa 39 erano ufficiali, sottufficiali e soldati appartenenti alle formazioni clandestine della Resistenza militare, circa 52 erano gli aderenti alle formazioni del Partito d'Azione e Giustizia e Libertà, circa 68 a Bandiera Rossa, un'organizzazione comunista trockijsta non legata al CNL, e circa 75 erano di religione ebraica. Altri, fino a raggiungere il numero previsto, furono detenuti comuni. Quindi circa metà dei giustiziati furono partigiani detenuti, di questi cinquanta furono individuati e consegnati ai nazisti dal questore fascista Pietro Caruso dietro minaccia da parte tedesca di procedere con un rastrellamento arbitrario del quartiere di Piazza Barberini.Non mancarono tuttavia tra gli uccisi i rastrellati a caso e gli arrestati a seguito di delazioni dell'ultim'ora.

Il massacro fu organizzato ed eseguito da Herbert Kappler, all'epoca ufficiale delle SS e comandante della polizia tedesca a Roma, già responsabile del rastrellamento del Ghetto di Roma nell'ottobre del 1943 e delle torture contro i partigiani detenuti nel carcere di via Tasso.

L'ordine di esecuzione riguardò 320 persone, poiché inizialmente erano morti 32 soldati tedeschi. Durante la notte successiva all'attacco di via Rasella morì un altro soldato tedesco e Kappler, di sua iniziativa, decise di uccidere altre 10 persone. Erroneamente, causa la "fretta" di completare il numero delle vittime e di eseguire la rappresaglia, furono aggiunte 5 persone in più nell' elenco ed i tedeschi, per eliminare scomodi testimoni, uccisero anche loro.

I tedeschi, dopo aver compiuto il massacro, infierendo sulle vittime, fecero esplodere numerose mine, per far crollare le cave ove si svolse il massacro e nascondere o meglio rendere più difficoltosa la scoperta di tale eccidio.

Nel dopoguerra, Herbert Kappler venne processato e condannato all'ergastolo da un tribunale italiano e rinchiuso in carcere. La condanna riguardò i 15 giustiziati non compresi nell'ordine di rappresaglia datogli per vie gerarchiche. Colpito da un tumore inguaribile, con l'aiuto della moglie, riuscì ad evadere dall'ospedale militare del Celio e a rifugiarsi in Germania, ove morì pochi anni dopo. Anche il principale collaboratore di Kappler, l'ex-capitano delle SS Erich Priebke, dopo una lunga latitanza in Argentina, è stato arrestato, estradato in Italia ove, processato, è stato condannato all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine. Anche Albert Kesselring, catturato a fine guerra, fu processato e condannato a morte il 6 maggio 1946 da un Tribunale Alleato per crimini di guerra e per l'eccidio delle Fosse Ardeatine, ma la sentenza fu commutata nel carcere a vita. Nel 1952 fu scarcerato per motivi di salute e fece ritorno in Germania dove si unì ai circoli neonazisti bavaresi. Morì nel 1960 per un attacco cardiaco

Con questo video partecipiamo all'orrore di quel giorno.Il cuore si ferma ed il silenzio è più eloquente delle parole



Dio voglia che simili massacri non accadano più!!

lunedì 23 marzo 2009



23 marzo 1919:Mussolini fonda i fasci di combattimento

I Fasci italiani di combattimento sono un movimento politico fondato a Milano da Benito Mussolini il 23 marzo 1919; il futuro Duce prevedeva l'attuazione di uno specifico "Programma di San Sepolcro" (dal nome della piazza in cui fu proclamato). I primi appartenenti ai Fasci si chiamarono appunto sansepolcristi, fregiati di una fascia giallorossa (i colori di Roma); gli squadristi semplici invece erano riconoscibili da una striscia rossa al polso della camicia nera.

I Fasci riunirono cittadini italiani accumunati dallo scopo di fermare l'attività bolscevica. La maggior parte dei partecipanti della prima ora furono reduci interventisti della prima guerra mondiale. Buona parte di essi avevano precedentemente militato in formazioni di sinistra (socialisti, repubblicani,
sindacalisti rivoluzionari

Le loro principali azioni, soprattutto di natura violenta, furono rivolte a contrastare l'ondata di scioperi comunisti. Devastarono molte sedi di giornali, di partito e case del popolo; intervennero al fianco dei privati agricoli durante il biennio rosso per fronteggiare i disordini organizzati dai braccianti

Giovanni Giolitti, come aveva fatto nei suoi due precedenti governi, decise di non reprimere le rivolte ma si servì dei fasci di combattimento, dandogli piena libertà di azione per riportare alla calma la situazione italiana (questo incoraggiamento sarebbe poi stato determinante per l'ascesa in Italia di Mussolini e del fascismo



GRANDE CHARLIE CHAPLIN,NON SOLO L'OMINO BUFFO DI NOME CHARLOT!!.IL DISCORSO FINALE DEL FILM "IL GRANDE DITTATORE "1940 E' DI IMPRESSIONANTE ATTUALITA'

domenica 22 marzo 2009



« Legio Patria Nostra »
(Motto latino della Legione Straniera)

Il 22 marzo 1831,Luigi Filippo,il re borghese,firma a Parigi il decreto che istituisce la legione straniera.
La Francia è in piena fase di espansione coloniale.Per non impegnare troppo i soldati francesi in guerra d'oltremare,il re crea un corpo di spedizione volontario,arruolando uomini di ogni razza e paese.
La Legione fu fondata a supporto della sua guerra in Algeria, incorporando tutti gli stranieri che avessero voluto firmare volontariamente un ingaggio. Il primo scontro a fuoco fu sostenuto alla Maison Carrée e il reggimento si comportò tanto bene da meritare le spalline rosse e verdi dei Granatieri e il tricolore francese
Dopo la guerra d'Algeria partecipò alla guerra di Crimea insieme ai piemontesi a Sebastopoli, poi combatté a Magenta, Solferino e Montebello contro gli austriaci.
Due anni dopo sono in messico per soccorrere Massimiliano d'Austria.I patrioti messicani,però,infliggono ai legionari perdite gravissime.La legione straniera è anche l'ambiente ottimale per numerosi film con attori come Gary Cooper e Marlene Dietrich.

IO HO SEMPRE VISTO LA LEGIONE STRANIERA CON GLI OCCHI DEL FILM "I DUE LEGIONARI" INTRPRETATO DAI MITICI STANLIO E OLLIO.COM'E' DIVERTENTE IL LORO PASSO DI DANZA!!!

sabato 21 marzo 2009




Zefiro torna, e 'l bel tempo rimena


Zefiro torna, e 'l bel tempo rimena,
e i fiori e l'erbe, sua dolce famiglia,
et garrir Progne et pianger Filomena,
e primavera candida e vermiglia.

Ridono i prati, e 'l ciel si rasserena;
Giove s'allegra di mirar sua figlia;
l'aria e l'acqua e la terra è d'amor piena;
ogni animal d'amar si riconsiglia.

Ma per me, lasso, tornano i più gravi
sospiri, che del cor profondo tragge
quella ch'al ciel se ne portò le chiavi;

e cantar augelletti, e fiorir piagge,
e 'n belle donne oneste atti soavi
sono un deserto, e fere aspre e selvagge
Francesco Petrarca



venerdì 20 marzo 2009



Giuseppe Di Vittorio (Cerignola, 11 agosto 1892 – Lecco, 3 novembre 1957) è stato un politico e sindacalista italiano. Fra gli esponenti più autorevoli del sindacato italiano del dopoguerra, a differenza di molti altri sindacalisti non aveva origini operaie ma contadine, nato in una famiglia di braccianti, il gruppo sociale più numeroso alla fine dell'ottocento in Puglia

Figlio di braccianti agricoli che lavoravano la terra dei marchesi Rubino-Rossi di Cerignola. Già negli anni dell'adolescenza aveva iniziato un'intensa attività politica e sindacale; a 15 anni fu tra i promotori del Circolo giovanile socialista della città, mentre nel 1911 passò a dirigere la Camera del Lavoro di Minervino Murge; in seguito avrebbe diretto anche la Camera del Lavoro di Bari, dove organizzò la difesa della sede dell'associazione, sconfiggendo gli squadristi fascisti di Caradonna insieme con ex ufficiali legionari di Fiume, socialisti, comunisti, anarchici e Arditi del Popolo

Di Vittorio, a cui amici ed avversari riconobbero unanimi un grande buonsenso ed una ricca umanità, seppe farsi capire, grazie al suo linguaggio semplice ed efficace, sia dalla classe operaia, in rapido sviluppo nelle città, sia dai contadini ancora fermi ai margini della vita economica, sociale e culturale del Paese. Lui stesso era un autodidatta, entrato nella lotta sindacale e politica giovanissimo, inizialmente come socialista e successivamente come comunista



DI RECENTE LA VITA DI GIUSEPPE DI VITTORIO E' ENTRATA NELLE CASE DEGLI ITALIANI ATTRAVERSO LO SCHERMO TELEVISIVO.AD INTERPRETARE LA SUA FIGURA E'STATO UN CONVINCENTE E BRAVO PIER FRANCESCO FAVINA.LA COLONNA SONORA E'STATA AFFIDATA AL PREMIO OSCAR ENNIO MORICONE.UN RISULTATO ECCELENTE.E' QUESTA LA TELEVISIONE CHE PREFERIAMO,QUELLA CHE CI EMOZIONA,CI INFORMA,CI FA CRESCERE CULTURALMENTE E QUALCHE VOLTA,COME IN QUESTO CASO,CI FA RIFLETTERE SULLA STORIA RECENTE DELLA NOSTRA TERRA CHE ANCORA,MOLTI DI NOI,IGNORANO.CREDO NELLA FUNZIONE PEDAGOGICA(ESTETICA,MORALE,UMORISTICA,SATIRICA....)DELLA TV,TANTO NECESSARIA IN QUESTI ANNI COSI'BUI.

giovedì 19 marzo 2009




Il 19 marzo 1994 Don Peppino Diana,nella chiesa di San Nicola,a Casal di Principe,fu ucciso con cinque colpi di pistola dai boss,spaventati dalle sue parole

Giuseppe Diana (Casal di Principe, 4 luglio 1958 – Casal di Principe, 19 marzo 1994) è stato un presbitero e scrittore italiano. Vittima innocente della camorra. Chiamato anche Peppe Diana o Peppino Diana.

Giuseppe Diana nasce a Casal di Principe da una famiglia di proprietari terrieri.

Nel 1968 entra in seminario, vi frequenta la scuola media e il liceo classico. Successivamente intraprende gli studi teologici nel seminario di Posillipo, sede della Pontificia facoltà teologica dell'Italia Meridionale. Qui si licenzia in Teologia biblica e poi laurea in Filosofia alla Federico II.

Nel 1978 entra nell'Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI) dove fa il caporeparto.

Nel marzo 1982 è ordinato sacerdote. Diventa Assistente ecclesiastico del Gruppo Scout di Aversa e successivamente anche Assistente del settore Foulards Bianchi.

Dal 19 settembre 1989 era parroco della parrocchia di San Nicola di Bari in Casal di Principe, suo paese natio.

Alle 7.30 del 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, don Giuseppe Diana viene assassinato nella sacrestia della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, mentre si accingeva a celebrare la Santa Messa. Due killer lo affrontano con una pistola calibro 7.65. I quattro proiettili vanno tutti a segno, due alla testa, uno in faccia e uno alla mano, Don Peppe muore all'istante. L'omicidio, di puro stampo camorristico, fece scalpore in tutta Italia. Un messaggio di cordoglio venne pronunciato anche da Giovanni Paolo II durante l'Angelus.

Don Peppe visse negli anni del dominio assoluto della camorra casalese, legata principalmente al boss Francesco Schiavone detto Sandokan.

Il suo impegno civile e religioso contro la camorra ha lasciato un profondo segno nella società campana. Il suo scritto più noto è la lettera Per amore del mio popolo non tacerò, un documento diffuso a Natale del 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe e della zona aversana insieme ai parroci della foranìa di Casal di Principe, un manifesto dell'impegno contro il sistema criminale





VOGLIO RICORDARE ALLO STESSO MODO "DON PUGLISI"GRANDE PRETE DEL QUARTIERE BRANCACCIO A PALERMO.ACCUMUNATO A DON DIANA DALLA STESSA MORTE E DALL'IMPEGNO CIVILE CONTRO LA CRIMINALITA' ORGANIZZATA.

Padre Giuseppe Puglisi meglio conosciuto come Pino, soprannominato 3P (Palermo, 15 settembre 1937 – Palermo, 15 settembre 1993) è stato un presbitero italiano, ucciso dalla mafia il giorno del suo 56° compleanno a motivo del suo costante impegno evangelico e sociale.

Il 15 settembre 1999 il cardinale di Palermo Salvatore De Giorgi ha aperto ufficialmente la causa di beatificazione

Nasce il 15 settembre 1937 a Brancaccio, quartiere povero di Palermo, da una famiglia modesta (il padre calzolaio, la madre sarta).

A 16 anni, nel 1953 entra nel seminario parlermitano da dove ne uscirà prete il 2 luglio 1960 ordinato dal cardinale Ernesto Ruffini.

Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del Santissimo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e successivamente rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi.

Nel 1963 è nominato cappellano presso l'orfanotrofio Roosevelt e vicario presso la parrocchia Maria Santissima Assunta a Valdesi, borgata marinara di Palermo. È in questi anni che Padre Puglisi comincia a maturare la sua attività educativa rivolta particolarmente ai giovani

Il 19 giugno 1997 viene arrestato a Palermo il latitante Salvatore Grigoli, accusato di diversi omicidi tra cui quello di don Pino Puglisi. Poco dopo l'arresto Grigoli comincia a collaborare con la giustizia, confessando 46 omicidi tra cui quello di don Puglisi. Grigoli, che era insieme a un altro killer, Gaspare Spatuzza, gli sparò un colpo alla nuca. Dopo l'arresto egli sembra intraprendere un cammino di pentimento e conversione. Lui stesso ha raccontato le ultime parole di don Pino prima di essere ucciso: un sorriso e poi un criptico "me lo aspettavo".Condannato a 16 anni dalla Corte d'Assise di Palermo, è stato scarcerato nel 2000 dopo aver scontato una pena effettiva inferiore a due anni di reclusione. Mandanti dell'omicidio furono i capimafia Filippo e Giuseppe Graviano, arrestati il 26 gennaio 1994. Giuseppe Graviano viene condannato all'ergastolo per l'uccisione di don Puglisi il 5 ottobre 1999. Il fratello Filippo, dopo l'assoluzione in primo grado, viene condannato in appello all'ergastolo il 19 febbraio 2001. Condannati all'ergastolo dalla Corte d'assise di Palermo anche Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone, gli altri componenti del commando che aspettò sotto casa il prete

mercoledì 18 marzo 2009



Il 18 marzo del 1848 iniziarono le Cinque giornate di Milano,insurrezione popolare contro il dominio austriaco.





Le cinque giornate di Milano sono state uno dei maggiori episodi della storia risorgimentale italiana del XIX secolo.

Quasi contemporaneamente ai moti popolari del 1848 che si sollevarono nel Regno Lombardo-Veneto, insorgeva, il 18 marzo di quell'anno la città di Milano. Fu questo il primo episodio a testimonianza dell'efficacia dell'iniziativa popolare che, guidata da uomini consapevoli degli obbiettivi della lotta, poteva rivelarsi in grado di influenzare le decisioni dello stesso re di Sardegna

Il presidio dell'Impero austriaco a Milano era munitissimo e comandato da un generale di lungo corso, Josef Radetzky, il quale, sebbene più che ottantenne, era energico e rigido: la vera espressione della severa mentalità militare austriaca che non aveva alcuna intenzione di cedere.

Ma la città intera combatteva per le vie innalzando barricate, sparando dalle finestre e dai tetti, inviando messaggi per mezzo di palloni alle popolazioni delle campagne per esortarle a prendere parte alla lotta.
La resistenza fu organizzata con intelligenza e decisione; eroici furono i Martinitt, i fanciulli dell'orfanotrofio, che si offrirono come portaordini per collegare i vari punti della città col consiglio di guerra.

Radetzky vista la difficoltà di resistere nel centro della città, l´assediò con le forze di cui disponeva, ma timoroso d´essere attaccato alle spalle dall'esercito piemontese e dai contadini provenienti dalla campagna, preferì ritirarsi.

La sera del 22 marzo 1848, gli Austriaci si ritiravano verso il "Quadrilatero", trascinando con sé numerosi ostaggi arrestati all'inizio della sommossa. "Quadrilatero" era chiamata la zona fortificata compresa fra le quattro città di Verona, Legnago, Mantova e Peschiera del Garda. Frattanto il resto del territorio della Lombardia e del Veneto era ormai libero.



IL RISORGIMENTO E' LA STORIA GIOVANE,ROMANTICA,IDEALE DEL NOSTRO PASSATO,EPPURE E' QUASI SCONOSCIUTO AGLI STUDENTI DEL DUEMILA O ADDIRITTURA E' DA LORO IGNORATO!!!. EH NO,NON E'COLPA DELLA SCUOLA...NEI PROGRAMMI VOLUTI DALLE GIRANDOLE DI MINISTRI DELL'ISTRUZIONE(?),E'QUASI SPARITO E VIVE ESCLUSIVAMENTE NEL RICORDO NOSTALGICO DI TANTI MA PROPRIO TANTI VOLENTEROSI INSEGNANTI CHE DELLA SCUOLA HANNO FATTO UNO STILE DI VITA.

martedì 17 marzo 2009





L'inno di Mameli: Un po' di storia

La poesia Fratelli d'Italia, messa in musica, fu ai tempi delle guerre per l'indipendenza
d'Italia una delle canzoni più in voga fra i combattenti.
Con la proclamazione della Repubblica (1946)
la composizione di Mameli - con alcuni tagli - diviene Inno ufficiale.

Dobbiamo alla città di Genova Il Canto degli Italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli. Scritto nell'autunno del 1847 dall'allora ventenne studente e patriota Goffredo Mameli, musicato poco dopo a Torino da un altro genovese, Michele Novaro, il Canto degli Italiani nacque in quel clima di fervore patriottico che già preludeva alla guerra contro l'Austria. L'immediatezza dei versi e l'impeto della melodia ne fecero il più amato canto dell'unificazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni successivi. Non a caso Giuseppe Verdi, nel suo Inno delle Nazioni del 1862, affidò proprio al Canto degli Italiani - e non alla Marcia Reale - il compito di simboleggiare la nostra Patria, ponendolo accanto a God Save the Queen e alla Marsigliese. Fu quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre 1946 l'Inno di Mameli divenisse l'inno nazionale della Repubblica Italiana

GOFFREDO MAMELI

(Genova 5 settembre 1827 - Roma 6 luglio 1849)

Se una figura umana dovesse simboleggiare con l'aspetto d'una seducente giovinezza il Risorgimento d'Italia, che pure ebbe stupendi uomini rappresentativi - Mazzini, Cavour, Garibaldi non si saprebbe quale innalzare e amare meglio che quella di Goffredo Mameli, poeta a quindici anni, guerriero a ventuno, avvolto a ventidue nella morte come nella nuvola luminosa in cui gli antichi favoleggiavano la scomparsa degli eroi.
Stirpe di marinai soldati, figlio d'un comandante di nave da guerra e d'una leggiadra donna che aveva fatto palpitare il cuore giovane di Giuseppe Mazzini, Goffredo è il romanticismo, è il patriottismo, è sopra tutto la poesia che fiorisce sull'azione. Frequenta l'università, prepara i suoi esami di diritto e intanto fiammeggia nel fuoco d'italianità de' suoi compagni, che lo sentono un capo.
Appena giunta a Genova la notizia delle Cinque Giornate parte alla testa d'un manipolo di giovani, si batte nella campagna del '48; s'agita perché non se ne subiscano con rassegnazione le tristi conseguenze militari, mazziniano puro, con la sua Genova impaziente e intollerante verso la Torino monarchica.
E' incerto se correre a Venezia o a Roma.
Si risolve per Roma.
E' di Mameli il telegramma "Venite, Roma, repubblica" in cui si invitava Mazzini a raggiungere la Repubblica Romana.
E' a fianco di Garibaldi, ma vuole prima di tutto trovarsi dove più rischiosamente si combatte.
Ferito a una gamba il 3 giugno in un combattimento nel quale s'era voluto gettare a ogni costo, fu male assistito nell'ospedale dai medici che avrebbero dovuto sollecitamente amputargli la parte offesa e invece tanto tardarono che poi l'operazione non valse più a salvarlo, ed egli spirò il 6 luglio, un mese prima di compiere i ventidue anni, recitando versi in delirio.

La sua poesia è poesia d'amore e di guerra: pensando a guerre come quelle, i due più alti temi d'ogni poesia, la donna ideale e la libertà pura.
I critici, naturalmente, rilevano le imperfezioni artistiche che non mancano.
Ma per quel che v'è, ed è tanto, di vivo e di bello in promessa anche più che in fatto si può dire che, se fosse vissuto, l'Italia avrebbe avuto in lui un magnifico poeta.
Qui si riproducono, naturalmente, il canto indimenticabile Fratelli d'Italia che fu messo in musica del maestro Novaro e che la Repubblica Italiana d'un secolo dopo ha ripreso come inno nazionale nonostante l'elmo di Scipio e la Vittoria schiava di Roma.



C'è stato un tempo che gli italiani hanno cantato,invece,quest'inno,che ha un sapore di vecchia osteria.Poi ci ha pensato Mameli e meno male!!!



Ancor prima l'inno degli italiani era il seguente


Il 17 marzo del 1861 fu proclamato il Regno d'Italia con il re Vittorio Emanuele II e capitale Torino.


Regno d'Italia (1861-1946).

Lo stato italiano nacque nel 1861 dopo l’esito della seconda guerra d'indipendenza e dopo i plebisciti degli altri territori conquistati. Con la prima convocazione del Parlamento italiano del 18 febbraio 1861 e la successiva proclamazione del 17 marzo, Vittorio Emanuele II fu il primo re d'Italia (1861-1878).

La popolazione, rispetto l’originario Regno di Sardegna, quintuplicò. Istituzionalmente e giuridicamente, il Regno d'Italia venne configurandosi come un ingrandimento del Regno di Sardegna, esso fu infatti una monarchia costituzionale. Il neonato Stato quindi si ritrovò, fin dai primi tempi, a tentare di risolvere problemi di standardizzazione delle leggi, le casse statali vuote per le spese belliche, di creazione una moneta unica per tutta la penisola, e più in generale problemi di gestione per tutte le terre improvvisamente acquisite. A questi problemi, se ne aggiungevano altri, come ad esempio l’analfabetismo e la povertà diffusa, nonché la mancanza di infrastrutture.

La questione che tenne banco nei primi anni della riunificazione d’Italia fu la questione meridionale ed il brigantaggio antisabaudo delle regioni meridionali (soprattutto tra il 1861 e il 1869). Il problema era noto come la "questione meridionale". Ulteriore elemento di fragilità era costituito dall'ostilità della Chiesa cattolica e del clero nei confronti del nuovo Stato, ostilità che si sarebbe rafforzata dopo il 1870 e la presa di Roma (questione romana).






« ...E intorno a noi il timore e la complicità di un popolo. Quel popolo che disprezzato da regi funzionari ed infidi piemontesi sentiva forte sulla pelle che a noi era negato ogni diritto, anche la dignità di uomini. E chi poteva vendicarli se non noi, accomunati dallo stesso destino? Cafoni anche noi, non più disposti a chinare il capo. Calpestati, come l'erba dagli zoccoli dei cavalli, calpestati ci vendicammo. Molti, molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni. Le loro rivoluzioni. Ma libertà non è cambiare padrone. Non è parola vana ed astratta. È dire senza timore, È MIO, e sentire forte il possesso di qualcosa, a cominciare dall'anima. È vivere di ciò che si ama. Vento forte ed impetuoso, in ogni generazione rinasce. Così è stato, e così sempre sarà...[1] »
(Monologo di Carmine Crocco, tratto da "La storia bandita")

Carmine Crocco, detto Donatelli e talvolta Donatello (Rionero in Vulture, 5 giugno 1830 – Portoferraio, 18 giugno 1905), è stato un brigante italiano, tra i più noti e rappresentativi del fenomeno. Era il capo indiscusso delle bande del Vulture-Melfese, sebbene il suo controllo si estendesse anche ad alcune dell'Avellinese e del Subappennino Dauno. Nel giro di pochi anni, da umile bracciante divenne comandante di un esercito di oltre mille uomini, guadagnandosi così l'appellativo di "Generale dei Briganti", combattendo prima nelle file di Giuseppe Garibaldi, poi con la resistenza borbonica e infine per se stesso. In circa quattro anni di latitanza, Crocco fu uno dei più temuti e ricercati briganti del periodo post-unitario e su di lui pendeva una taglia di 20.000 lire.[2] Tuttora al centro di pareri discordanti, è considerato un bandito e carnefice per alcuni e un eroe popolare per altri, specie nella sua natia Rionero e la Basilicata in genere.


lunedì 16 marzo 2009











E'il 16 marzo del 1973 quando Aldo Moro viene sequestrato dalle Brigate rosse




« Le forze politiche hanno bisogno di una profonda trasformazione. La loro vita interna è sfibrata dalle mediazioni continue »
(A.Moro[1])

Aldo Moro (Maglie, 23 settembre 1916 – Roma, 9 maggio 1978) è stato un politico italiano, cinque volte Presidente del Consiglio dei ministri e presidente del partito della Democrazia Cristiana.

Venne rapito il 16 marzo 1978 ed ucciso il 9 maggio successivo da appartenenti al gruppo terrorista delle Brigate Rosse.Moro era considerato un mediatore tenace e particolarmente abile nella gestione e nel coordinamento politico delle numerose "correnti" che agivano e si suddividevano il potere all'interno del suo partito.

Fu un convinto assertore della necessità di un centrosinistra, da raggiungersi in forma di coalizione politica. Per questa sua scelta politica fu osteggiato da più parti.



domenica 15 marzo 2009



Il 15 marzo del 44 a.C viene ucciso Caio Giulio Cesare.La data fatale è quella delle idi di marzo,giorno dedicato a Giove.Cesare viene affrontato,all'interno del Senato romano,sotto la statua del suo nemico Pompeo,da un gruppo di congiurati.Ventitrè pugnalate lo colpiscono e lo uccidono a solo cinquantasei anni.


Nel film del 1953 uno splendido,quanto giovane,Marlon Brando interpreta Marco Antonio,ma voglio ricordare il grande doppiatore,della scuola italiana, che gli ha prestato la voce:Giuseppe “Peppino” Rinaldi,che grazie alla sua profonda voce per cinquant’anni ha doppiato tutti i principali attori hollywoodiani.
Dopo il suo debutto cinematografico a vent’anni nel film “Grandi magazzini” di Mario Camerini, Rinaldi ha interpretato diverse pellicole, per poi dedicarsi esclusivamente al doppiaggio dagli anni 1950 fino alla metà degli anni 1990.
Impossibile elencare tutti i suoi ruoli doppiati,basta ricordare che Peppino Rinaldi è stato la voce di Rock Hudson, Jack Lemmon, Van Johnson, Paul Newman,Marlon Brando, Peter Sellers,Frank Sinatra, Glenn Ford, Richard Burton, Montgomery Clift, Gene Kelly, Gregory Peck, George Peppard, Charles Bronson, Rod Taylor, Dan Taylor, David Tomlinson,Omar Sharif e Gene Nelson. Tra i film d’animazione, Rinaldi è stato la voce del padre del protagonista nel classico Disney “Bambi”, ma anche Pongo in “La carica dei 101″ e il signor Rossi nel film “I sogni del signor Rossi”. In TV, ricordiamo Rinaldi come voce di Burt Lancaster negli sceneggiati ”Marco Polo” e “I promessi sposi” (edizione 1989),Klausjürgen Wussow protagonista del serial tedesco di RaiDue ”La clinica della Foresta Nera”e James Arness nella cult ”Alla conquista del west”.


sabato 14 marzo 2009



Chi era veramente Fra Diavolo??
Fra Diavolo al secolo Michelangelo Arcangelo Pezza (Itri, 7 aprile 1771 – Napoli, 11 novembre 1806) è stato un condottiero e fuorilegge italiano.Figura ambigua, è da alcuni considerato un semplice (benché famoso) brigante, da altri, un eroe popolare in quanto combattente legittimista borbonico.Pezza nasce ad Itri, paesino all'epoca facente parte del Regno di Napoli. Deve il suo doppio nome al fatto di essere stato battezzato nella Chiesa di San Michele Arcangelo, ma fin da bambino Michele Arcangelo Pezza dimostra inclinazioni tutt'altro che angeliche.

Il suo soprannome ha una curiosa genesi. Alla tenera età di cinque anni, una grave malattia mette a serio rischio la sua vita. La madre, Arcangela Matrullo, arriva a chiedere la grazia a Francesco d'Assisi, facendo voto di vestire suo figlio con un saio da frate qualora fosse guarito. Michele guarisce e la madre mantiene il voto, così da far guadagnare al figlio il soprannome di Fra Michele. Il piccolo si dimostra però un vero e proprio scalmanato, tanto da farsi affibbiare dal suo maestro il soprannome[1] con cui diventerà poi celebre: Fra Diavolo.

Una volta cresciuto, il padre manda il giovane Michele a lavorare come apprendista da mastro Eleuterio, il sellaio del paese. Quest'ultimo, durante un'accesa discussione, un giorno mette le mani addosso al ragazzo, il quale per tutta risposta uccide il mastro sellaio con un grosso ago usato per imbastire le selle. Minacciato dal fratello dell'uomo ucciso, per evitare ritorsioni Michele uccide anche lui, per poi rifugiarsi sui monti di Itri: all'età di 27 anni, Fra Diavolo è già un pluriomicida.

Nel 1798, l'esercito francese minaccia il Regno di Napoli. Fra Diavolo coglie la palla al balzo e chiede al Re Ferdinando IV di Borbone (che necessita disperatamente di soldati) di poter commutare la propria condanna per duplice omicidio in 13 anni di servizio militare. Il Re accetta e Pezza, assegnato in origine al Corpo dei Fucilieri di Montagna, entra in realtà a far parte del reggimento della fanteria borbonica.Ma non passa molto tempo prima che i francesi del generale Jean Étienne Championnet invadano il Regno, sbaragliando l'esercito borbonico: Napoli cade dopo giorni di disperata ed eroica resistenza da parte dei Lazzari, Re Ferdinando fugge a Palermo, mentre viene costituita la repubblica.La conquista di Napoli non garantisce però all'esercito francese, né alla Repubblica Napoletana (stato fantoccio, mai riconosciuto da Parigi) la sovranità su tutto il territorio del Regno, che specie nelle zone più periferiche è saldamente nelle mani della guerriglia legittimista.Nel 1799, Fra Diavolo si reca a Napoli per organizzare la riscossa dell'esercito napoletano. Re Ferdinando lo nomina Capitano, mentre la regina Maria Carolina, per mostrargli la propria ammirazione, gli dona una spilla di diamanti. Fra Diavolo ripaga ampiamente la fiducia concessagli, liberando Napoli dai francesi. Re Ferdinando lo nomina in premio Colonnello, nonché Duca di Cassano e Capo del Distretto di Itri.

Nel 1806, Napoleone Bonaparte fa marciare il suo esercito verso Napoli, guidato stavolta dal generale Joseph Léopold Sigisbert Hugo (padre del famoso scrittore francese Victor Hugo). Le resistenze borboniche sono facilmente vinte: Re Ferdinando fugge nuovamente e Giuseppe Bonaparte viene incoronato re di Napoli per volere di Napoleone stesso.
Fra Diavolo si reca a Sperlonga dove riprende la guerriglia.La rivolta che organizza viene però soffocata dalle truppe francesi. Il generale Hugo comincia così la sua lunga caccia al patriota napolitano: Fra Diavolo dimostra di essere un valido avversario, utilizzando spesso l'arte del travestimento e della dissimulazione per sfuggire ai controlli degli occupanti francesi

Ma a mezzogiorno dell'11 novembre 1806, in Piazza del Mercato a Napoli, Fra Diavolo viene impiccato con l'uniforme di brigadiere dell'esercito borbonico, all'età di 35 anni. Il corpo viene lasciato molte ore bene in vista, come monito alla popolazione. Non appena la Real Famiglia sa del sacrificio dell'eroico colonnello Pezza organizza il suo "funerale" nella Cattedrale di Palermo.


Nel 1830, il compositore francese Daniel Auber usa la storia del brigante per comporre l'opéra-comique Fra Diavolo, ou L'hôtellerie de Terracine, su libretto di Eugène Scribe e Casimir Delavigne (i quali, ad onor del vero, si prendono molte licenze sulla storia originale). L'opera viene rappresentata per la prima volta il 28 gennaio 1830 all'Opéra Comique di Parigi. Il libretto della versione italiana è tradotto ed adattato da Manfredo Maggioni

Con gli inizi del XX secolo, anche il cinema si è interessato alla storia del bandito di Itri,fra i tanti, sicuramente il più famoso è la versione comica del 1933 di Hal Roach, interpretata da Stan Laurel ed Oliver Hardy, con Dennis King nel ruolo di Fra Diavolo. Il film usa le musiche originali di Auber come colonna sonora e, nella versione italiana, il libretto di Manfredo Maggioni.

venerdì 13 marzo 2009



Essendo arrivata a quest'ora e cioè(alle 0,25), senza avere avuto il tempo di postare,un pò di sano disimpegno con gli amici divertenti della mia infanzia:Stanlio e Olio è tollerato. Fra Diavolo è il film,che a cinema,ho visto con mia madre,perciò mi è particolarmente caro.Quante volte la mamma mi cantava la canzoncina iniziale!!!




giovedì 12 marzo 2009

Nella ricerca quotidiana,per aggiornare il blog,mi sono imbattuta in questo video che mi è piaciuto moltissimo e vorrei condividerlo con quanti mi seguono. La rilettura della poesia “O raù” del grande Eduardo è lo spunto per denunciare la perduta capacità di creare bellezza e di saperne fruire,in questo nostro tempo. Sempre di più i giovani(non tutti,per fortuna)e una massa priva di stimoli culturali di età più avanzata,impoveriscono gli occhi,lo spirito e la capacità di conoscere la bellezza naturale e creativa che ci circonda.Una metafora ben costruita dalle immagini che fanno perdonare l'interruzione della recitazione.




Nella canzone di Mina "Ma che bontà" è riassunto il mondo delle apparenze in cui molti di noi sono costretti a vivere e a sopportarlo.L'esclamazione finale in fondo al pezzo,vi assicuro,è assolutamente liberatorio!!

mercoledì 11 marzo 2009



Torquato Tasso (Sorrento, 11 marzo 1544 – Roma, 25 aprile 1595) è stato uno scrittore e poeta italiano.

La nascita a Sorrento è determinata da ragioni casuali: né il padre, né la madre erano infatti campani. La madre, Porzia de' Rossi, discende da una nobile famiglia toscana, mentre il padre Bernardo, proveniente da un altrettanto nobile famiglia bergamasca, è conosciuto come gentiluomo di corte e autore del poema epico di materia romanzesca "Amadigi". All'età di 6 anni si reca in Sicilia e frequenta la Scuola siciliana, dove coltiva profondi interessi riguardo il Manierismo. Negli anni seguenti a Napoli viene educato dai Gesuiti e durante un breve viaggio a Venezia si avvicina alla pittura nordica.

La sua opera più importante e conosciuta è la Gerusalemme liberata (1575), in cui vengono descritti gli scontri tra cristiani e musulmani alla fine della Prima Crociata, durante l'assedio di Gerusalemme,un avvenimento realmente accaduto.

Trama
Goffredo di Buglione nel sesto anno di guerra raduna i crociati, viene eletto comandante supremo e stringe d'assedio Gerusalemme. Uno dei guerrieri musulmani decide di sfidare a duello il crociato Tancredi. Chi vince il duello vince la guerra. Il duello però viene sospeso per il sopraggiungere della notte e rinviato. I diavoli decidono di aiutare i musulmani a vincere la guerra. Uno strumento di Satana è la maga Armida che con uno stratagemma riesce a rinchiudere tutti i migliori eroi cristiani in un castello incantato tra cui Tancredi. L'eroe Rinaldo per aver ucciso un altro crociato che lo aveva offeso fu cacciato via dal campo. Il giorno del duello arriva e poiché Tancredi è scomparso viene sostituito da un altro crociato aiutato da un angelo. I diavoli aiutano il musulmano e trasformano il duello in battaglia generale. I crociati sembrano perdere la guerra quando arrivano gli eroi imprigionati liberati da Rinaldo che rovesciano la situazione e fanno vincere la battaglia ai cristiani. Goffredo ordina ai suoi di costruire una torre per dare all'assalto a Gerusalemme ma Argante e Clorinda (di cui Tancredi è innamorato) la incendiano di notte. Clorinda non riesce a entrare nelle mura e viene uccisa in duello proprio da colui che la ama, Tancredi, che non l'aveva riconosciuta. Tancredi è addolorato per aver ucciso la donna che amava e solo l'apparizione in sogno di Clorinda gli impedisce di suicidarsi. Il mago Ismeno lancia un incantesimo sul bosco in modo che i crociati non possano ricostruire la torre. L'unico in grado di spezzare l'incantesimo è Rinaldo, prigioniero della maga Armida. Due guerrieri vengono inviati da Goffredo per cercarlo e alla fine lo trovano e lo liberano. Rinaldo vince gli incantesimi della selva e permette ai crociati di assalire e conquistare Gerusalemme.